Evento-testimonianza dell’Associazione “Carcere e Comunità”

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Sabato 15 novembre, alle ore 15.00, ci sarà l’inaugurazione della “Casa di Accoglienza OASI 2”, in via Seduzza 1, a Cordenons.
 
Tale iniziativa si colloca in provincia come un contributo alla sensibilizzazione culturale del territorio su Giustizia e Riconciliazione. Saranno ospitati (settenumero massimo) quanti all’uscita dal carcere non possono usufruire di famiglia, né di casa, né di lavoro. Nei sei mesi che la precederanno sarà predisposto un programma individualizzato composto, in collaborazione, dal Servizio Sociale del Comune di appartenenza, dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Udine, dalla direzione dell’OASI 2 e, naturalmente, dalla persona interessata.
 
 


L’incontro-testimonianza, in programma sabato 15 mattina all’Auditorium Concordia di Pordenone, a cui parteciperanno gli studenti degli Istituti pordenonesi di Scuola Media Superiore, avrà la funzione di porre in relazione l’esperienza ed il concetto di Giustizia e Riconciliazione.
Parleranno Claudia Francardi, vedova del carabiniere Antonio Santarelli, colpito alla testa da un diciannovenne il 25 aprile 2011 e morto dopo oltre un anno di coma, e Irene Sisi, la madre del ragazzo, Matteo Gorelli, che l’ha ucciso.
Claudia Francardi e Irene Sisi sono due donne unite da una tragedia. Claudia e Irene hanno deciso di fondare un’associazione, “AmiCainoAbele”, dicendo no alla vendetta, perché “portando la nostra testimonianza, raccontando la nostra storia, vorremmo sostenere percorsi di riconciliazione”. Il rapporto tra loro e la voglia di riconciliazione sono nati da due dolori che si sono incontrati. Dopo la morte di Antonio decise di voler incontrare anche Matteo, e anche lui ne sentì il bisogno. Matteo, prima condannato all’ergastolo, ora è agli arresti domiciliari. “Vorrei parlare con chi chiede pene punitive, per farli riflettere. Conosco le frustrazioni delle vittime, lo stare in aula, dover ascoltare avvocati e pm e non poter parlare del nostro dolore. Con Matteo invece posso parlare del mio dolore. A queste persone vorrei dire: almeno provateci”.