Omelia del Vescovo Giuseppe al ritiro del Clero del 19 settembre

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DIOCESI DI CONCORDIA-PORDENONE
 
 
Ritiro del clero 19 settembre 2013
 
 
“Santificati in Gesù Cristo, santi per chiamata”
                                                                              1 Corinzi 1,2
 
 
1 Pietro 2, 4-10
Romani 12, 1-5
 
 
1.      Munus sanctificandi
 
Come ci ricorda molto bene la Presbiterorum Ordinis, il fine principale del nostro ministero e della nostra vita di preti e diaconi è la gloria di Dio Padre in Gesù Cristo; tale gloria si manifesta quanto tutta l’umanità riconosce e accoglie con gioia l’opera di salvezza che il Padre compie mediante il suo Figlio Gesù (cfr. PO, 2). Infatti tra le funzioni attribuite al presbitero, c’è proprio il ministero della santificazione (munus sanctificandi), che realizziamo principalmente nella liturgia e in modo speciale nella celebrazione dell’Eucaristia, che è culmine e fonte della vita della Chiesa. Durante il Rito di ordinazione il vescovo ci ha interrogato per due volte su questo impegno:
–         vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?
–         vuoi essere più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?
E noi abbiamo risposto: Si, lo voglio. Eccoci qui carissimi, consapevoli del dono che abbiamo ricevuto e dell’impegno che ci siamo presi di dare tutta la nostra vita per Dio e per la santificazione del popolo che ci è stato affidato. Titubanti e paurosi, di fronte alle nostre fragilità, ma altrettanto contenti dell’amore che Dio continuamente ci dimostra e pieni di fiducia che con Lui, possiamo vivere portando a termine gli impegni presi.
           
Prendono significato e valore tutti quei momenti di riflessione e di preghiera che ci prendiamo, così anche il ritiro mensile, spazio privilegiato per ritornare alla vera identità sacerdotale, in ascolto della Parola di Dio che favorisce la relazione profonda con Lui, nel silenzio e nella preghiera. Siamo infatti consapevoli che sta qui il centro, la sorgente della vita personale e ministeriale. Non sono tanto le nuove strategie pastorali, pur necessarie, che ci aprono al dialogo e all’ascolto delle persone e ci sostengono nel difficile cammino dell’incontro con le persone e nella testimonianza della fede, ma la disponibilità a lasciarci afferrare totalmente da Lui. Solo così la nostra umanità sarà piena e il ministero sarà fecondo. Un cammino che siamo chiamati a compiere tutti, come uomini che abbiamo fatto una scelta e come consacrati, nel desiderio di portare a termine il progetto di Dio. E anche perché chiamati a presiedere la comunità e i sacramenti. Santi e fecondi! Ecco il programma di vita per quest’anno, a partire dal dono che il Signore ci ha fatto il giorno della nostra ordinazione fino al quotidiano spendersi per gli altri. Non andiamo a cercare la nostra santificazione chissà dove o in chissà quale spiritualità. Per noi, la santità è nel ministero, nella fecondità del nostro apostolato; un cammino che siamo chiamati a vivere personalmente e insieme alla nostra comunità cristiana nell’esercizio del ministero di presidente della comunità e delle celebrazioni.
 
Abbiamo davanti a noi l’icona che ci aiuta a contemplare la liturgia del cielo e attraverso questa liturgia anche le liturgie che celebriamo nelle nostre comunità. L’accesso al cielo ci è garantito da quella porta sempre aperta, la porta della fede. In questo modo, contemplando cosa avviene nel cielo, riusciamo a capire il senso vero della nostra vita. Ecco il significato che vogliamo dare alle nostre liturgie e alle nostre celebrazioni: se celebrate bene ci aiutano a comprendere la l’esistenza e la vita, considerata come il bene e il dono più bello e più prezioso. Infatti nella seconda tappa del cammino pastorale, comunità che celebra e condivide, viene proposto a tutti, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose e fedeli laici di rafforzare la nostra fede anche nella liturgia, fonte della spiritualità e della vita di ognuno, proprio perché la liturgia è il luogo dell’esperienza della Parola e dello Spirito, dove noi siamo chiamati a presentare al Padre noi stessi e tutta la comunità perché si possano incontrare con la salvezza che Gesù, con la sua morte e risurrezione ci ha offerto. Proprio nella celebrazione la Parola di Dio si fa viva, operativa, capace di trasformare e di trasformarci. Non possiamo vivere senza la celebrazione. Mai come oggi è di moda ricordare e celebrare i vari avvenimenti e anniversari, proprio perché c’è bisogno di recuperare le proprie radici, i veri valori e una visione della vita che sia capace di sostenerci nei momenti di crisi e di difficoltà. La celebrazione costituisce il veicolo del contenuto dell’esperienza spirituale dell’uomo stesso. Per noi cristiani poi è fondamentale ed essenziale celebrare, perché solo così siamo in grado di andare al cuore della nostra relazione con Dio, dove la sua Parola diventa viva ed efficace, prolungando nella vita la morte e la resurrezione di Gesù. Ecco perché per noi cristiani, e per noi preti in particolare, la celebrazione è di fondamentale importanza sia per la crescita spirituale che per la fecondità del nostro ministero. Sarà il cammino che faremo insieme nella formazione e nei ritiri del giovedì. Vuole essere anche il cammino che desideriamo fare con le nostre comunità parrocchiali: riscoprire la centralità della celebrazione, in particolare dell’Eucaristia.
 
 
2.      Lectio e meditatio
 
La meditazione della Parola di Dio ci è di aiuto per considerare sempre più la nostra vocazione di santificare il popolo che ci è stato affidato. Desideriamo addentrarci con umiltà nel disegno di Dio circa la grazia e la responsabilità che ci è stata affidata nell’ordinazione e ancora prima nel battesimo. Meditiamo due meravigliosi e affascinanti testi dalla prima lettera dell’apostolo Pietro e dalla lettera ai Romani di Paolo. Ci aiutano a ripensare al nostro essere sacerdoti a servizio, anche come presidenti, della comunità cristiana e dei sacramenti, all’interno di una prospettiva ‘oblativo-eucaristica’, dono e offerta di tutta la nostra vita a Dio e alla Chiesa e partecipi del sacerdozio di Cristo, fondamento della nostra santificazione e di ogni ministero nella Chiesa. E’ anche un messaggio di speranza offerto a tutti i battezzati e anche a ciascuno di noi consacrati. Dopo la lettura di alcuni versetti, offro qualche spunto di meditazione.
 
* 1 Pietro 2,4-10
            Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:
Ecco, io pongo in Sion
una pietra d’angolo, scelta, preziosa,
e chi crede in essa non resterà deluso.
Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono
la pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata pietra d’angolo
e sasso d’inciampo, pietra di scandalo.
Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia.
 
 
* Romani 12,1-5
            Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri.
 
 
– Partiamo dall’ultimo versetto, il v. 10 della 1a di Pietro che ci presenta in modo vigoroso la grande misericordia e il grande amore del Padre. Eravamo non popolo ed esclusi dalla misericordia, dispersi in un mondo non sempre favorevole, anzi spesso contrario e ostile, circondati da persone indifferenti che non ci capiscono, e talvolta oppressi sotto il peso delle nostre fragilità, paurosi di rispondere alla chiamata di Dio e ai suoi doni. L’apostolo Pietro ci prende per mano e ci sostiene a vincere questa dispersione spirituale, aiutandoci a ritrovare la serenità, la gioia e la fierezza del nostro essere cristiani e del nostro ministero, riassaporando la speranza viva, perché ora siamo popolo di Dio, perché ora abbiamo ottenuto la misericordia.
 
– Possiamo così comprendere meglio i primi versetti della lettera di Pietro, in particolare le due immagini iniziali, molto semplici ma anche capaci di farci gustare la bellezza del nostro essere cristiani, del nostro battesimo e del nostro ministero:
            * l’immagine della casa, dell’edificio spirituale, pietre vive che poste l’una sull’altra edificano un grande tempio;
            * l’immagine di tutti noi fedeli che, come sacerdoti, nel tempio diamo lode e onore a Dio.
Queste due immagini hanno un valore simbolico, ma rimandano ad una realtà, concreta e personale che tocca il nostro essere e la nostra vita, perché ci portano direttamente davanti a Dio.
 
– Ciò che costituisce il motivo vero e ultimo della bellezza di queste immagini, che sono per noi anche realtà, è che hanno la loro radice e la loro sostanza nella persona vivente di Gesù Cristo: Lui è la pietra viva, Lui è il sommo ed eterno sacerdote che nello Spirito glorifica il Padre. E’ chiaro che il centro di tutta la nostra vita, il fondamento della nostra gioia è avvicinarsi a Gesù, è l’incontro con la persona vivente di Gesù. Soffermiamoci durante la preghiera e l’adorazione personale su questo verbo: avvicinarsi a Cristo. Significa rivolgersi a Lui, accostarlo, stringerlo a sé, abbracciarlo… anche se sappiamo bene che prima di noi, è Lui che si è avvicinato, che ci ha abbracciato e ci ha avvolto con il suo amore! Con il battesimo noi siamo diventati sua proprietà. Cristo è la pietra viva, la roccia che non frana, il fondamento incrollabile, perché Cristo è il risorto, è il crocifisso risorto messo a morte dagli uomini, ma ‘scelto e prezioso davanti a Dio’.
 
– Desidero soffermarmi un po’ di più sulla seconda immagine, sul sacerdozio che nel tempio è chiamato a rendere culto a Dio, come dice anche San Paolo, “a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”. Sia il sacerdozio di tutti i fedeli, sia quello ministeriale, è frutto dell’amore di Dio che salva e ha come finalità offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo. Il culto consiste sostanzialmente nel servizio reso al Signore: di fronte a Dio che si rivela e si dona all’uomo, l’uomo risponde consegnandosi totalmente a Dio, consacrandosi radicalmente a Lui e votandosi pienamente al suo servizio. Il vero culto spirituale che siamo chiamati a offrire è, prima di tutto, credere in Dio affidandoci alla sua Parola e obbedire, compiendo la sua volontà. Il sacrificio gradito a Dio è l’osservanza, per amore, della sua legge santa che trova il compimento nella carità, nell’amore verso Dio e verso il prossimo. In tal modo i sacrifici spirituali, prima che rimandare a riti, gesti, rubriche, parole… hanno come contenuto la vita, la vita vissuta nella fede e nella carità. Solo così anche il sacrificio che noi quotidianamente offriamo all’altare diventa gradito a Dio, perché ci uniamo veramente al dono della vita che Gesù ha fatto al Padre e all’umanità tutta.
   
 
3.      A servizio del sacerdozio universale dei fedeli
 
E’ questo il nostro compito tipico dell’esercizio del ministero sacerdotale e del ruolo di presidenza nella comunità e nelle celebrazioni. Siamo chiamati a presiedere e a servire la comunità che è stata affidata alla nostra cura pastorale, senza mai mirare a interessi o tornaconti personali, ma con lo stile del Signore Gesù che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45). E’ un servizio celebrativo-cultuale che parte dal vissuto quotidiano e porta alla vita di ogni giorno e mai disgiunto dal cammino personale di santità e di santificazione che trova nella carità pastorale la sua sintesi più vera. Nel libro degli Atti leggiamo il compito che gli apostoli stessi hanno riservano per sé: “Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola” (6,4). La preghiera di cui si parla non è la preghiera privata; è la preghiera liturgica comunitaria che ha al suo centro la ‘frazione del pane’. Sull’altare noi presbiteri siamo invitati a offrire noi stessi. Non è sufficiente offrire nei segni sacramentali del pane e del vino Cristo al Padre, ma offrire noi stessi con Cristo al Padre! Ricordate bene cosa ci ha detto il vescovo durante l’ordinazione sacerdotale, nel momento della consegna del pane e del vino: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”. Con altre parole, offri te stesso a Dio in sacrificio vivente.
Permette una provocazione con alcune domande:
–         come vivo interiormente il momento della consacrazione che ogni giorno, a volte anche più volte al giorno, celebro?
–         come partecipo alla consacrazione che, per opera dello Spirito Santo, trasforma il pane nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue?
–         sono consapevole che nelle parole che pronuncio: “Prendete, e mangiate, questo è il mio corpo … Prendete, e bevete, questo è il calice del mio sangue” mi unisco a Gesù per offrire la mia vita e la mia morte per i fratelli e le sorelle che incontro e che servo ogni giorno? Non abbiamo paura di pronunciare queste sante parole durante la consacrazione, fissando i nostri fratelli e le nostre sorelle, quasi dicendo: “Fratelli, sorelle, prendete e mangiate, questo è il mio, il mio corpo; anch’io voglio diventare un altro Gesù che si dona all’umanità”. Com’è bella e ricca una vita sacerdotale vissuta così… anche per un prete anziano e ridotto all’immobilità! E se qualche volta siamo in crisi perché pochi ci ascoltano e ci seguono, perché il nostro ministero è arido … ritorniamo a questo momento quotidiano della nostra giornata!
 
Se scopriamo e viviamo così l’Eucaristia, comprenderemo meglio che il nostro compito ministeriale si pone al servizio del sacerdozio universale di tutti i battezzati, perché anch’essi possano “offrire i propri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Romani, 12,1). Ci ricorda, infatti, il Concilio che “è attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell’unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore (PO, 2). Siamo chiamati a metterci a servizio del sacerdozio dei fedeli, perché ognuno di loro riesca a viverlo non solo nel tempio, ma nelle case, lungo le strade, nei luoghi di incontro, di lavoro, di gioia e di sofferenza, diventando ancora di più testimoni di Cristo, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pietro, 3,15). I fedeli hanno bisogno di incontrare il Signore nella sua Parola, nello spezzare il pane della sua presenza e nell’amore fraterno di una comunità. Il nostro servizio nei loro confronti è di rendere presente Cristo di fonte alla comunità. E’ un servizio alla loro vita di fede, in particolare con la Parola, i sacramenti e la guida spirituale perché il popolo di Dio si mantenga unito al suo Signore. Sappiamo che non è facile, anche perché è una tentazione che anche noi spesso sperimentiamo, di rifugiarci nella celebrazione e nel culto, e viverli in maniera intimistica ed egoistica.       
 
 
4.      Conclusione
 
Per vivere ciò è indispensabile che arriviamo a un’ unità profonda tra celebrazione e vita. Dio si consegna totalmente a noi e noi, nella celebrazione, rispondiamo consegnandoci e donandoci totalmente a Lui, votati al suo servizio. Il sacrificio spirituale che noi, come sacerdoti, siamo chiamati a offrirci e a offrire, se da un lato trova la sua sorgente e la forza nel dono dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo che ci ha donato morendo sulla croce, dall’altro si concretizza nell’offerta della nostra vita vissuta nella fede e nella carità, che si fa culto, servizio gradito a Dio e canto di lode. Dio Padre attende da noi e chiede a noi presbiteri, diaconi e religiosi di aiutare, secondo il nostro ministero, tutto il popolo che ci è stato affidato, a fare della propria vita un’offerta da immolare sull’altare, come sacrificio vivente e gradito a Dio. Quest’unità tra il culto spirituale e la vita vissuta nella fede e nella carità ci porta a proclamare, come ci ricorda Pietro al v. 9 “le opere ammirevoli di Lui”. Sono le opere del suo amore misericordioso, la buona notizia che tutti noi siamo invitati a proclamare con la vita.
Non abbiamo paura di chiederci: “Ma io, sono disposto ad annunciare le opere di salvezza che Dio ancora oggi compie nel mondo? Sono buona notizia con la mia vita? Sono dono per gli altri? Sperimento nella mia vita la misericordia di Dio?”. Non c’è missione sacerdotale, più obbligante ma anche più beatificante di questa. In realtà, solo chi sperimenta in se stesso la misericordia di Dio, si sente pienamente coinvolto nell’annunciarla a tutti. Misericordias Domini in aeternum cantabo!
 
Con le parole della seconda epiclesi della III preghiera eucaristica, chiediamo al Padre il dono del suo Spirito per essere come Gesù, sacerdoti e insieme sacrificio, dono: “Lo Spirito Santo faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti…”.    
 
 
 
                                                                       + Giuseppe Pellegrini
                                                                                  vescovo