A cosa serve l’unità d’Italia? Di quali italiani si compone oggi questa nazione? Cosa può tenerli ancora insieme? Non è facile darsi delle risposte, nemmeno in un appuntamento pensato apposta come la Settimana Sociale dei Cattolici di questa diocesi, che si terrà la prossima settimana. Alzino la mano quanti in queste ultime settimane non hanno pensato che la soluzione a tutti i problemi di arretratezza e degrado della politica, d’insufficienza infrastrutturale ed economica, sia un taglio netto ai legami nazionali, dalla politica fiscale fatta da Roma, alla gestione centralistica ed assai poco democratica dei partiti, ecc. Tuttavia, mai come in queste settimane, riaffiora la consapevolezza che invece siamo tutti sulla stessa barca, a remi per giunta, e se uno dei vogatori si sente male, noi tutti siamo comunque legati a lui e tutti insieme alla possibilità di farcela o meno. Inoltre ormai è chiaro che non ci sono ricette d’ingegneria finanziaria o esclusivamente economiche in grado di toglierci da questa situazione di generale fragilità. Piuttosto alcuni famosi analisti hanno ribadito più volte che per uscire dalla crisi serve uno sforzo di volontà, che bisogna combattere la mancanza di desiderio, che bisogna alimentare la fiducia nel futuro, ecc.
Ma se è tutto qui, perché allora non ne veniamo fuori? Forse, di fronte ad una crisi così profonda, non basta sollecitare aziende e lavoratori, famiglie e cittadini sfiduciati della propria classe dirigente ad una reazione d’orgoglio. Al desiderio di uscire dalla crisi occorre affiancare un cambiamento deciso: la rimozione del peso insostenibile delle sperequazioni, delle diseguaglianze ingiustificate che in questo momento stanno aumentando la distanza tra benestanti rinchiusi nella cittadella dei garantiti da a un lato, dall’altro giovani e famiglie sempre più in difficoltà. La giustizia sociale è uno degli elementi che per i cattolici definisce il bene comune.
Esso infatti non è semplicemente la somma del benessere degli individui, né la buona gestione dei beni pubblici, e nemmeno un vago sentimento di benevolenza reciproca. Per i cattolici la condizione fondamentale per la realizzazione del bene comune passa per il ripianamento di ogni condizione che impedisce lo sviluppo integrale della persona all’interno di una comunità, il riequilibrio di quanto dovuto non per carità ma perché giusto. Sono anche questi i valori la cui caduta a picco pregiudica la crescita di una nazione. Guardando le cose da questo punto di vista, ecco che ad esempio la mancanza di ricambio della classe dirigente, non è semplice immobilismo del sistema, ma richiama a responsabilità precise chi se ne rende protagonista, esso tradisce la propria comunità invece che servirla.
I giovani con sempre meno chance di successo all’affacciarsi in un mercato del lavoro ingessato o che stanno invecchiando nella precarietà di contratti iper flessibili, non costituiscono il prezzo inevitabile che dobbiamo pagare alla crisi in attesa che passi, ma una ingiusta condizione, in cui sono costrette alcune persone perché siano sostenute situazioni di tranquillo benessere di altre. Lo stesso per gli ammortizzatori sociali, così importanti in questi mesi, tanto per alcuni, nulla per altri; e per le pensioni: una pensione piena maturata con metà dei contributi versati, non è un diritto acquisito, è un privilegio pagato da altri. Ecco allora a cosa può servire ancora l’unità d’Italia. La repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” ed è suo compito “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Alcuni cattolici, assieme ad altri, a suo tempo hanno contribuito a scrivere queste parole nella nostra Carta Costituzionale, per tradurle poi in progetti di crescita dell’intero Paese, a volte a costo della propria vita. I cattolici di oggi sono pronti a fare la loro parte?