Omelia Ordinazioni diaconali, Concattedrale Pordenone 17 giugno 2018

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Carissimi Luca, Alberto e Giulio,
la Parola di Dio di questa domenica e la scelta di consacrarvi per sempre al servizio della Chiesa e dei fratelli e sorelle nel diaconato, sono per tutti noi motivo di speranza e di gioia.

Risuona alta e forte la parola del profeta Ezechiele, non solo per il popolo eletto in esilio a Babilonia, privo del tempio e della terra promessa, ma anche per noi che viviamo le contraddizioni e le paure del tempo presente, accompagnate dalla fatica di essere Chiesa e comunità cristiana viva; parole che ci ricordano che Dio è capace di far germogliare l’albero secco che “metterà radici e farà frutti e diventerà un cedro magnifico” (17,23). Compito dei profeti, di ieri e di oggi, è di aiutarci a leggere la storia dell’umanità e anche la nostra storia personale, come storia di salvezza, partendo dalla prospettiva di Dio, dalla sua fedeltà all’alleanza e dal suo grande amore per noi. E’ lo stesso messaggio che Gesù ci propone raccontandoci la parabola del seme che piantato cresce da solo, con una forza inimmaginabile che porta dentro, così come dentro ciascuno di noi c’è una potenza che non dipende da noi e dalle nostre capacità, ma proviene da Dio, dalla forza dello Spirito Santo. Questa è la sorte di chi si lascia guidare dalla Parola di Dio e non ha paura del futuro perché la nostra meta è il Regno dei cieli. “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Marco 4,27). E’ la legge della natura e del regno di Dio: tutto è in cammino, un fiume di vita che scorre e non sta mai fermo, in cammino verso la fioritura e la pienezza. La vita e la crescita stanno nelle mani di Dio e sono un suo dono. Possiamo definire la grande legge della natura e del Regno: dare, donare. Per star bene, per vivere bene, per compiere una scelta come state facendo voi, ordinandi, è necessario donare e amare. Una persona è matura quando è capace di fare della propria vita un dono per gli altri, di affidarsi, di consegnarsi. Usando l’immagine del seme che cresce, Gesù ci ricorda che anche noi, se vogliamo portare frutto, dobbiamo entrare nella logica del dono che viene da Dio e che ci dà la forza di crescere per diventare poi dono per gli altri.

Carissimi ordinandi Luca, Alberto e Giulio, penso che in questi giorni vi sarete fatto tante domande: sono pronto per fare una scelta definitiva? Sarò capace di essere fedele per tutta la vita? Ce la farò? Non abbiate paura. La Parola che quotidianamente ascoltate, l’incontro personale con Gesù nell’Eucaristia già vi avranno suggerito alcune risposte, sostenendovi nel cammino e nella scelta. Anche la Parola di oggi vi invita a non dubitare, perché Lui, il Signore è con voi, dentro di voi e vi sta dando la forza di accogliere il suo amore e di testimoniarlo agli altri. Con il sacramento dell’Ordine che oggi riceverete nel grado del diaconato, siete chiamati a rendere presente nella Chiesa e nel mondo la forma di Gesù servo, mostrando così, agli uomini e alle donne del nostro tempo, spesso preoccupati di avere e di possedere, che la vera gioia nella vita, che l’affermazione più grande non è data dall’avere o dal potere ma dal servire. Servizio inteso come dono di sé! Ricordate sempre le parole chiare di Gesù ai suoi discepoli: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Ebbene, io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22,27). Come ci ricorda l’ininterrotta tradizione della Chiesa, il diacono unisce la duplice dimensione del servizio: servizio all’altare e ai poveri. Nella preghiera di Ordinazione, sono richiamati molto bene queste due modalità di servizio: “Con l’imposizione delle mani gli Apostoli affidarono (ai sette) il servizio della carità … Guarda o Padre questi tuoi figli che consacriamo come diaconi perché servano al tuo altare”.

Carissimi, questa sarà d’ora in poi la vostra vita, ora come diaconi, un domani come presbiteri: servi e non padroni; grandi e primi nel servizio e non nell’amore per voi stessi e tanto meno nella ricerca degli applausi e dei primi posti. Annunzierete il Vangelo non per la posizione o il ruolo che avrete, ma per l’amore e la carità verso tutti, in particolare verso i poveri. E’ una scelta di vita non facile, per voi ma anche per tutti noi consacrati. C’è un gesto nel rito di ordinazione molto significativo. Tra poco, dopo gli impegni, metterete le vostre mani nelle mie, promettendo a me e ai miei successori filiale rispetto ed obbedienza. Non è un gesto ‘antico’ di sottomissione o di vassallaggio; il suo significato è ben più grande. Questo gesto significa che non siete soli e vi ricorda che se consegnerete voi stessi e la vostra vita alla Chiesa, e attraverso di essa al Signore, sarete sempre in buona compagnia perché ci sarà sempre nella vostra vita qualcuno che si prenderà cura di voi.

All’inizio dicevo che questa celebrazione è motivo di speranza e di gioia. Gioia per me e per la nostra Chiesa diocesana che, accogliendo il dono di tre giovani che si mettono al servizio del Vangelo, si sente amata e non lasciata sola dal Signore. Gioia per il presbiterio e per i preti che vi hanno accompagnato in questi anni, dalle parrocchie di provenienza e di servizio pastorale e gli educatori e professori dal seminario. Gioia che vedo nel volto dei vostri genitori, familiari, parenti e amici. Gioia per le tante persone che godranno del vostro servizio pastorale. Gioia per i tanti giovani presenti che vi sono vicini e vi accompagnano nel cammino. Per qualcuno di loro è una gioia mista a un po’ di nostalgia, per la fatica a comprendere la volontà del Signore e per fare scelte impegnative a servizio del Vangelo.
Signore, che ci chiami ad amarti e a servirti, guardiamo a Te
per trovare in Te il nostro modello di vita,
per ricevere da Te la forza e il coraggio di servire,
per imparare ad amare come ami Tu, per sempre e senza limiti. Amen.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo