Il contributo della Chiesa Cattolica nell’Unità d’Italia

Relatore mons. Adriano Vincenzi - coordina la serata Marco Terenzi

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Ci sono equivoci sul tema dei cattolici in politica: talora da parte di chi li esorta a farlo, come di chi teme che si impegnino. Diventa, quindi, importante la riflessione sul tema dell’identità dell’impegno politico dei cattolici. Che cose significa essere cattolici in quanto coinvolti nella vita politica, come cittadini, magari partendo solo dal contributo del voto?
 
Intanto è bene specificare che cosa non è da confondere con l’identità cattolica: e cioè che i cattolici debbano fare un’altra Dc, fare un partito tecnicamente cattolico. Non credo che questo sia più possibile, e sebbene la Dc fosse un partito di cattolici, si è visto come è stato occupato da una serie di personaggi che non potevano definirsi tali, ai quali va attribuito il fallimento del partito per le corruzioni di cui si sono macchiati. Erano in contrasto con ciò che dicevano di essere, non avevano nulla a che fare con l’identità cattolica. E tutto ciò senza nulla togliere al valore storico che ha avuto la Dc per la rinascita soprattutto post-bellica del nostro Paese.
Non una nuova Dc, quindi, no ad un confessionalismo politico, no ad una regia politica della chiesa: sì, invece, ad orientamenti di valore e di comportamento da parte della stessa, come ha dimostrato anche l’ultimo intervento del cardinale Bagnasco nella sua ultima prolusione all’incontro dei responsabili dei Vescovi Cattolici.
 
Identità significa, infatti, richiamare la necessità di testimoniare, anche come cittadini, le proprie convinzioni di fede, non imponendole fideisticamente ma esprimendole con coerenza: la fede cristiana ci obbliga ad avere un profondo impegno verso il bene comune, soprattutto verso il bene di coloro che stanno peggio, facendosi carico delle proprie responsabilità, a qualsiasi livello, impegnandosi a collaborare per una evangelica “vita buona” di chi non gode dei propri diritti, delle famiglie disagiate, di chi è immigrato, dei vecchi soli e degli ammalati, senza dimenticare le priorità problematiche di giovani e donne. La politica sociale dovrebbe stare a cuore a chi si dice cristiano, esprimendo una coerenza tra fede e vita civile, nonché solidarietà verso chi vive in una condizione di disagio: mi è piaciuto il termine di “coerenza eucaristica” usato da Giovanni Paolo II, poi ripreso da Benedetto XVI.
 
Identità cattolica in politica in questo momento significa anche preoccupazione verso tutti i problemi della vita, della famiglia e dei giovani: sono i tre punti deboli della situazione italiana, ai quali seguono l’educazione e l’apertura al lavoro. Prima che economica questa deve essere una preoccupazione etica: se non si considera seriamente prima di tutto il bene della vita, non si ha una forza credibile. Poi la famiglia, da garantire il più possibile dal punto di vista morale, dando la possibilità di viverla veramente, vedendo gli interventi economici e sociali anche sul lavoro come garanzia della famigli stessa, senza la quale non si garantisce la crescita di un Paese, anche sotto il profilo di una maggiore natalità.
 
I problemi sociali toccano soprattutto i giovani, presi dalla paura del futuro, perché non vedono un disegno e degli orientamenti credibili; non riconoscono delle persone o realtà politiche a cui fare riferimento, perché oggi uno degli elementi contro cui combattere con le forme di partecipazione di cui stiamo dicendo è lo sfaldarsi istituzionale a livello locale e nazionale, che comunica un senso di sfiducia ai giovani: operare per loro non significa solo fare spazi per il tempo libero o cose del genere, ma offrire dei modelli, ben lontani da quelli che hanno davanti. Come detto da Bagnasco: “il modo di vivere di certi personaggi offre modelli scandalosi”.
 
Terzo punto dell’identità cattolica in politica è quello di alimentare la propria partecipazione alla vita della società in tutti i suoi aspetti, a partire dalla piccole realtà. La caratura sociale, che è evangelica, dell’opzione preferenziale per i poveri e i più deboli è sempre stata propria della chiesa e può essere alimentata solo da una vita spirituale più seria. Non è possibile immaginare una coerenza, un amore per il prossimo che vada oltre i propri egoismi se non ci si forma spiritualmente, se non si ha dentro di sé dei valori e motivazioni forti che è funzione della chiesa non solo sostenere con la dottrina sociale, ma fondare con una azione di formazione delle coscienze e di formazione spirituale, con un richiamo ad un cristianesimo radicale vero, non solo di devozione, di abitudine, sostenuto da una forte esperienza di Parola di Dio e di Liturgia. Qui c’è lavoro da fare sulle singole persone, sui piccoli gruppi, un lavoro di chiesa per andare in profondità nelle coscienze, per radicare la preoccupazione verso il bene comune. Oggi è un’esigenza evidente, e questa preoccupazione è ben lontana dal modo di comportarsi di molti politici, a prescindere dalla loro appartenenza. Certo, c’è la difficoltà di mettere in pratica tutto ciò: questa dovrebbe essere la preoccupazione della pastorale, come peraltro si sta facendo nella nostra diocesi, anche con il nuovo programma del vescovo Pellegrini.