Un carissimo e affettuoso saluto di benvenuto a voi cari giovani presbiteri della diocesi di Padova. Ringrazio il Signore e sono grato della vostra presenza, segno di comunione e di fraternità tra di noi e delle nostre Chiese del Triveneto. Portate il saluto più caro al vostro vescovo Claudio.
Ci lasciamo guidare dalla Parola del Vangelo che ci offre la Liturgia di oggi. La domanda è tra le più appassionate e coinvolgenti che Gesù abbia rivolto ai suoi discepoli e che oggi rivolge anche a ciascuno di noi: “Chi dite che io sia?” (Luca 9,20), chi è Gesù? Una domanda che qualche versetto prima si era posto anche Erode Antipa, informato delle voci che correvano su Gesù. Siamo sul finire dell’attività pubblica di Gesù in Galilea. L’incomprensione della folla e anche di alcuni discepoli, costringono Gesù a concentrarsi sulla formazione del piccolo gruppo di discepoli e di discepole che lo seguivano. La sua preoccupazione, come vediamo in questo testo e negli altri passi paralleli dei sinottici, si concentra non tanto sull’esattezza teologica della risposta quanto sul vero coinvolgimento dei discepoli al suo progetto e alla sua missione. Ecco perché il testo di Luca, meno un drammatico e meno ricco di particolari degli altri, ci aiuta a concentrare l’attenzione sulle parole di Gesù.
La domanda posta da Gesù ai discepoli, chi sono io, è una domanda straordinaria, posta da colui che porta il nome divino ‘Io Sono’. Ma per quanto possa essere sorprendente, a Gesù interessava porre questa domanda perché non esiste relazione più vera senza una profonda relazione con la persona. Più si ama e più si desidera conoscere l’altro; più si conosce e più si desidera. Conoscere e amare sono la faccia della stessa medaglia, anzi nella Bibbia sono sinonimi! Gesù desiderava essere conosciuto e riconosciuto dai suoi amici. Infatti, il fondamento di ogni amicizia è il desiderio di conoscere e di essere conosciuti. Possiamo dire che è intrinseco alla vera amicizia onorare l’identità che si afferma o si rivela. Il vero amico non solo accetta chi dice di essere ma si rivela all’altro aiutandolo nello stesso tempo ad aprirsi e a rivelarsi. A noi il compito di aprire la porta del nostro cuore per fare entrare il Signore nella nostra identità più profonda. Ma come ci ricorda l’Apocalisse, la porta si apre solo dall’interno di noi stessi. “Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3,20).
L’interrogativo di Gesù è preceduto da: “Ma voi” (9,20). Voi che avete abbandonato tutto per seguirmi e voi che siete stati con me condividendo la mia missione. Chi sono io per voi? Penso al significato che ha questa domanda per noi preti, per ciascuno di voi preti giovani. La risposta non è da cercare nei libri o nei manuali ma dentro di noi, perché è una domanda che nasce dal cuore e che svela i sentimenti più profondi del cuore, somigliando alla domanda che si fanno due innamorati: chi sono io per te, quanto posto ho nella tua vita e quanto posto hai tu nella mia vita? Gesù non si accontenta di risposte preconfezionate perché la sua identità più profonda e sconvolgente, la scelta che discepoli stavano compiendo nell’incamminarsi dietro di lui verso Gerusalemme e la scelta che anche noi abbiamo fatto di essere suoi discepoli, chiedono di seguirlo con tutto se stessi sulla strada della croce e dell’amore. Gesù per la prima volta parla con tanta chiarezza della croce, che non è avere più coraggio nell’affrontare il martirio ma di saper trasformare la sofferenza e la morte in un gesto d’amore, come ha fatto Lui. La croce non è l’ultima parola ma diventa il segreto per capire il mistero di Gesù secondo il Vangelo. La risposta di Pietro, tu sei “il Cristo di Dio” (9,20) il Messia, deve essere completata dalla rivelazione del “Figlio dell’uomo” (9,22).
Lasciamo risuonare dentro di noi la domanda: Qual è il Signore che conosco? Non ci si può nascondere dietro le risposte di altri. Questa domanda interroga la nostra umanità, la nostra maturità e la nostra libertà. Ognuno è chiamato a rispondere in prima persona e da questa risposta dipende e dipenderà tutta la nostra vita di presbiteri e il nostro ministero pastorale. In una parola tutta la nostra vita. “Se con la tua bocca proclamerai ‘Gesù è il Signore’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Romani 10,9).
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
