Meditazione Ritiro del Clero

Miti e umili di cuore

Santuario Madonna del Monte - 5 maggio 2022

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Meditazione Ritiro del Clero

Santuario Madonna del Monte

5 maggio 2022

Miti e umili di cuore

 

Carissimi confratelli, nell’omelia del Giovedì Santo mi sono soffermato sulla dimensione dell’ascolto, essenziale per noi, come persone e anche nell’esercizio del ministero ordinato. Ma per ascoltare veramente, per dare un senso pieno alla nostra umanità e per vivere con intensità il ministero, è necessario, come ci ricorda il profeta Ezechiele, aveva un cuore grande, un cuore di carne e non di pietra (cfr. 36, 26). Non per niente Gesù ci chiede di imparare da lui, che è mite e umile di cuore. In questa meditazione desidero soffermarmi e meditare con voi il valore e il significato delle virtù della mitezza e dell’umiltà, per essere buoni e bravi preti e diaconi e per esercitare nel modo più pieno il ministero che la Chiesa ci ha affidato.

  1. Rimeditiamo e contempliamo nella preghiera di adorazione il testo di Matteo 11,25-30.

25In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.

Dopo il discorso missionario rivolto da Gesù ai discepoli (cfr. Matteo10), segue una sezione narrativa che ci testimonia l’esistenza intorno a Gesù di un clima di tensione e di contraddizioni nei riguardi della sua persona e della sua missione. È l’interrogativo dei discepoli del Battista che chiedono a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (11,3); è il rifiuto e la non conversione alla predicazione di Gesù, delle città di Corazin, Betsaida e Cafarnao (cfr.11,20-24). Siamo di fronte ad un momento di prova e di fallimento del ministero di Gesù e della sua missione. Ma Gesù, invece di scoraggiarsi e abbattersi, fa sgorgare dal suo cuore un inno di lode gioiosa: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra” (v.25). Non un lamento si alza da Gesù verso Dio, ma una confessione che è lode e benedizione. Gesù si rivolge a Dio con una confidenza unica, chiamandolo Padre, perché in questo nome sono racchiusi la tenerezza, l’amore e la misericordia, trasformando il fallimento in una occasione di ringraziamento, perché guarda le cose da un’altra prospettiva, da un’altra logica: quella del Padre. In una delle ore difficili riconosce che Dio agisce attraverso di lui nell’annuncio della buona novella ai poveri, ai miti e agli umili. Nella preghiera, ogni fallimento (penso anche ai nostri fallimenti di pastori: l’assenza di frutti nel ministero, il disinteresse di tanti alle nostre proposte e attività …) non è mai causa di scoraggiamento ma occasione per rimettere al centro della vita l’amore del Padre. Gesù non se la prende con le persone colte, dotte e sapienti, infatti, il tono che usa non è punitivo nei loro confronti, ma di ringraziamento per quanti hanno accolto il messaggio del Padre. Gesù nella preghiera integra l’insuccesso, mettendosi davanti al Padre e confermando il suo ‘si’ e la sua decisione di adesione alla sua volontà e al suo progetto.

Il v. 27 ci ricorda che il Dio che si rivela ai piccoli è il Dio che Gesù stesso rivela, in quanto “mite e umile di cuore” (v.29). Fa pensare il fatto che Gesù, solo in questa occasione, dica: “Imparate da me!”, sottolineando così quanto è importante che il cuore diventi mite e umile e che ogni relazione umana deve essere impregnata di queste due virtù. In un certo senso, Gesù rivela appieno la sua identità affermando che Lui, Dio incarnato, è mite e umile di cuore. Dio si sottrae a chi si appoggia sulle proprie forze e conta sulla propria intelligenza o sulle proprie doti e capacità e, invece, si manifesta ai poveri, agli umili e ai piccoli. Gesù non ha nessun peso da mettere sulle nostre spalle: richiede solo di essere accolto con gioia, confidando nell’amore di Dio. Nelle relazioni, ancora prima del ruolo che ricopriamo, è necessario manifestare fino in fondo l’amore misericordioso di Dio, che si manifesta nell’umiltà e nella mitezza. Andare a Cristo, imparare da lui e seguirlo significa anzitutto apprendere l’arte della mitezza, che è l’arte di vincere la violenza e l’aggressività con il dialogo e l’ascolto. Ecco perché Gesù si rivolge ai discepoli con parole di conforto e di speranza: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (v.28). Con la rabbia, il rancore e la chiusura in se stessi, ci si avvelena la vita. L’apertura ad una vita nuova che fa affidamento alla disponibilità ad imparare da Lui, che è mite ed umile di cuore, ci permette di uscire dall’io egoista e orgoglioso, per stupirci di un Dio che ci ama per la nostra piccolezza e le nostre fragilità. Non basta seguire Gesù perché una volta per tutte lo abbiamo scelto. È necessario che anche oggi e ogni giorno assumiamo la logica del Padre, che è quella del dono, del sapersi spendere per gli altri senza nessuna rivendicazione. Questo significa entrare nella logica della piccolezza, che è la logica dell’incarnazione.

 

2. Approfondimento

 Carissimi, proprio in questo tempo complesso, così faticoso e complicato, siamo invitati a recuperare e riprendere l’atteggiamento contemplativo che certamente ha caratterizzato i giorni della chiamata e della nostra consacrazione, per sempre, alla volontà di Dio. Nella nostra vita sacerdotale e nell’esercizio del ministero, ci troviamo ad avere una quantità di cose da fare, di carte da sbrigare e di incontri da organizzare che ci fanno dimenticare che all’inizio siamo stati affascinati e attratti da uno sguardo, da un volto e dalla Parola. Anche oggi, se vogliamo incontrarci con Lui, è necessario avere un cuore puro, mite e umile, per essere suo riflesso ne mondo, aiutando le persone ad incontrarsi con Gesù, buon Pastore che dà la vita. Ma per avere un cuore così, per entrare nella logica delle Beatitudini è fondamentale contemplare il Verbo incarnato, Dio che si è abbassato per arricchirci della sua povertà (cfr. 2Corinzi 8,9). Anche noi siamo chiamati a ritrovare la somiglianza con Dio attraverso l’uomo Gesù Cristo, perché questa è la scelta che Dio ha fatto: ha preso la natura umana per insegnarci ad essere veramente umani, come lui ci ha voluti. Fa come Dio, diventa uomo, recita un detto dei Padri. Solo così saremo capaci di incontrare gli altri, di avere un rapporto vero con tutti, senza manipolazioni o imposizioni. Gesù ci insegna ad essere pienamente e veramente umani, facendosi servo di tutti. Ha incontrato e guardato ogni persona con benevolenza e rispetto della loro umanità: Pilato, Giuda, Caifa, l’adultera, il pubblicano, i lebbrosi, i malati, i soldati romani, i suoi discepoli e gli apostoli tanto fragili … Spesso ce lo dimentichiamo, ma il grande mistero della nostra fede è proprio l’incarnazione, Dio che si è fatto uomo.

A partire da queste considerazioni, si apre un capitolo importante per l’esercizio del nostro ministero ordinato. Il rischio è, anche oggi, di dimenticare che l’incontro con le persone deve sempre partire dalla consapevolezza che chi ci sta davanti è una persona umana e non un personaggio che gioca un ruolo o recita una parte. Una persona che vive determinate situazioni e che porta con sé fatiche e difficoltà, ha bisogno di essere accolta e amata, prima che ascoltata. Per questo Gesù chiede di imparare da lui la mitezza e l’umiltà del cuore, che sono le caratteristiche di Dio. Infatti, Gesù con la sua mitezza e umiltà rivela la mitezza e l’umiltà di Dio. Grazie a queste Gesù incontrava veramente le persone e non il personaggio. La mitezza e l’umiltà del cuore permettono di essere liberi di fronte agli altri e nello stesso tempo renderli liberi

1.Dio è umile! San Francesco d’Assisi è rimasto folgorato da questo atteggiamento di Dio, che in Gesù diventa chiaro e manifesto come un raggio di luce. Nelle Lodi di Dio Altissimo estasiato esclama: “Tu sei umiltà” e nelle Ammonizioni: “Ecco, ogni giorno Egli si umilia (cfr. Filippesi 2,8), come quando dalla sede regale (cfr. Sapienza 18,12) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote” (n. 1). Della virtù dell’umiltà, desidero approfondire due aspetti interconnessi: virtù umana e virtù divina.

° L’umiltà è la coscienza di non essere onnipotenti, di non voler essere onnipotenti, perché è una scelta. Il delirio di onnipotenza è presente in ogni persona e si manifesta in vari modi: durezza, insofferenza e rimproveri, verso Dio, verso noi stessi e verso gli altri. Accettare volontariamente la nostra non-onnipotenza, è la base dell’umiltà, perché ci fa dipendere da Dio, ci fa stare sotto il suo sguardo e ci fa sentire l’importanza e la necessità della relazione con Lui e con gli altri. L’umiltà dipende da uno sguardo vero sulla nostra esistenza, facendoci essere veramente umani, molto più forti di quanti cercano una immagine prestigiosa ottenuta con la forza e la potenza. Invece, la vera umanità è quella che ci dà il coraggio di affrontare e di accogliere gli altri senza doverli annientare. Ecco perché l’umiltà è la realtà più umana che ci sia: è la virtù che rende l’uomo veramente più uomo, perché lo aiuta a conoscere i propri limiti e a riconoscere che è stato creato da Dio. È la virtù che ci fa comprendere che abbiamo bisogno degli altri, perché, come ci ricorda san Paolo, siamo membra gli uni degli altri, siamo un corpo unico, e se un membro soffre, tutti soffrono e se uno gioisce tutti gioiscono (1Corinzi 12,26). Siamo interdipendenti gli uni dagli altri.

° L’umiltà non consiste principalmente nell’essere piccoli e neppure nel sentirsi piccoli o nel dichiararsi piccoli, ma nel farsi piccoli, perché questo è lo stile di Dio. Dio è colui che scende, che si abbassa per donarsi a tutti, come ci ricorda l’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (3,16). L’umiltà non è una virtù innata nell’uomo, ma che noi possiamo imparare da Cristo Gesù; pertanto possiamo anche dire che è una virtù divina! Ce lo ricorda san Paolo nell’Inno cristologico delle Lettera ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (2,6-7). Il vero significato della parola umiltà è abbassamento. Non è solo riconoscere di fronte all’altro i nostri limiti e le nostre fragilità, questo è semplicemente un atto di onestà, ma abbassarsi da una condizione superiore a una inferiore, senza guadagnarci nulla, senza nessun tornaconto, ma solo per amore. Per Gesù, l’umiltà e la mitezza sono ragioni tipiche del vero amore. Amare senza essere miti e umili è impossibile e irrealizzabile perché sono due condizioni senza le quali l’amore non può essere vissuto. Solo chi ama veramente e lo fa imitando Gesù, può comprendere cosa significa essere umili. La possibilità vera di vivere fino in fondo l’umiltà ci è offerta dalla capacità di perdonare un’offesa ricevuta. In questo caso, il perdono donato con tutto l’amore del cuore diventa un autentico atto di umiltà, perché ci unisce profondamente a quello che ha fatto Gesù sulla croce. Charles de Foucauld, che sarà canonizzato il prossimo 15 maggio, esclamò: “Mio Dio, un tempo credevo che per arrivare a te fosse necessario salire; ora ho capito che bisogna scendere, scendere nell’umiltà”.

2. Gesù ci ha proposto anche la mitezza di cuore. Diceva il card. Martini: “L’uomo mite è colui che, malgrado l’ardore dei suoi sentimenti rimane duttile e sciolto, non possessivo, interiormente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà”. Papa Francesco, nell’Angelus del 1° novembre 2020, commentando ‘Beati i miti’, ha ricordato che “i Miti sono coloro che sanno dominare sé stessi, che lasciano spazio all’altro, lo ascoltano e lo rispettano nel suo modo di vivere, nei suoi bisogni e nelle sue richieste. Non intendono sopraffarlo né sminuirlo, non vogliono sovrastare e dominare su tutto, né imporre le proprie idee e i propri interessi a danno degli altri. Queste persone, che la mentalità mondana non apprezza, sono invece preziose agli occhi di Dio, il quale dà loro in eredità la terra promessa, cioè la vita eterna. Anche questa beatitudine comincia quaggiù e si compirà in Cielo, in Cristo. La mitezza. In questo momento della vita anche mondiale, dove c’è tanta aggressività…; e anche nella vita di ogni giorno, la prima cosa che esce da noi è l’aggressione, la difesa… Abbiamo bisogno di mitezza per andare avanti nel cammino della santità. Ascoltare, rispettare, non aggredire: mitezza”. Nel Nuovo Testamento la mitezza è una Beatitudine e un frutto dello Spirito Santo (cfr. Galati 5,22) ed ha un volto: Gesù, mite e umile di cuore. Essere miti significa entrare nello stile di vita di Gesù che va incontro ad ogni persona, non la giudica ma la circonda di comprensione e di bontà. Essere miti richiede una buona capacità di ‘possedersi’, sapendo controllare le proprie emozioni e reazioni, mantenendo sempre equilibrio nel valutare e giudicare la realtà e permettendo all’altro di esprimersi e di essere quello che è.

C’è un virus che corrode i rapporti umani, e che talvolta è presente anche nei nostri ambienti, pur con modalità differenti: l’arroganza. Molte volte non se ne è coscienti, perché attenti più a quello che si deve fare, considerando solo le responsabilità che si hanno o gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Così si presta attenzione solo a se stessi e ai propri pensieri, dimenticandosi che, chi   ci sta di fronte, è una persona come noi, con una identità e una umanità da rispettare. L’arroganza è una piaga molto pericolosa, che genera conflitti, diffidenze, rabbia, vendetta, desiderio di rivincita e non favorisce vere relazioni e autentici rapporti umani. L’arroganza è tra i comportamenti umani più fastidiosi, soprattutto quando si usa, esplicitamente o implicitamente, la classica espressione: ‘Lei non sa chi sono io’, rivelando insicurezza, falsa convinzione di se stessi e vuoto interiore. L’arrogante è una persona che pensa poco e giudica facilmente, un prepotente che, sentendosi superiore agli altri, afferma la propria superiorità e posizione sociale. Vinciamo l’arroganza con la mitezza del cuore, attenti sempre a chi bussa alla porta del nostro cuore.

Carissimi confratelli, al seguito di Gesù il giogo della volontà di Dio non è più oppressivo e duro, ma genera già adesso quella pace e serenità, promessa agli umili e miti, garanzia della promessa definitiva. Il giogo di Gesù è dolce e leggero non perché ha fatto lo sconto sulle esigenze della volontà di Dio nel ministero che stiamo svolgendo, ma perché ci aiuta a togliere le paure e incrostazioni derivanti dal ‘si è sempre fatto così’, rivelandoci il nucleo centrale del Vangelo: seguire e annunciare Gesù.  Buon cammino e buon ministero.

 

✠ Giuseppe Pellegrini

Vescovo