Carissimi, con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa, durante la quale siamo invitati a trovare un po’ di tempo per riflettere sugli aspetti centrali della nostra fede cristiana: passione, morte e risurrezione di Gesù. È una domenica molto sentita dalla nostra gente, ricca e intensa, contraddistinta da due Vangeli: quello dell’entrata festosa di Gesù in Gerusalemme, che è stato proclamato durante la Benedizione degli Ulivi e il racconto della Passione di Gesù secondo l’evangelista Marco. L’ascolto di questo racconto tocca profondamente il nostro cuore, perché in Gesù che soffre e muore per noi, riconosciamo colui che ha realizzato in pieno la volontà di Dio, diventando per tutti noi un modello di vita. Desidero offrirvi alcune semplici considerazioni che ci aiutano ad entrare più profondamente nei riti di questa santa settimana e a comprendere il valore più vero della morte di Gesù per noi.
La narrazione della Passione che ci presenta, almeno apparentemente, l’esito fallimentare della vita di Gesù, pone a noi credenti, ma anche a tanti non credenti, delle domande e degli interrogativi che vale la pena richiamare. Dove è finita la potenza e la forza di Gesù con cui egli ha liberato tante persone dalla sofferenza e dalla malattia? Dov’è finito il suo carisma profetico con cui egli annunciava la venuta prossima del Regno di Dio? Dov’è finita tutta la sua autorevolezza? Ancora più radicalmente: dov’era Dio durante la passione di Gesù? Quel Dio che sembrava così vicino e che Gesù chiamava “Abbà, Padre”, quel Dio per il quale Gesù aveva messo in gioco tutta la sua vita, dov’è finito? Ma in questa situazione così paradossale e incomprensibile, Gesù ha avuto fede e ha creduto che Dio non lo avrebbe mai abbandonato. Nell’Ultima Cena, con l’istituzione dell’Eucaristia, Gesù ci ha fatto capire che la sua morte non è stata un evento capitato per caso, un fato del destino, ma una scelta libera di fedeltà alla missione che Dio gli aveva affidato, donandosi a noi per amore e per salvarci dai peccati e dalla morte.
San Paolo della seconda lettura ci aiuta a entrare ancora più profondamente nella comprensione di questo mistero, affermando che Gesù “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Filippesi 2,7). È la risposta nei confronti di chi non comprendeva lo stile di vita e la scelta di Gesù, tipica di quell’umanità arrogante che pretende di sapere già tutto. Gesù risponde spogliandosi di tutto, di qualsiasi elemento che potrebbe sembrare una grandezza in questo mondo, togliendo ogni possibilità di contrapposizione perché Lui è venuto nel mondo come un servo, disponibile a servire e a dare la vita. Nell’Ultima Cena, lavando i piedi ai suoi discepoli, Gesù inaugura relazioni nuove: un nuovo modo di stare nel mondo, di entrare in contatto con gli altri, non più misurato dalla forza, dalla volontà di potenza, ma dalla libertà che viene da un cuore grande e pieno di amore. “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (2,9), perché Gesù si umiliò, sia abbassò per arrivare a tutti e perché potessero sentirsi a loro agio.
Il racconto della Passione ha come centro il crocifisso. È mezzogiorno, Gesù è solo in croce nel più assoluto silenzio, in attesa della morte. I discepoli sono fuggiti e le donne che lo seguivano stavano lontano. Sotto la croce ci sono solo dei soldati, degli avversari. Poco prima della morte, alle tre Gesù gridò a gran voce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34). È un grande grido, forte, che tutti udirono. Non è un grido di disperazione, Gesù si servì delle parole iniziali del Salmo 22, ma una confessione di fede, pur nella sofferenza estrema, in Dio che rimane l’unica presenza a cui rivolgersi; un Dio che non abbandona mai. Con quel grido Gesù non contestò il cammino che il Padre gli aveva fatto percorrere e nemmeno si rifiutò di percorrerlo fino alla fine. Ma chiese a Dio, nel momento della morte e del faccia a faccia con lui di non essere abbandonato, urlando con le poche forze che gli restavano.
Desidero che oggi, per un momento, ci disponiamo a contemplare quanto ha detto il centurione romano che si trovava di fronte a Gesù e che lo ha visto spirare in quel modo: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (15,39). Una sorprendente professione di fede pronunciata dopo avere assistito al succedersi delle varie fasi della crocifissione. quando le tenebre della notte si apprestavano a scendere su quel Venerdì santo, mentre si consumava il sacrificio della Croce e i presenti si affrettavano ad andare via per poter celebrare regolarmente la Pasqua ebraica. Le poche parole uscite dalle labbra di un anonimo comandante della truppa, risuonarono nel silenzio dinanzi ad una morte così singolare. Quell’uomo sul Golgota, pendente dalla Croce, era il figlio di Dio.
Lo scandalo della Croce rimane in tutta la sua durezza e incomprensione, ma il segno eucaristico memoriale della vita, che anche oggi celebriamo, sarà capace di dare un senso ancora più profondo alla vita di Gesù e di radunarci di nuovo attorno al Cristo risorto.
Buona Settimana Santa!
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
