Omelia di S.E. Mons. Ovidio Poletto per la Solennità di Santo Stefano

Pubblicato il 03/08/2010

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Onoriamo oggi Santo Stefano, primo martire, patrono principale della nostra diocesi. Lo dobbiamo sentire come parte viva di questa grande famiglia che è la nostra Chiesa di Concordia-Pordenone, insieme a tutti i santi patroni delle nostre comunità. Perché onorare i santi? La devozione verso i nostri santi ci aiuta a liberarci dall’illusione di doverci costruire la vita da soli, come se loro fossero meno vivi e operanti di noi. Se sapessimo quale potere è nelle mani dei santi, se ci rendessimo conto che esiste non soltanto una democrazia, una gerarchia, ma anche una agiocrazia (potere del santo) leggeremmo diversamente la storia, ma soprattutto la costruiremmo diversamente.
 
Queste parole sulla venerazione per i santi sono del compianto vescovo Mons. Luigi Padovese assassinato a coltellate a Iskenderun (Turchia) il giorno 3 giugno scorso, esattamente due mesi or sono. È doveroso per noi ricordarlo, per i legami particolari che ha avuto con la nostra diocesi e con la certezza che ora possiamo annoverare anche lui nella schiera potente dei nostri intercessori presso Dio. Contemporaneamente è doveroso raccogliere la testimonianza che con il suo sacrificio egli ci ha lasciato. È la testimonianza gloriosa propria del martirio cristiano, patito per amore di Gesù Cristo, che continua ad essere di attualità nella storia della Chiesa, sempre, dal protomartire Stefano fino ai nostri giorni.
 
Fratelli e sorelle, di questa testimonianza ci ha parlato il vangelo di Giovanni nel brano che abbiamo ascoltato. Gesù annuncia ai discepoli l’odio e la persecuzione che incontreranno. La parola odio viene ripetuta ben sette volte. Il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù: come lui, essi non sono del mondo. Quest’odio del mondo verso i discepoli non è passeggero, ma perdurerà finché una parte dell’umanità rifiuterà di accogliere il messaggio di Gesù. Lungo tutto il suo vangelo, Giovanni contrappone il mondo al Cristo. Il mondo lo odia perché egli attesta contro di lui, denuncia le sue opere malvagie. Questa opposizione proviene dall’incompatibilità irriducibile tra la luce e le tenebre. Essere scelti da Gesù è essere strappati a questo mondo di tenebre. Ormai, in quanto discepoli, i credenti sono impegnati nello stesso combattimento del Signore contro il mondo. I discepoli avranno dunque la stessa sorte del maestro: chiamati a imitare lui dovranno subire persecuzioni a causa del nome di Gesù. L’evangelista mostra la logica di quest’odio che colpisce in successione il Padre, il Cristo e i discepoli stessi.
 
Ascoltando queste parole siamo richiamati ad una verità elementare della vita cristiana: essa è costantemente esposta a contrasti e opposizioni fino al martirio. Essere cristiani è seguire Gesù come unica guida, mettendo in conto lo scontro che sino alla fine della storia umana ci sarà fra il regno di Dio e i “dominatori di questo mondo di tenebre”. Scontro che nel martirio emerge in tutta la sua chiarezza e drammaticità. Non sarà possibile eliminarlo. Quanti nostri fratelli nella fede subiscono durissime violenze in tante parti della terra! Eppure sono impegnati a favore degli “ultimi”, dei gruppi sociali più trascurati, facendo del bene senza distinzione a tutti; testimoniano la carità nella verità. Noi non viviamo situazioni drammatiche come loro, ma, forse, anche per il fatto di non essere sottoposti a gravi prove, corriamo il rischio di mondanizzarci, di scendere a compromessi sempre più al ribasso con il relativismo imperante. Corriamo il rischio di diventare cristiani deboli, fiacchi nella coerenza con il vangelo. Papa Benedetto XVI, a questo proposito, non si stanca di richiamarci nel suo insegnamento. “In effetti, se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù- non sono mai mancante per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del corpo mistico indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto” (29.06.2010). E ancora nel suo recente pellegrinaggio a Fatima ai giornalisti disse: “Oggi lo vediamo, la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. Essa, quindi, ha profondo bisogno di reimparare la penitenza…Dobbiamo reimparare questo essenziale, la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali” (11.05.2010).
 
Fratelli e sorelle, ascoltiamo la voce della testimonianza dei martiri, la voce del nostro Papa . E accogliamo oggi anche la testimonianza che ci dà il nostro fratello Bartolomeo Jia Zhao Ping. Egli sceglie definitivamente di vivere in povertà, castità e obbedienza nella congregazione dei “Discepoli del Signore”, fondata dal venerato nostro Card. Celso Costantini. Così facendo egli è e sarà un richiamo costante al primo e più grande comandamento, quello che ci chiede di amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze. E mostrerà ciò che è la “differenza cristiana”. Ringraziamo il Signore per la grazia che dà a questo nostro fratello e per il dono prezioso, insostituibile che la vita consacrata è per tutta la Chiesa. Auguriamo a lui la gioia di sperimentare l’intima unione con il Signore Gesù, che diventa il suo tutto, e di avere in cuore la certezza che non gli mancherà la forza che viene dall’alto e che gli consentirà di non avere mai paura.
 
Ci confermi tutti nella fede e nella speranza il segno di benedizione che il Signore ci offre anche con questo evento di cui siamo fortunati spettatori.