Un caro saluto a tutti voi e buona festa patronale alla parrocchia e alla Diocesi. La Parola di Dio che la liturgia ci offre, ci invita a comprendere, anche se lontani nel tempo, la fede e la statura umana e spirituale dei santi Martiri Concordiesi, patroni della vostra parrocchia e compatroni della Chiesa diocesana. La seconda lettura, la conclusione del capitolo ottavo della Lettera di san Paolo ai Romani, affascinante e coinvolgente, con uno stile dialogato, dove le risposte che seguono le domande sono per l’ascoltatore ancora domande, ci aiuta a rafforzare la nostra fede e a mettere il Signore Gesù al centro della nostra vita cristiana. Anche perché erano considerazioni ben note alle prime comunità cristiane che ascoltandole si sentivano rafforzate e forti nella professione della loro fede e nella vita di ogni giorno. Desidero richiamare tre semplicissime annotazioni. Il versetto 32 ci ricorda che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, riprendendo il racconto di Genesi del sacrificio di Abramo, ben conosciuto dagli ascoltatori di Paolo. Dio non solo ci ha donato il suo Figlio ma con cuore di Padre, con amore e sofferenza, ha permesso che il suo Figlio Gesù donasse la sua vita per noi. Nel versetto 34 Paolo pone l’intercessione di Cristo al centro dell’Opera di Salvezza di Dio. Gesù si è posto in mezzo, tra l’umanità e il Padre. Questo è il significato vero di intercessore, che lo ha fatto non solo con le parole ma con la vita, donandola al mondo. Nel versetto 35 espressamente Paolo traduce tutto questo con un’espressione ancora più forte e significativa: Dio ha donato il suo Figlio per amore. Ecco perché Paolo può cantare: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? … Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore” (Romani 8, 35.39).
Noi non conosciamo l’identità dei primi Martiri concordiesi, se non qualche nome e il racconto del loro sacrificio e del loro martirio. Secondo la tradizione erano 72, alcuni provenivano da Vicenza, altri dalle nostre terre, convertiti dalla loro predicazione. Furono martirizzati agli inizi del IV secolo nella grande persecuzione di Diocleziano che aveva scatenato per tutto l’impero. La storia ci racconta che tanti cristiani, sotto le prove e le persecuzioni, non erano riusciti a resistere. Molti altri, invece, come i Santi Martiri concordiesi erano resistiti, testimoniando la loro fede fino alla morte. Alcuni di questi si erano fatti i cristiani prima di venire a Concordia, mettendosi alla sequela del Signore e accogliendo l’invito di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra. Loro erano partiti pur sapendo a cosa andavano incontro, desiderosi però di far conoscere il Signore Gesù e di vivere come lui aveva vissuto, nell’amore, nel perdono delle offese ricevute e nel fare della propria vita un dono per la salvezza dell’umanità.
Interessante quanto ci dice l’evangelista Luca nel Vangelo appena proclamato. Siamo al capitolo 9 che si conclude con l’invito fatto da Gesù ai discepoli di seguirlo verso Gerusalemme, luogo del suo martirio. Un capitolo che si apre con l’invio in missione dei dodici. La missione è l’orizzonte e il fine di ogni incontro e di ogni relazione con Gesù. Infatti, l’incontro con lui non porta a chiusure, a ripensamenti, a pensare solo al proprio interesse, ma ad andare, liberi da ogni condizionamento per portare a tutti la salvezza e l’amore di Dio. I discepoli ritornati dalla missione riferiscono a Gesù quanto hanno fatto, contenti di essere stati ascoltati e di avere anche operato qualche prodigio. Sappiamo però, come aveva ricordato Gesù ai discepoli, che andare in missione significa portare la croce, significa perdere la vita per lui, significa non vergognarsi mai di lui e delle sue idee. Cercare di salvare se stessi è perdersi; ma perdere la propria vita, i successi e gli onori è entrare nella vita vera. Questo è il paradosso, ieri come oggi, del mettersi alla sua sequela e dell’essere cristiani. I nostri santi martiri di Concordia hanno sperimentato la gioia di essere testimoni, mista al dolore e alle sofferenze di donare la vita. Ora sono in paradiso e dopo 1700 anni li ricordiamo e li veneriamo come patroni e intercessori presso il Padre celeste, ringraziandoli per il dono della fede che ci hanno trasmesso. Carissimi, è importante celebrarli e ricordarli in questa festa con gioia, perché ci hanno insegnato il modo più bello per essere felici. Attraverso il coraggio di professare la fede fino alla morte, i martiri ci fanno vedere la genuinità del credere nel Signore Gesù, indicandoci il cammino della sequela. Martire, infatti, significa essere testimone, testimone di Gesù, non solo a parole ma con i fatti concreti della vita. La loro esperienza non fu una testimonianza facile. La fede non elimina la paura e la sofferenza. Sant’Ignazio di Antiochia, in una delle sue lettere, invitava i cristiani di Roma a sostenerlo con la preghiera e ad avere il coraggio di resistere fino alla fine. Il martirio non è la ricerca del dolore e della sofferenza, ma è il desiderio di amare Cristo e tutta l’umanità a costo della propria stessa vita.
Per noi oggi e per la nostra Chiesa di diocesana, celebrare la festa dei Santi Martiri in questo Anno Santo della Speranza, significa essere portatori e testimoni di speranza ovunque; significa condividere la fede con chi fa più fatica a credere; significa domandarci quanto siamo disposti a perdere per conservarla. Anche noi siamo deboli e fragili e talvolta abbiamo paura di perdere qualcosa, paura di perdere un’ora alla settimana nel vivere e partecipare all’Eucaristia domenicale, per nutrire la nostra vita e la nostra fede con la Parola di Dio e con il sacramento dell’Eucaristia. Anche tanti nostri ragazzi, adolescenti e giovani fanno fatica a partecipare alla messa domenicale e al cammino di catechesi per consolidare e per rafforzare il cammino di fede e per dare un senso e un significato profondo alla vita. Chiediamo al Signore il dono e la grazia di alimentare e sostenere la nostra fede e il dono di metterci alla sua sequela per essere suoi discepoli. Non abbiate paura di farvi, in questa festa, qualche domanda che lascio alla vostra riflessione personale. “Se andremo avanti così come stiamo facendo, resisterà la nostra fede cristiana? Ci siamo messi veramente alla sequela del Signore? Quanto siamo capaci di sperimentare la gioia e la bellezza dell’incontro con Lui nell’Eucaristia domenicale?”.
Preghiamo perché il Signore renda ancora più forte la nostra fede.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
