Per approfondire… Bibliografia di riferimento

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Bibliografia di riferimento
Evangelii Gaudium, esortazione apostolica
169. In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.
173. L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice. La relazione di Paolo con Timoteo e Tito è esempio di questo accompagnamento e di questa formazione durante l’azione apostolica. Nell’affidare loro la missione di fermarsi in ogni città per “mettere ordine in quello che rimane da fare” (cfr Tt 1,5; cfr 1 Tm 1,3-5), dà loro dei criteri per la vita personale e per l’azione pastorale. Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari.

 

Incontriamo Gesù. Orientamenti per la catechesi in Italia
60. L’iniziazione cristiana oltre i 6 anni: una relazione tra famiglia e comunità
Le dinamiche e i valori colti nella realizzazione della pastorale dei primi anni non vanno confinati in questa fascia di età. A poco servirebbe, in ordine alla fecondità degli itinerari di iniziazione cristiana, se a partire dai 6-7 anni di età i percorsi di gruppo dei bambini e dei ragazzi fossero interamente delegati ai catechisti, lasciando sullo sfondo il possibile apporto dei genitori e il contesto offerto dalla stessa vita comunitaria.L’accompagnamento dei genitori non potrà che continuare, evolvendosi nelle forme e negli stessi obiettivi, dal momento che con l’innalzarsi dell’età i ragazzi reclamano maggiore autonomia dalla famiglia. Questa richiesta non va ignorata, ma preparata e gestita, perfezionando l’allenza educativa con i genitori e con i contesti – innanzitutto ecclesiali – che possono offrire un grande contributo alla realizzazione dei percorsi di iniziazione: oratorio, associazioni e movimenti.In concreto, si tratta non solo di fissare veri e propri itinerari di catechesi per i genitori, ma anche e soprattutto di responsabilizzarli a partire dalla loro domanda dei Sacramenti. Molte esperienze in questi anni hanno mostrato l’efficacia che deriva dal coinvolgere genitori e figli nella condivisione di alcuni appuntamenti di preghiera, di riflessione e di approfondimento, suffragati da una sussidiazione semplice e mirata, vissuti in ambito domestico, in gruppi, nella comunità. Fruttuosi sono pure quei metodi che convocano genitori e figli in appuntamenti periodici, dove si approfondisce il medesimo tema con attività diversificate, rimandando poi al confronto in famiglia. Si tratta di non lasciare sole le famiglie, ma di accompagnarle, aiutando i genitori a trasmettere ai loro piccoli uno sguardo credente con cui leggere i momenti della vita. Lo si fa a partire da strumenti semplici: la preghiera e la lettura del Vangelo in famiglia, specie nei momenti forti dell’anno liturgico, le parole di fede per accogliere un momento di gioia, come la nascita di un fratellino o di una sorellina, un buon risultato nella scuola o nello sport, una ricorrenza familiare; ma anche per affrontare i motivi di tristezza che derivano da un lutto, una malattia, un insuccesso, una delusione. Così pure si educa insegnando il valore del perdono donato e ricevuto, come del ringraziamento. La fragilità della famiglia non di rado si ripercuote anche sui piccoli per cui i catechisti – in costante dialogo coi genitori – devono essere molto delicati e attenti di fronte alle situazioni che i bambini vivono in casa, valorizzando il bene possibile e offrendo sempre un orizzonte di pace, misericordia e perdono, senza il quale anche il migliore annuncio evangelico avrebbe poco senso e scarsa efficacia.
69. Il ruolo insostituibile dei genitori 
Si è ampiamente sottolineato – anche in questi Orientamenti – il compito insostituibile della famiglia nella crescita integrale della persona e del credente. I genitori, infatti, «ricevono nel sacramento del matrimonio la grazia e la responsabilità dell’educazione cristiana dei loro figli» (Direttorio Generale per la Catechesi, n. 227). D’altra parte, non si può non tener conto della situazione di sofferenza di molte situazioni matrimoniali, nonchè della fragilità umana e culturale di non poche famiglie che, pur mantenendo un qualche legame con la Chiesa, non riescono più ad adempiere al compito di trasmissione della fede. I percorsi di iniziazione per bambini e ragazzi possono diventare per molti genitori l’occasione di un nuovo incontro con la bellezza del Vangelo e con la comunità cristiana. Questa opportunità richiede di  intessere relazioni continuative e operose tra i genitori e le altre componenti della comunità ecclesiale, evitando però che l’attività con i bambini non divenga strumentale per l’incontro con gli adulti. In questo intreccio di relazioni non solo si alimenta la Chiesa stessa, chiamata ad apprendere il linguaggio della vita quotidiana, ma vengono sostenute le famiglie, in particolare quelle che fanno più fatica a credere e a comunicare la fede. La realtà familiare e l’amore dei genitori verso i figli sono l’ambito naturale e primordiale nel quale la proposta di fede è chiamata a manifestare il suo carattere di promessa, di speranza e fiducia nell’affrontare la vita.

 

Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000
52. – Per quanto riguarda la famiglia, va ricordato che essa è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché dell’esperienza e della trasmissione della fede. La famiglia cristiana è inoltre il luogo dell’obbedienza e sottomissione reciproca e della manifestazione dell’alleanza tra Cristo e la Chiesa. La famiglia è l’ambiente educativo e di trasmissione della fede per eccellenza: spetta dunque anzitutto alle famiglie comunicare i primi elementi della fede ai propri figli, sin da bambini. Sono esse le prime «scuole di preghiera», gli ambienti in cui insegnare quanto sia importante stare con Gesù ascoltando i Vangeli che ci parlano di lui. I coniugi cristiani sono i primi responsabili di quella «introduzione» all’esperienza del cristianesimo di cui poi chi è beneficiario porterà in sé il seme per tutta la vita.

 

EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020
Il primato educativo della famiglia.
36. Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato.
Educare in famiglia è oggi un’arte davvero difficile. Molti genitori soffrono, infatti, un senso di solitudine, di inadeguatezza e, addirittura, d’impotenza. Si tratta di un isolamento anzitutto sociale, perché la società privilegia gli individui e non considera la famiglia come sua cellula fondamentale.
Padri e madri faticano a proporre con passione ragioni profonde per vivere e, soprattutto, a dire dei “no” con l’autorevolezza necessaria. Il legame con i figli rischia di oscillare tra la scarsa cura e atteggiamenti possessivi che tendono a soffocarne la creatività e a perpetuarne la dipendenza. Occorre ritrovare la virtù della fortezza nell’assumere e sostenere decisioni fondamentali, pur nella consapevolezza che altri soggetti dispongono di mezzi potenti, in grado di esercitare un’influenza penetrante.
La famiglia, a un tempo, è forte e fragile. La sua debolezza non deriva solo da motivi interni alla vita della coppia e al rapporto tra genitori e figli. Molto più pesanti sono i condizionamenti esterni: il sostegno inadeguato al desiderio di maternità e paternità, pur a fronte del grave problema demografico; la difficoltà a conciliare l’impegno lavorativo con la vita familiare, a prendersi cura dei soggetti più deboli, a costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli.
A ciò si aggiunga il numero crescente delle convivenze di fatto, delle separazioni coniugali e dei divorzi, come pure gli ostacoli di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva la procreazione. Non si possono trascurare, tra i fattori destabilizzanti, il diffondersi di stili di vita che rifuggono dalla creazione di legami affettivi stabili e i tentativi di equiparare alla famiglia forme di convivenza tra persone dello stesso sesso.
Nonostante questi aspetti, l’istituzione familiare mantiene la sua missione e la responsabilità primaria per la trasmissione dei valori e della fede. Se è vero che la famiglia non è la sola agenzia educatrice, soprattutto nei confronti dei figli adolescenti, dobbiamo ribadire con chiarezza che c’è un’impronta che essa sola può dare e che rimane nel tempo. La Chiesa, pertanto, si impegna a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori, promuovendone la competenza mediante corsi di formazione, incontri, gruppi di confronto e di mutuo sostegno.
37. L’educazione alla fede avviene nel contesto di un’esperienza concreta e condivisa. Il figlio vive all’interno di una rete di relazioni educanti che fin dall’inizio ne segna la personalità futura.
Anche l’immagine di Dio, che egli porterà dentro di sé, sarà caratterizzata dall’esperienza religiosa vissuta nei primi anni di vita. Di qui l’importanza che i genitori si interroghino sul loro compito educativo in ordine alla fede: «come viviamo la fede in famiglia?»; «quale esperienza cristiana sperimentano i nostri figli?»; «come li educhiamo alla preghiera?». Esemplare punto di riferimento resta la famiglia di Nazaret, dove Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
Ogni famiglia è soggetto di educazione e di testimonianza umana e cristiana e come tale va valorizzata, all’interno della capacità di generare alla fede propria della Chiesa. A essa sacerdoti, catechisti e animatori devono riferirsi, per una stretta collaborazione e in spirito di servizio.
L’impegno della comunità, in particolare nell’itinerario dell’iniziazione cristiana, è fondamentale per offrire alle famiglie il necessario supporto. Spetta ai genitori, insieme agli altri educatori, promuovere il cammino vocazionale dei figli, anche attraverso esperienze condivise, nelle quali i ragazzi possano affrontare i temi della crescita fisica, affettiva, relazionale per una positiva educazione all’amore casto e responsabile. Una particolare attenzione dovrà essere offerta, inoltre, ai genitori rimasti soli, per sostenerli nel loro compito.
La nuova evangelizzazione – Ratzinger
La vita umana non si realizza da sé. La nostra vita è una questione aperta, un progetto incompleto ancora da completare e da realizzare. La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? Come si impara l’arte di vivere? Quale è la strada alla felicità? Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada – insegnare l’arte di vivere.
 

Ri – cominciare a credere – André Fossion

Ciò che è comune a queste persone, al di là della loro diversità, è il fatto che “ricominciare a credere” non significa per nulla “ritornare indietro”. Infatti non si tratta per loro di riprendere, dopo un tempo di smarrimento, un percorso religioso nel punto in cui lo hanno lasciato. Per i “ricomincianti” si tratta piuttosto di andare avanti, di assumere tutta la loro storia con ciò che essa comporta di esperienze, di gioie e di pene, di convinzioni e di dubbi, per “ricominciare a credere”, ma diversamente, su altre basi, con una freschezza, un’intelligenza e una libertà nuove. Così, se intendono ricominciare a credere, è perché nutrono la speranza di comprendere. Intendono capire anzitutto la loro storia, rileggerla, attraversarla nuovamente per riprendere l’iniziativa ed eventualmente riorientarla. Comprendere la fede, riflettere sul modo con il quale l’hanno vissuta e sui motivi che li hanno portati ad abbandonarla. Ma, soprattutto, cercare le ragioni che potrebbero riavvicinarli di nuovo ad essa. Così i ricomincianti desiderano una nuova ed esigente appropriazione della fede, in grado di raggiungere la loro ricerca di senso e nutrire la loro vita di adulti nell’impegno e nella responsabilità. Da questo punto di vista il ricominciamento nella fede appare come una vera ricostruzione, fatta di abbandoni e di rifiuti, ma soprattutto di scoperte e di apprendimenti nuovi. Assomiglia in qualche modo alla riscoperta di una persona amata, abbandonata perché la si era mal compresa o perché si era fatta conoscere male e che, di colpo, appare per quello che è veramente, sotto una luce nuova e con una nuova attrattiva.

Il ruolo specifico dei genitori nell’iniziazione della fede – fr. Enzo Biemmi

– Rispetto al coinvolgimento dei genitori, questo grazie all’apporto intelligente della pastorale familiare, abbiamo anche capito che di per sé il compito prioritario dei genitori è quella testimonianza di fede ordinaria che possiamo definire “domestica”[1]. La fede non è mai nata da lezioni di catechismo, ma da relazioni vissute nell’orizzonte della testimonianza. Il ruolo di iniziazione alla fede della famiglia è primariamente quello quotidiano, non strutturato come un incontro di catechesi. La fede passa dai rapporti, dai fatti di ogni giorno letti in ottica di grazia e di gratitudine, dagli eventi familiari gioiosi e dolorosi interpretati come eventi abitati dalla presenza del Signore, dal modo di leggere quello che succede nel mondo, dalla logica con la quale ci si relazione, si utilizzano le risorse, ci si relaziona con chi è diverso, si maturano atteggiamenti di solidarietà.
Ciò è primario ed essenziale. Ma la famiglia può anche divenire un luogo nel quale i genitori danno esplicitamente parole alla fede e creano momenti formativi per la famiglia.
Su questo punto la famiglia e la parrocchia possono trovare un terreno di reciproco sostegno e il compito della catechesi tradizionale può diventare di assistenza ai genitori stessi senza delegare in toto ad essi il compito esplicitamente catechistico.
Le nuove esperienze vanno in questa direzione. Questo duplice livello di educazione alla fede dovrà essere salvaguardato, sapendo che il livello esplicitamente catechistico non può reggere se non è sostenuto, preceduto ed accompagnato da un’iniziazione alla fede quotidiana e familiare.
E’ questa la strada perché comunità e famiglia ridiventino, senza confondersi, i due grembi privilegiati dell’iniziazione alla fede.
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[1] – L’espressione è di Mons. Caprioli nella sua relazione ai Vescovi italiani durante la 53a Assemblea generale della CEI, Roma 17-21 maggio 2004.

Alcune esperienze in atto nel Triveneto
L’esperienza della diocesi di Trento.
La proposta della diocesi di Trento ha un titolo significativo: “Lo racconterete ai vostri figli”. Risultato di un sinodo diocesano e del lavoro fatto dai Vescovi del Triveneto, essa mira a rendere i genitori protagonisti della comunicazione della fede ai loro figli. E’ basata fondamentalmente sulla catechesi familiare, con una distinzione importante: la catechesi con la famiglia e la catechesi della famiglia.
– La “catechesi nella famiglia” è la forma più diffusa. Si presenta come una proposta di riscoperta della fede per i genitori, tramite un cammino parallelo a quello dei figli e guidato da un gruppo di animatori. L’UCD ha articolato questo percorso in cinque tappe dai titoli evocativi: arare, seminare, irrigare, germogliare, portare frutto. Si tratta di un quinquennio di riscoperta della fede per gli adulti.
– La “catechesi della famiglia” è la forma più esigente di catechesi familiare. E’ l’assunzione in proprio della responsabilità di esercitare il magistero della parola e della vita da parte dei coniugi e genitori nei confronti dei figli, sia attraverso la testimonianza che la proposta specifica di un cammino di fede e di preghiera nella famiglia. Meno diffusa, questa forma di catechesi familiare ha come la precedente al suo centro un cammino di riscoperta della fede da parte dei genitori, con l’aiuto specifico perché siano in grado di vivere momenti di catechesi nelle loro case.
La proposta della diocesi di Trento poggia la sua efficacia sul fatto di essere progettata a livello diocesano, sostenuta e costantemente monitorata dall’UCD e condotta tramite una collaborazione tra UCD e Pastorale familiare.
L’esperienza della diocesi di Verona.
L’esperienza della diocesi di Verona si articola ogni anno secondo delle tappe mensili in quattro tempi, con la seguente scansione settimanale:
– La prima settimana è riservata all’incontro con i genitori, con una proposta di riscoperta della fede per loro e l’aiuto a comunicare in famiglia quanto maturato nel gruppo.
– Durante la seconda settimana avviene l’incontro in famiglia. Con l’aiuto di semplici proposte e materiali i genitori nei tempi e nei modi da loro decisi testimoniano la fede ai figli anche con momenti espliciti di dialogo, di preghiera, di esperienze di fede.
– La terza settimana avviene l’incontro con i bambini. Collocato in un momento disteso della durata di almeno due ore, viene scandito nei seguenti passaggi: l’accoglienza curata, lo spazio per condividere i racconti di quanto vissuto in famiglia, un tempo di animazione finalizzata alla maturazione della loro fede, un momento di preghiera. Questo incontro è guidato da un gruppo di persone (giovani, genitori volontari, nonni e altre figure che fanno squadra con il catechista).
– La quarta settimana è costituita dall’incontro familiare la domenica mattina, circa un’ora prima della celebrazione eucaristica. I genitori verificano l’esperienza vissuta in famiglia, i bambini preparano un gesto/segno per riesprimere le loro scoperte, si partecipa all’eucaristia della comunità e spesso si pranza insieme.
L’esperienza di Verona ha la caratteristica di promuovere le iniziative delle singole parrocchie e di metterle in rete tra di loro. I materiali prodotti dalle parrocchie vengono rivisti da un’équipe dell’UCD e messi a disposizione delle altre parrocchie. A differenza di Trento, la strategia di Verona è quella di valorizzare l’esistente, di coordinarlo e di ottimizzarne i risultati tramite un quadro metodologico (quello dei quattro tempi) di facile attuazione. Come si può vedere, nella proposta di questa diocesi è saltata la scansione del catechismo settimanale.