Seconda Domenica di Quaresima 2014

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II domenica di Quaresima – Mt 17,1-9 Domenica scorsa, nel Vangelo, il Signore ci ha mostrato la via per evitare di cadere nelle tentazioni, di prendere strade sbagliate. Questa domenica ci indica la via giusta, quella della relazione con lui. Egli infatti, sceglie i suoi discepoli e li invita a ritirarsi in disparte con lui, li porta su un alto monte e mostra loro il suo volto glorioso, mentre il Padre lo conferma come Figlio amato. E’ vero che la fede è morta senza le opere, ma anche le opere, soprattutto quelle quaresimali, sono insensate se non si intuisce la grandezza della chiamata che abbiamo ricevuto e della missione che ci è stata assegnata. Li condusse in disparte   –   Gesù prende alcuni dei suoi discepoli e si apparta con loro per una uscita in montagna (v. 1). Gesù vuole stare con loro e mostrare, in confidenza, chi è veramente. Se il Signore Gesù è venuto sulla terra non è perché era impossibile salvarla altrimenti, ma proprio per stare con noi e mostrarci l’amore del Padre. E’ anche il senso profondo del percorso quaresimale: siamo invitati a staccarci un poco dal mondo con uno stile sobrio e ad aprire a lui degli spazi con la preghiera e il silenzio. Gesù vuole avvicinarsi a noi, e il motivo dell’aumento della preghiera in quaresima è proprio la ricerca di un più intimo e personale rapporto con Cristo. Fu trasfigurato   –   Gesù si apre ai suoi e mostra la sua gloria (vv. 2-3). L’esperienza descritta in termini visivi va tradotta in esperienza interiore. Il volto di Gesù brilla come il sole, cioè genera nello spirito di chi lo vede la certezza che il Gesù che ha conosciuto è strettamente legato alla potenza più alta del Dio della creazione. Faccio la stessa esperienza quando vedo Gesù e scorgo sul suo volto e nelle sue parole la potenza divina che porta avanti tutta la vita nell’universo. Le vesti candide come la luce indicano l’aspetto visibile della sua identità profonda: egli è il risorto (i discepoli non sanno bene che cosa significa, ma noi lettori del Vangelo sì) e la sua persona fa luce sul senso della vita dell’umanità intera. Mosè ed Elia sono evidentemente la sintesi della Legge e della Profezia che fino ad allora avevano insegnato all’uomo come rimanere nelle vie di Dio. I discepoli hanno compreso che Gesù con la sua vita e il suo Vangelo ha mostrato in maniera definitiva all’uomo come comportarsi (legge) e come Dio giudica e progetta la storia (profezia). Pietro prende la parola   –   L’esperienza della Trasfigurazione per i discepoli è entusiasmante: non capiscono tutto, ma intuiscono la grandezza di quello a cui sono stati chiamati. Un’esperienza così forte da far loro prendere l’iniziativa di una proposta, di dire a Gesù, Mosè ed Elia (!) che cosa si potrebbe fare adesso (v. 4). E’ un po’ il sistema di Pietro: quando scopre una cosa bella di Gesù, invece di chiedere a lui che cosa fare, si mette a proporre egli stesso la via (vedi Mt 16,16-23), come noi quando pensiamo di avere capito tutto di Gesù. In questo caso però l’emozione che annebbia un poco la ragione è più che giustificata: “è bello per noi stare qui!” è lo slancio che nasce dall’aver capito che Gesù viene dal cielo per stare con noi, proprio con noi, e dal piacere di condividere questa vicinanza con lui. Magari sbagliassimo anche noi così! La nube luminosa   –   Mentre Pietro coglie la bellezza del dono ricevuto, fa udire la sua voce il Padre. La sua presenza è indicata da una “nube luminosa” che è concretamente un controsenso, ma è il modo migliore per indicare una presenza allo stesso tempo misteriosa e chiarissima. Ogni nostra esperienza della presenza di Dio si potrebbe definire così: abbiamo capito con assoluta chiarezza che era lui, ma non possiamo dimostrarlo e neppure esserne razionalmente sicuri noi stessi. Quale chiarezza e quale mistero ci vengono indicati nella Trasfigurazione? I discepoli hanno compreso con intuizione profonda che Gesù è l’amato, che corrisponde a Dio. Non capiscono ancora fino a quanto e fino a quanto li sta coinvolgendo in questo Amore. L’invito allora ad ascoltarlo è un invito fatto anche a noi a metterci in strada, in discussione, per cogliere quanto Amore siano Cristo e il Padre e quanto il loro Amore possa diventare anche nostro. Oltre ogni nostra possibilità. Il momento del timore   –   Al sentire così vicina la Parola di Dio in persona i discepoli rimangono sgomenti e cadono in adorazione (v. 6). Quando si sente sul serio la vicinanza di Dio, si trema sempre per la grandezza di quello che ha fatto e che ci chiede. E’ quando si prega formalmente che si rimane indifferenti, è quando si è capito poco che si rimane inteneriti. I discepoli si spaventano perché non sono assolutamente preparati, puri, degni a quello che sta succedendo. Ma sono invitati a scoprire come noi che il Signore non sceglie i suoi discepoli in base ai meriti, ma alla grazia (2Tm 1,8-9) e li chiama per coinvolgerli nella costruzione del Regno, non per premiarli.Essi allora sono invitati a partire, non a restare. La vicinanza di Cristo ci deve spingere a costruire vicinanza con gli altri, affrontando il viaggio, come Abramo (Gen 12,1-4) per mettere alla prova e dare concretezza all’entusiasmo di aver incontrato Dio così da vicino e la nostra fiducia in lui. E il nostro viaggio si chiama “testimonianza”, che però sarà completa solo quando avremo compreso anche la gioia della risurrezione (v. 9).