Carissimi tutti, la nostra Chiesa diocesana è in festa perché riconosce la grazia e la predilezione che Dio ha per la nostra Chiesa e per tutta la Chiesa: il dono di cinque nuove vocazioni al presbiterato, che ci consola e ci permette di guardare avanti con speranza, nella certezza che il Signore non ci abbandona mai, continuando a manifestare il suo amore e la sua fiducia.
L’omelia si inserisce nella Liturgia di Ordinazione, iniziata con il gesto della Presentazione ed Elezione dei candidati. Il rettore del seminario, don Marino, ha detto: “La santa Madre Chiesa chiede che questi nostri fratelli siano ordinati presbiteri”. Non è una domanda personale degli educatori del seminario né un’autocandidatura degli ordinandi o una scelta già fatta che la Chiesa deve prenderne atto, ma una richiesta della Chiesa stessa. Certo, Alex, Riccardo F., Riccardo M., Diego e Luca si sono preparati e liberamente hanno accolto la chiamata e il progetto di Dio nella loro vita, ma il presbiterato non è stata una loro decisione ma una chiamata di Gesù, com’è successo agli apostoli. Questa è la peculiarità di ogni ministero nelle Chiesa: un dono di Dio che chiede di essere accolto. Infatti, nella Preghiera di Ordinazione così prega il Vescovo: “Ora o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico”. Non è il bisogno di persone specializzate come per una grande azienda, ma la necessità di continuare la missione che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Marco 16,15). Carissimi ordinandi, riconosciuta la chiamata, la Chiesa vi affida un mandato: portare Gesù nel mondo, farlo conoscere e farlo amare! In una delle vostre lettere ho letto: ‘Non è e non può essere un’opera mia, ma è prima di tutto un dono di Cristo e della Chiesa, al quale ho liberamente scelto di aderire, fiducioso che sarà Lui, costantemente a portarla a compimento’.
La Liturgia della Parola di questa IV domenica di Pasqua, domenica del Buon Pastore, come si legge nel Vangelo, ci aiuta ad orientare e a vivere la nostra vita assumendo lo stile di Gesù, Buon Pastore, pastore esemplare e modello, in particolare per noi presbiteri e per voi ordinandi. Pastore da imitare, non tanto per quello che è riuscito a realizzare nella vita o per i suoi successi ma perché ha dato la sua vita per le pecore. Non avendo la nostra società industrializzata familiarità con lo stile e la figura del pastore, ci aiuta la Colletta che descrive la figura di Cristo, Buon Pastore, come incarnazione del desiderio del Padre di prendersi “cura delle nostre infermità”. E la cura, la premura sono una caratteristica dell’amore, come ci ha ricordato la seconda Lettura: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati Figli di Dio” (1Giovanni 3,1). Gesù è il pastore perfetto e ideale, anche per quanti ricopriranno dopo di lui la funzione di guida, perché disponibile a rinunciare alla propria vita a favore del gregge. Non è sottintesa una strategia di marketing o di interesse personale, ma solo l’amore e la cura verso l’umanità intera. Per quattro volte troviamo nel testo il verbo ‘dare la vita’, deporre, svestirsi di sé per mettersi a servizio degli altri. È lo stesso verbo che designerà il gesto compiuto da Gesù prima di lavare i piedi ai discepoli: “depose le vesti” (Giovanni 13,4), donando a tutti la sua stessa vita, perché “ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo” (10,18). Mentre noi spesso siamo portati a tenere stretta la nostra vita o le cose, illudendoci così di possederle, Gesù le depone per la salvezza delle pecore, prendendosi cura di ciascuno, a differenza del mercenario, meglio salariato, che lo fa per mestiere ed interesse, guardando alla ricompensa per il lavoro. In verità questi non ama le pecore perché non gli appartengono, non contano per lui, abbandonandole nel momento del pericolo. Il modo di pascere del pastore buono non consiste in attività, iniziative e opere, ma prima di tutto nel conoscere. Dice Gesù nel Vangelo: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (10,14-15). Il verbo conoscere, nel linguaggio biblico indica relazione profonda, relazione d’amore con Dio e cura attenta e premurosa, nella gratuità e nella libertà, consapevoli, però, che non è solo per chi ci conosce e ci è simpatico, ma verso tutti, in particolare verso chi ci tende la mano, chi ha bisogno e si sente escluso e non accolto o chi è alla ricerca di un futuro migliore. L’amore ricevuto diviene amore donato.
Carissimi ordinandi, è un insegnamento che Gesù oggi, all’inizio del vostro ministero presbiterale, offre a tutti noi e a voi in particolare e che, a distanza di duemila anni, rimane ancora attuale. Potrei tradurlo con un’espressione: la pastorale è questione di cuore! Certo, ognuno ha il proprio carattere e stile di vita, i propri doni e talenti particolari, con qualche spigolosità e debolezza. Importante nelle relazioni, non trincerarvi dietro al vostro ruolo, sentendovi autorizzati a rispondere male o a trattare male la gente. Fondamentale è mettersi in ascolto delle persone, entrare in relazione personale con ciascuno. Una relazione che coinvolge tutto di voi stessi: intelligenza, mente e cuore. Il Libro sinodale ricorda l’importanza di formarsi “all’accoglienza e all’ascolto, all’adozione e all’utilizzo di un linguaggio di mediazione, attento e ospitale nei confronti della realtà della vita” (n. 2). Prima delle regole da far osservare vengono le persone da guardare negli occhi e da ascoltare e accogliere nelle loro storie e nei loro drammi. Carissimi, siete chiamati a portare speranza, fiducia e serenità a chi è smarrito e cerca un senso da dare alla propria vita. Siete chiamati a condividere e camminare insieme alle persone, in particolare agli adolescenti e giovani, testimoniando con la vostra vita di fede e di preghiera che Dio li ama e che sono al centro del Suo cuore.
Un bel programma di vita sacerdotale che può far paura! Ricordatevi, cari Alex, Riccardo F., Riccardo M., Diego e Luca che non siete soli. Con l’ordinazione siete inseriti in un presbiterio, contento di accogliervi e di condividere con voi un cammino di fraternità e di comunione. In particolare i giovani preti che hanno condiviso parte del vostro cammino in seminario, i sacerdoti delle parrocchie dove siete nati e dove avete esercitato il ministero, i preti del seminario, attendono da voi la freschezza del dono e l’entusiasmo che contagia. Non siete soli perché vi portate l’amore e la vicinanza dei vostri familiari, genitori, fratelli e nonni, che saluto con affetto e che ringrazio per il dono fatto alla Chiesa; la vicinanza e la gratitudine delle comunità parrocchiali che hanno sperimentato la vostra presenza e condiviso il vostro servizio. Non siete soli perché accompagnati da numerosi adolescenti e giovani che in questi anni avete conosciuto e ai quali avete voluto bene e che ora sono qui per sostenervi. Alcuni di loro sono quasi della vostra età. Cari giovani, guardando agli amici ordinandi, provate a valutare almeno una volta nella vita, la possibilità di intraprendere la stessa strada che stanno facendo. Non sarà certo facile, ma ve lo posso dire per esperienza, è una via che porta alla vera felicità. Non siete soli perché il Signore Gesù, vivo e risorto, non vi abbandona mai, illuminando i passi del vostro servizio presbiterale. Siate sempre ‘uomini di Dio’, preti che quotidianamente vi incontrate nella preghiera con il Signore e, come intercessori, gli affidate tutta l’umanità e le persone che vi hanno chiesto un ricordo.
Vi affido a Maria, la donna del SI senza riserve, perché sia sempre al vostro fianco e perché conservi qualche goccia del Crisma che oggi utilizzeremo per i momenti di stanchezza e scoraggiamento che incontrerete, ricordandovi che l’unzione non passa ma è eterna.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
