L’omelia del Vescovo Giuseppe all’apertura dell’Anno pastorale a Porcia il 28 settembre

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Diocesi Concordia-Pordenone
Apertura Anno pastorale – Porcia, 28 settembre 2014
 
CORRERE IN CITTA’
Carissimi tutti, non abbiamo paura di entrare anche noi in questo grande fiume di gioia che Gesù ci offre questa sera. Lui, vivo e risorto ci invita d accogliere il suo dono. Lasciamoci afferrare dal suo invito e dal suo amore, ascoltiamo la sua voce. Anche quando le cose non funzionano bene, non smettiamo di cercarlo, ogni giorno, senza mai stancarci. Arriverà anche per noi quel ‘mezzogiorno benedetto’, quando avremo la possibilità di incontrarci con Gesù che “affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo” (Gv 4,6). L’incontro con Lui è fondamentale, perché ci permette di entrare in relazione diretta, reale e profonda. Solo dopo un incontro del genere, avremo la forza interiore, che ci viene dallo Spirito Santo, di condividere con gli altri la gioia dell’incontro, di essere evangelizzatori e missionari. Nell’enciclica Evangelii nuntiandi del 1975, Paolo VI parlava della “dolce e confortante gioia di evangelizzare” (n. 80).
Lasciata la brocca, la Samaritana corre in città e a tutti testimonia il suo incontro con Gesù: incontro che le ha cambiato la vita e le ha riempito il cuore di gioia. Nel progetto pastorale abbiamo descritto questi tre gesti profondamente missionari (pag. 26). Questa sera desidero per un momento soffermarmi e sviluppare il secondo gesto: correre in città! Non è facile per nessuno correre in città, andare incontro alle persone. C’è sempre il rischio di non essere capiti o di essere fraintesi, derisi, forse anche, come sarà successo alla Samaritana, di essere giudicati male… Solo la forza che viene dall’incontro con Gesù sarà capace di sostenerci nell’andare, nell’uscire. Pongo a me e a tutti voi una domanda: “Cosa significa concretamente andare in città?”. Non è un aspetto secondario, anche se può sembrare tale rispetto al contenuto o al metodo dell’evangelizzazione. E’ necessario, carissimi tutti, che anche nella nostra diocesi riprendiamo, con coraggio e con inventiva, la passione di andare incontro alla gente, di non aver paura di andare dappertutto, nei ‘luoghi fuori mano’ – papa Francesco parla delle periferie – dove la gente vive quotidianamente, e far risuonare agli uomini e alle donne del nostro tempo la Lieta Notizia: Dio è amore! Questo compito di annunciare il Vangelo riguarda ogni credente, lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e confermato nella Cresima, ed è affidato alle nostre fragili vite.
Possiamo tradurre “l’andare in città” della Samaritana come l’invito a testimoniare nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie. So bene che “correre in città” significa anche aprirsi alla missio ad gentes, oppure testimoniare in ambienti difficili e lontani dalla comunità cristiana. Ma ritengo necessario sottolineare la realtà delle nostre parrocchie, perché il contesto sociale, culturale e religioso in questo ultimi 50 anni è profondamente mutato. Pertanto è necessario, come ci ha ricordato papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: “passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (n 15), precisando che “la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è sempre fatto così’” (n.33). Una scelta che non nasce dal gusto di cambiare, della novità, ma che ci è chiesta dai radicali cambiamenti che il nostro tempo sta vivendo. E’ necessario che tutti noi, presbiteri e diaconi, consacrati e laici impegnati nell’attività pastoralene prendiamo coscienza perché, solo così, saremo in grado di non soccombere, di non restare a guardare il lento e inarrestabile dissolvimento delle nostre comunità parrocchiali. Ecco perché è urgente e necessario individuare strade nuove per portare il vangelo, la buona notizia a tutti. Che non ci capiti di correre in città e di trovare le porte chiuse o nessuno disposto ad ascoltarci!
Partiamo da una constatazione: la parrocchia tradizionale non esiste più. E’ in profonda crisi. Soprattutto è in crisi la sua funzione sociale, il suo ruolo preponderante nella vita pubblica. Viviamo in un contesto multiculturale e multireligioso, immersi tutti in una cultura ‘individualistica’, anche se questo termine non è sinonimo di egoista, egocentrico, uno ripiegato su sé stesso. La nostra società stenta a considerare l’importanza della vita di gruppo, della solidarietà verso gli altri. Ognuno è un mondo a sé. Anche il fenomeno religioso è lasciato alla libera scelta della persona, dove diventa centrale il pluralismo della fede e il modo di credere, relegando così il fenomeno religioso alla sfera del privato della persona. Dentro questo contesto, l’evangelizzazione assume un diverso valore, non limitandosi alla ricerca di nuove tecniche o modalità di annuncio, ma insistendo di più sulla trasmissione della fede che nasce da una esperienza viva di esperienza viva, dall’incontro personale con Cristo.  
E’ pur vero però, ed è riconosciuto da molti, che la parrocchia è importante, che ha un posto privilegiato nella vita della Chiesa. E’ insostituibile, anche se non è l’unica realtà di comunione (pensiamo alle associazioni, ai movimenti e gruppi ecclesiali). La parrocchia ha un posto privilegiato nella vita ecclesiale perché è la Chiesa incarnata in un luogo particolare, in questo preciso luogo