L’omelia del nostro Vescovo in occasione della S. Messa in suffragio di S.E. Mons. Luigi Padovese

Pubblicato l'11 giugno 2010

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Summaga, 10 giugno 2010
 
“Il figlio dell’uomo deve essere innalzato – dice Gesù a Nicodemo – perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Con queste parole il Signore da l’annuncio della sua morte in croce e della salvezza che ne deriverà per tutti. Con la sua morte e risurrezione egli ci ha spalancato la porta del cielo e ci ha preparato un posto, affinché a noi, suoi seguaci, venga donato di partecipare alla sua gloria. Siamo qui a chiedere che la porta della Gerusalemme di lassù si spalanchi per Mons. Luigi. È la porta attraverso la quale passano coloro che hanno amato la croce di Cristo e ne hanno vissuto e compreso il valore. Il nostro fratello e padre, il vescovo Luigi, aveva ricevuto il mandato di portare il messaggio della croce in terra turca, e così offrire l’unica speranza affidabile. Non era lì a proclamare se stesso, ma Cristo crocifisso. Era conscio della responsabilità di dover offrire questa superiore sapienza e dei rischi che questo annuncio comportava per lui, come accadde per l’apostolo Paolo. Aveva scritto in occasione dell’anno Paolino (2008): “Cari fratelli, annunciare Gesù Cristo per Paolo è stata una necessità che nasceva dall’amore per Lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole. Come disse dell’apostolo un altro figlio della nostra terra, Giovanni Crisostomo, “E’ in virtù dell’amore che Paolo è diventato quello che è stato. Non venirmi a parlare dei morti che ha risuscitato, né dei lebbrosi che ha sanato; Dio non ti chiederà niente di questo. Procurati l’amore di Paolo e avrai la corona perfetta”. Il sangue che l’apostolo versò a Roma intorno il 67 d.C. sotto l’imperatore Nerone, non fu altro che il naturale epilogo di una vita spesa per Cristo e per i propri fratelli. Tempo prima ai cristiani di Filippi aveva scritto: “Anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi.” Sono parole quasi profetiche che ci fanno leggere nella luce della fede la vita e la tragica morte di Mons. Luigi, e ci fanno comprendere con quali convinzioni interiori egli abbia portato a termine la sua missione. Di lui mi restano in cuore particolarmente alcuni tratti caratteristici della sua personalità di cristiano e di vescovo. – La fede salda e l’amore a Gesù Cristo. Citando Sant’Agostino Mons. Luigi aveva scritto: “Non può essere riscaldato chi non è vicino al fuoco ardente, né può riscaldarsi per un altro chi non ha Cristo con sé”. Egli aveva Cristo con sé, ne era innamorato. Spiegava: “Ho sempre pensato che vivere in Cristo significasse anche con-sentire, con-dividere, com-partecipare, com-patire. Non è forse vero che la beatitudine di essere immersi in Lui, non ci esime dal condividere la sua ansia, la sua passione per l’uomo? Chi di noi non sa per esperienza che l’esclusiva ricerca di Cristo è sempre inclusiva di tutto quanto egli ama?” Aveva proprio in cuore gli stessi sentimenti del cuore di Cristo! – E perciò viveva e comunicava speranza. Interpretava così la sua missione di vescovo. Nella pagina conclusiva di un corso di esercizi spirituali predicato ad alcuni vescovi riporta un episodio illuminante narrato da Clemente Alessandrino, che ha per protagonista l’apostolo Giovanni. “L’apostolo aveva affidato in custodia al vescovo di una comunità situata nei pressi di Efeso un giovane. “Ti affido costui – gli disse – con ogni premura dinanzi a questa Chiesa, prendendo Cristo come testimone”. Il giovane trovò ospitalità e attenzione nella casa del vescovo. Ma, alla lunga, il giovane, influenzato da cattivi compagni, prese a commettere delle scelleratezze. Alla fine, mise insieme una banda divenendo violentissimo e sanguinario. Un giorno Giovanni, passando da quella comunità, chiese al vescovo di restituirgli il deposito affidato a lui: “Chiedo il giovinetto e l’anima di quel fratello”. Amareggiato il vescovo gli rispose: “Quello è morto; per Dio è morto, poiché è divenuto malvagio e corrotto”. Profondamente addolorato l’apostolo si mise in viaggio alla ricerca del giovane. Si lasciò arrestare dalle sentinelle dei predoni e chiese di portarlo dal loro capo. Costui, armato com’era, aspettava. Quando però in colui che veniva avanti riconobbe Giovanni, preso da vergogna si mise a fuggire. Ed egli lo inseguiva con tutte le sue forze, dimentico della sua stessa età, gridando: “Perché, o figlio, fuggi davanti a me che sono tuo padre, che sono vecchio ed inerme? Abbi pietà di me o figlio. Non temere: tu hai ancora speranza della vita eterna. Io darò a Cristo giustificazione per te. Se sarà necessario pagherò io volentieri la tua morte, come il Signore pagò la nostra. Per te darò in cambio la mia vita. Fermati. Abbi fede: è Cristo che mi ha mandato. Egli, ascoltando, in un primo momento si fermò guardando a terra, poi gettò via le armi; infine tremando pianse amaramente.” Era la conversione. Concludeva Mons: Luigi: “Quest’episodio conferma il senso della missione episcopale: Essere testimoni della speranza perché uomini di speranza, coscienti che Cristo ha “pagato” per tutti e che in tutti c’è una qualche potenzialità di bene che attende la nostra parola, la nostra azione per essere risvegliata. È San Paolo a ricordarcelo: “Chi ama, tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, non perde mai la speranza”. – E poi la disponibilità e la testimonianza del dialogo fraterno con tutti nella carità. “Veritas in caritate”: era il suo motto. Leggo da un altro suo libro questa pagina: “Non mi è ancora passata l’irritazione per quanto andava predicando Simone di Montfort, messo a capo della crociata contro gli albigesi: “Ammazzateli tutti.- diceva – A riconoscere i suoi ci penserà il Signore”. Ma più ancora mi ha rattristato che siano stati dei vescovi riuniti nel Concilio Lateranense IV (1215), a giustificare tale violenza. Come hanno potuto invitare i cattolici a prendere la croce e ad armarsi per sterminare gli eretici? Come hanno potuto garantire a costoro le stesse indulgenze e privilegi concessi a quanti andavano in aiuto della terra santa? Quanto è sempre tributaria del suo tempo certa parte della Chiesa! Per fortuna che non era tutta la Chiesa. So che allora Francesco d’Assisi, pur presente al Concilio, ha percorso una strada totalmente diversa ma senza entrare in dispute che lo avrebbero visto perdente. A volte occorre soltanto agire contro corrente, ma senza sollevare troppa polvere. È questa che irrita. Checchè se ne dica, le guerre e le crociate non saranno mai “sante”, perché vanno sempre contro l’uomo. Togliere l’errore sopprimendo l’errante, significa non saper distinguere l’uno dall’altro. La verità non va contro l’uomo se non quando viene fossilizzata. Non sei stato forse tu, Giovanni, a dirci che bisogna odiare le idee sbagliate e le cattiverie, ma non gli uomini che sbagliano?”.”Sì, l’ho detto e lo ripeto: “Siamo incitati alla condanna del male, non di chi lo compie”. Bisogna distinguere tra l’uomo che è opera di Dio e l’errore che è opera del diavolo. Questi mira a disgregarci. Si accanisce a sciogliere il vincolo dell’affetto e preclude ogni via di intesa bloccando l’errante nell’errore e il fratello nell’odio e sotto un giudizio irreformabile. L’amore attira e favorisce l’adesione alla verità. Ho sempre avuto paura dei difensori della verità cristiana che non capiscono come attraverso l’amore si giunge alla verità. Il freddo ragionamento assunto come unico strumento per convincere chi non la pensa come noi è destinato al fallimento. Non dobbiamo plagiare le persone nè pensare di convertirle con argomenti umani: se cercassimo di farlo otterremo il risultato opposto”. A conclusione dell’anno sacerdotale il Signore ha posto misteriosamente davanti ai nostri occhi l’esempio di un pastore che ha sacrificato la sua vita per Lui, per la Chiesa, per il Vangelo; vero “pontifex”, ossia uno che ha fatto da ponte, portando il Vangelo agli uomini e portando gli uomini al Vangelo. Signore, non ti chiediamo perché ce l’hai tolto; ti ringraziamo perché ce lo hai dato.
 
+ Ovidio Poletto
Vescovo