Il congedo del Vescovo Poletto dalla Diocesi

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domenica 3 Aprile

Carissimi presbiteri e diaconi, signor Sindaco, gentili autorità,  fratelli e sorelle nel Signore.
Mi perdonerete se, oggi , non do sufficiente spazio al commento della Parola di Dio, come sarebbe mio dovere. Vorrei vivere, però, questo mio commiato da voi come un canto di fede e di riconoscenza al Signore, che ha condotto la nostra vita, per oltre dieci anni, “per il giusto cammino con bontà e fedeltà”, come abbiamo cantato nel salmo responsoriale. (cfr Sl 22)
Entrai in Diocesi e in questo Duomo-Concattedrale, nella solennità dell’Immacolata, il giorno otto dicembre dell’anno 2000. Ero pieno di timore e non riuscii a nasconderlo. Mi era stato detto, tramite il successore di Pietro “va”, ed io sono venuto. Oggi mi viene detto, sempre a nome del Signore, “hai terminato la corsa: lascia”. Allora dissi che avrei voluto stringere la mano a ciascuno e dirgli: il Signore della vita, della pace e della gioia sia con te. Oggi voglio ripetervi questo augurio. Abbiamo fatto un tratto di strada insieme, aiutandoci reciprocamente, e scoprendo che nella strada della vita – quella del Vangelo – c’è posto per tutti, c’è speranza per tutti. Non siamo soli. Perciò non dobbiamo temere, perché Lui è con noi (cfr Sl 22).
Sia allora benedetta sempre la sua misericordia.
 
Mi dà serenità la coscienza che anche il mio “lasciare” è un atto di obbedienza al Signore; anche “il lasciare” è un servizio. Come per amore sono venuto e ho cercato di non tirarmi indietro nel donarmi, così per amore consegno ora a mani più robuste il timone della barca. E se il rapporto istituzionale tra me e voi cambia, il mistero nuziale che mi ha legato a questa comunità, per la vita e per la morte, con un legame definitivo “ad convivendum et ad commoriendum”, diventa d’ora in poi ancora più profondo. La Chiesa di Concordia-Pordenone è e resta la mia famiglia: io non ho altro sulla terra. Un giorno Dio chiamò Abramo e gli disse: “Esci dalla tua terra e va…”. Oggi Dio chiama me a uscire da tutto ciò che in qualche modo potevo ritenere mio, per andare verso la terra dell’amore puro e spoglio, nella preghiera, in compagnia dei fratelli e sorelle anziani e infermi. È ora che la fatica degli anni superattivi lasci il posto all’azione nascosta dello Spirito, che tutto porta a compimento.
Anche per questo sia esaltata la misericordia del Signore.
 
È una significativa coincidenza che io concluda il mio ministero di guida della Diocesi mentre viviamo questo tempo di quaresima, nuovo esodo verso la Pasqua. Come Israele nel deserto abbiamo seguito percorsi di liberazione per vivere relazioni nuove, con stili di vita nuovi, più coerenti con il Vangelo. Ci siamo posti l’obiettivo di essere, come Chiesa, presenza di novità evangelica, dentro la nostra società, in questa stagione della storia così delicata e complessa. Certamente non siamo stati esenti da incertezze e dai limiti dell’umana debolezza. Però – la visita pastorale e i continui incontri me l’hanno fatto toccare con mano – possiamo con onestà e fiducia riconoscere che mai abbiamo smesso di cercare “la luce del Signore”. E sono molti i frutti della luce, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, “frutti di bontà, giustizia e verità”che ornano il volto della nostra Chiesa. Sono certo che educati dall’esperienza che abbiamo condiviso, la nostra Chiesa resterà sveglia, vigilante, e Cristo la illuminerà anche per il futuro.(cfr Ef 5,8.14)
Sia, perciò, sempre benedetta la sua misericordia.
 
In questi anni con noi hanno camminato i nostri poveri – quelli delle vecchie e quelli delle nuove povertà – e ci hanno fatto capire che noi talora siamo più poveri di loro, perché chiusi nel nostro egoismo. Abbiamo sempre portato in cuore la nostalgia di coloro che non abbiamo saputo coinvolgere, capire o, forse, abbiamo tenuto distanti a causa della nostra cecità (cfr Gv 9). Mi pongo l’interrogativo se abbiamo sempre aperto gli occhi a sufficienza sulle difficoltà e i drammi di quanti conoscono la fatica del vivere. Se siamo stati sufficientemente solidali.
Nella sua misericordia Dio ci perdoni.
 
Più vicini a me siete stati voi, fratelli presbiteri. Ho patito con voi il graduale assotigliarsi della presenza e delle energie nel presbiterio e l’incapacità da parte mia di offrire ai giovani motivazioni valide che li muovessero a scelte coraggiose nel servizio della Chiesa. Ma ho potuto anche con voi condividere la grazia di promettenti ordinazioni sacerdotali e la grazia di un Seminario diocesano che onora il suo motto “Deinde feraces”. In questi dieci anni ho dovuto, inoltre, prendere decisioni di fare o non fare, ho suggerito linee operative e ho esaminato, consigliato, indirizzato. Talvolta le mie decisioni hanno pesato sulle persone. Nel fare questo ho faticato e sofferto. Mi pare di aver agito con retta intenzione. Ma solo Dio sa quante volte ho sbagliato. È un pensiero pesante questo, pesante da portare davanti a Dio. È un pensiero che rischia di schiacciarti. Quale mia preghiera sarà accolta da Dio, se non sarà sostenuta dal vostro benevolo perdono? Ve lo chiedo.
Io davanti a Dio vi ho difeso. Ora chiedo a voi di essere per me segno della sua misericordia.
Aggiungo un grazie a tutti e a ciascuno di voi. Dispensatemi dal dilungarmi nell’elencare nomi. Solo uno per tutti: il Vicario generale Mons. Basilio Danelon. Il grazie va poi a voi diaconi, fratelli e sorelle di vita consacrata, seminaristi, collaboratori della Curia diocesana, Operatori pastorali, missionari, fedeli tutti.
 
Un pensiero, colmo di rispetto per tutte le Autorità civili, di ogni ordine e grado, con le quali la collaborazione, in tutto questo tempo, è stata scrupolosamente rispettosa delle reciproche competenze e serena, costruttiva e pronta ogni volta che si trattava di ciò che poteva essere utile alla nostra gente, del bene comune da difendere e sviluppare. Il vecchio Vescovo che va in pensione (civile, non sacramentale!) è spogliato di autorità, ma non di autorevolezza; e neanche del dovere di restare a disposizione, con umiltà e lealtà di fronte alla libertà di coscienza di ognuno, per tutti accogliere e a favore di tutti essere intercessore davanti a Dio, la cui misericordia è eterna.
 
Guardiamo ora in avanti con speranza e rinnovata generosità. Cristo è ieri, è oggi, è sempre. Gli uomini sono come l’ombra che segue la realtà. La realtà è Cristo. Fino ad oggi sotto il nome del Vescovo Ovidio, domani sotto il nome del Vescovo Giuseppe. Lo sposo di questa Chiesa è il Signore risorto. Io sono l’amico dello sposo che esulta di gioia alla sua voce. Ora questa mia gioia è compiuta.
Anche nel nuovo Vescovo Giuseppe è Cristo che viene a salvarci.
Vieni, Signore, noi ti aspettiamo. Amen!
 
Pordenone, 3 aprile 2011
+ Ovidio Poletto
   Vescovo
03/04/2011 00:00
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