100 anni del Seminario. Inclusivo e aperto nel territorio: tre consegne pastorali

Chiunque arriva in Seminario nota la costante cura di giardini, prati, alberi, frutteti, siepi, camminamenti. È il lavoro quotidiano di persone con disabilità reso possibile dalla convenzione tra l’Ente Seminario e l’Azienda Sanitaria Friuli Occidentale. Educatori professionali con progetti personalizzati. L’autonomia è l’obiettivo educativo, tendendo presenta la storia singola, e familiare, di ciascuna persona. Vi è anche un nucleo di persone seguite dai servizi del Dipartimento di Salute Mentale. Per le famiglie, poter vedere i loro figli passare alcune ore della giornata a contatto con la natura, valorizzando il tempo in modo costruttivo è una consolazione, e per quanto possibile, un sollievo alla malattia. Di questa cura e custodia del creato ne beneficiano anche i numerosi gruppi che entrano in Seminario per le molteplici attività pastorali: gruppi cresimandi, gruppi parrocchiali, pastorale familiare, corsi tematici organizzati in biblioteca, incontri diocesani, ritiri mensili dei sacerdoti. Dal cardinale invitato per un evento particolare in Seminario, al postino che recapita lettere quotidianamente, tutti intuiscono che dietro il bello estetico vi è un bene profuso e inclusivo. La stessa scelta di avere una famiglia stabile in Seminario (la sig.ra Laura come segretaria con marito e figli) ne è la conferma. Le aule dello Studio Teologico, le stanze per la formazione dei seminaristi, la Chiesa per la preghiera e il refettorio per i pasti sono provocati dall’essere ambienti all’essere reti abitate, in stretta correlazione con la molteplice umanità che movimenta la vita del Seminario. È un anticipo di ciò che, con dinamiche più ampie, i futuri giovani sacerdoti incontreranno stabilmente nel ministero della vita in parrocchia. Ordinarietà ed emergenza sono costanti che si propongono e impongono alla vita del parroco, del cappellano. I profughi ucraini accolti in Seminario testimonia che si impara ad affrontare ogni criticità mettendoci la faccia e rimboccandosi le maniche in prima persona. «L’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole» (Ignazio di Loyola). Apertura e inclusività nel territorio, dunque, attivano tre consegne nella formazione pastorale del seminarista e del presbitero nella Chiesa in metamorfosi, memore dei 100 anni: la consegna della cura, della dignità, degli incroci.

Consegna della cura. La cura animarum di ieri si è mutata oggi in cura di vite sofferte, lavoro precario, bollette insolute. Avere a cuore è avere cura. La parrocchia lascia il segno nelle persone quando queste, in nome di Cristo, si sentono accolte.

Consegna della dignità. Tutte le persone guarite da Gesù sono state ri-alzate e restituite a una loro dignità persa, violata, segnata. Malattia mentali, depressioni, fatiche familiari saranno il pane quotidiano del giovane prete uscito dal Seminario in parrocchia e del prete già attivo nel ministero. Ridare dignità è vangelo annunciato che ogni persona capisce e vive su di sé. Lo snodo è qui.

Consegna degli incroci. La pastorale dei lunghi percorsi non funziona più. Breve e bene sono paradigmi culturali non da combattere, ma da valorizzare. Si avrà quella che definisco pastorale degli incroci: incontrare e prendere la persona lì dove e come è. Esserci o non esserci a quegli incroci farà la differenza per la persona. Se è il prete che apre la porta della canonica, ad accoglierla poi vi dovrà essere una rete di laici, famiglie preparate per aiutare a decifrare-parlare la grammatica di oggi. La catechesi è afona perché chiusa nelle sole stanze parrocchiali e non parla con la voce della vita a tutto campo: ospedale, disabilità, fabbrica, caritas, sono alcuni dei luoghi dove mettersi in reciproco ascolto, non solo per prepararsi al sacramento, ma alla vita inclusiva.

Don Giacomo Ruggeri
Docente dello Studio Teologico

(articolo pubblicato su “Il Popolo” 1 maggio 2022)