Omelia Anniversario Dedicazione Chiesa, Seminario 16 maggio 2024

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Carissimi, anticipiamo di una settimana la festa del 92°Anniversario della Dedicazione della Chiesa e dell’Altare del seminario da parte del vescovo Luigi Paulini e dedicata ai Santi Martiri Concordiesi e a San Luigi Gonzaga. Un saluto a voi seminaristi, ai vostri educatori, professori, ai sacerdoti residenti, al personale, ai vostri genitori e parenti e a tutti voi qui presenti.

La festa della Dedicazione della Chiesa è sempre un giorno particolare perché ci riporta non solo indietro nella storia, ricordando la sua edificazione in tempi non facili, ma soprattutto il significato che l’edificio materiale della chiesa riveste per la comunità cristiana, essendo il luogo della presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia e luogo dove si raduna l’Assemblea per celebrare i santi Misteri e per rafforzare e consolidare la propria fede nel Signore Gesù, vivo e risorto. Se questo è importante per ogni comunità cristiana, lo è in particolare per la comunità del seminario che, nella chiesa diocesana, ha un compito dedicato e importante: formare i futuri pastori delle nostre comunità cristiane comunità perché siano testimoni del Signore Gesù, con lo stile della comunione e della fraternità. La vita comunitaria del seminario è un’esperienza originale della vita della Chiesa, una comunità di discepoli in cammino, chiamata a ripresentare nell’oggi lo stile di vita di Gesù che si fa dono per gli altri.

La Parola di Dio della liturgia del giorno appena proclamata, ci aiuta a dare un significato ancora più forte al valore di questa celebrazione. Come ricordavo, la comunità del seminario, necessaria per la formazione dei futuri presbiteri, diventa una comunità ‘tipo’ di vita cristiana, formata da pietre vive, voi seminaristi e presbiteri, che quotidianamente vivete insieme, esempio dell’amore alla Chiesa e ai fratelli. L’ascolto della Parola e l’amore fraterno vi aiutano a rafforzare la fede e a consolidare legami di amicizia e di collaborazione tra di voi, tanto necessari nel tempo di oggi, anche se non è sempre facile. La prima lettura ci presenta l’apostolo Paolo in piena attività, desideroso di annunciare e testimoniare il Vangelo di Gesù, con perfetta coscienza di chi ha di fronte. Nella sua autodifesa al Sinedrio, pur annunciando il punto centrale della fede cristiana, la resurrezione, non fa il nome di Gesù, inserendosi così nella controversia tra farisei e sadducei. Questo fatto diventa l’occasione per Paolo di continuare la sua missione fino al centro dell’Impero: Roma. Il brano del Vangelo ci ripropone una parte del capitolo 17 di Giovanni: la preghiera di Gesù prima del suo arresto e del compimento dell’ora, detta anche Preghiera sacerdotale che conclude i discorsi di addio. Gesù prega il Padre “per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi” (vv.20-21). Gesù intercede per coloro che pur non avendo vissuto l’esperienza dei primi discepoli, crederanno per le loro parole. Gesù chiede al Padre non solo di custodire i discepoli nella verità, ma di conservarli nell’unità. La sorgente e la fonte dell’unità, per i discepoli di Gesù, non è data dall’avere lo stesso carattere e le stesse idee, e nemmeno dalla volontà di ripercorrere il cammino di Gesù, ma dalla profonda unione che c’è tra il Padre e il Figlio, meglio dall’essere una sola cosa con il Padre, il Figlio e lo Spirto Santo, prototipo di ogni comunità. Si possono intuire dietro questo testo di Giovanni, alcune fatiche e difficoltà della comunità cristiana primitiva, attraversata da rivalità e tensioni. Gesù prega per noi perché non ci dimentichiamo mai che il centro e il fine della nostra vita è e rimarrà sempre l’amore, la comunione e la fraternità, sull’esempio della Trinità. Questa unità si attua solamente grazie all’amore vicendevole, che è l’amore stesso che scaturisce dal Padre e per mezzo del Figlio si diffonde nel mondo. Solo l’amore salverà il mondo, favorendo che ogni persona si apra alla fede, “perché l’amore con il quale mi ha amato sia in essi e io in loro” (v. 26). Gesù prega per l’amore dei discepoli, perché vuole che condividano la sua stessa gloria.

Carissimi seminaristi, è bello sapere che Gesù, nella notte più difficile della sua vita, prima di consegnarsi alla morte in croce, ha pregato per me, per te e per ciascuno di noi che abbiamo creduto nella Parola che ci è stata annunciata, chiedendoci di non aver paura di entrare in questo flusso di amore che emana da Dio e che a Dio ritorna. Ha pregato anche perché fossimo uniti fra di noi e con Dio, il Padre, il Figlio mediante lo Spirito Santo. Unità e comunione che siete chiamati a vivere concretamente nella comunità del seminario, che non è quella ideale scritta nei documenti, ma quella concreta che vivete ogni giorno nella comunità del Maggiore e della Propedeutica. Incontrandomi personalmente con voi del Maggiore, qualche tempo fa, ho percepito la gioia del vostro cammino formativo, ma anche qualche fatica e difficoltà nella vita comunitaria. Passare tanto tempo insieme non è facile, perché porta a notare più i difetti che i doni dei compagni e a far fatica ad accogliere i modi diversi di agire e di pensare. Può capitare che si è uno accanto all’altro, senza mai interessarsi della sua vita, della sua salute o di qualche aspetto personale che lo fa soffrire. Viene più facile chiudersi in se stessi o in piccoli gruppettini, dimenticandosi degli altri e perdendo di vista il senso vero dell’essere comunità. La formazione alla vita fraterna non si insegna ma si vive quotidianamente. Parlando ai seminaristi, spesso papa Francesco ricorda che la fraternità è, specialmente ai nostri giorni, una delle più grandi testimonianze che possiamo offrire al mondo oggi. Ma per essere una comunità così, è fondamentale che ognuno alimenti una forte relazione personale, viva e autentica con Gesù, amandolo più di ogni altra cosa e incontrandolo quotidianamente. Nella vita delle comunità, di ogni comunità anche quella del seminario, spesso serpeggia il virus del pettegolezzo e del chiacchiericcio che portano alla divisione e talvolta anche alla contrapposizione. Questo stile uccide la fraternità portandoci a diventare persone che dividono e non che condividono. Questo non è solo il fallimento della vita fraterna ma il segno che il diavolo che è divisione, è presente nella comunità, portando alla distruzione della Chiesa.

L’ideale e l’immagine del prete oggi, come ricorda spesso Papa Francesco, non è più di un uomo solitario, chiuso in canonica e in attesa delle persone che vengano a bussare, ma di un uomo della comunione e fraternità, capace di ascolto e di relazione, vicino alla gente, compassionevole e sensibile. Questo, cari seminaristi, è centrale nel cammino formativo del seminario, che non è solo teorico, ma concreto e sperimentabile. Ma la fraternità e la comunione non sono prerogativa solo dei seminaristi e del seminario, ma di tutta la Chiesa: delle nostre comunità cristiane, delle nostre famiglie e ambienti lavorativi. A tutti auguro di saper gioire della comunione che il Signore ci dona e di pregare perché fiorisce sempre di più nei nostri ambienti.

Buona festa a tutti.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo