Epifania

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6 gennaio 2012 Epifania B
 
Isaia 60,1-6
Dal Salmo 71
Efesini 3,2-3a.5-6
Matteo 2,1-12
L’Epifania celebra la manifestazione del Figlio di Dio al mondo. I Magi sono i testimoni internazionali della ricerca e della scoperta di Gesù come salvatore dell’umanità. Al di fuori della solennità del linguaggio liturgico, oggi riteniamo piuttosto che il Signore stia perdendo audience nella scena della storia: ci sembra che lo si consideri sempre meno, che l’uomo, almeno quello occidentale, voglia fare senza di lui. Celebrare quindi la “manifestazione” del Signore sembra quasi un atto nostalgico, che facciamo per tradizione, mentre il nostro cuore è si sta rassegnando al nascondimento o alla privatizzazione della fede.
L’intreccio tra la prima lettura e la scena descritta nel Vangelo ci consegnano un punto di vista insolito sul presepio e sulla vicenda di Gesù. Le parole di Isaia sono rivolte a una persona che riceve la luce del Signore in un mondo pieno di tenebra. Questo personaggio, unico possessore di un poco di luce, viene invitato dal profeta ad alzare il capo e a guardare bene quello che sta succedendo: tutto sta cambiando e tutto il mondo si sta rivolgendo verso questa luce che Dio gli ha dato e che lui porta con se. Questa esperienza è fonte di gioia grandissima.
Leggendo il Vangelo, queste parole del profeta di adattano molto bene a Maria: viene invitata ad alzare il capo nella notte e a constatare come Magi da tutto l’oriente stanno venendo alla luce, apparentemente tenue, del bimbo che è nato. Ma questo punto di vista viene proposto a ogni cristiano che ha ricevuto la luce del Natale e si accinge a tornare alla vita quotidiana. Il mondo è avvolto dalle tenebre, ma la sua luce sono proprio i credenti abitati dalla buona notizia. Non vale per noi lamentarsi di quanto male vadano le cose, di quanto grandi siano le tenebre, di quanto siamo caduti in basso. C’è da scoprire la sua luce dentro di noi per aprire gli occhi fuori, per accorgersi che il nostro mondo disastrato sta aspettando un poco di luce e che, se noi stessi non fossimo così poco fiduciosi nella luce che portiamo dentro, tutto il mondo potrebbe vederla e venirci incontro, mettendoci nella situazione non di far valere le nostre ragioni, ma di camminare insieme su una strada.
Paolo nella seconda lettura cerca di spingerci proprio a questo: il senso profondo della fede che viviamo è un mistero che tutte le generazioni stanno cercando, la speranza che agita e muove tutti gli uomini. Noi siamo i testimoni privilegiati di questa nuova vita promessa e forse dovremmo praticarla assiduamente senza lasciarci intimidire da altre visioni che ci sembrano comuni più accettate e soprattutto senza lasciarci frenare dalla nostra arroganza che ci spinge a usare la fede come arma per considerarci migliori degli altri.