Evangelizzare con il cuore:
farsi tutto per tutti (cfr. 1Corinzi 9,22)
Rendiamo grazie a Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché oggi, assistiti dalla forza dello Spirito Santo, nella festa dei santi martiri Concordiesi, compatroni delle Diocesi, ci ha convocati per concludere il Cammino sinodale iniziato nella II domenica di Pasqua, il 10 aprile 2021. Non solo interessante, ma direi anche rilevante che la conclusione del cammino avvenga agli inizi di un nuovo cammino, quello quaresimale, quasi a ricordarci che ogni vita, ogni persona e realtà, dopo la fine, talvolta anche dolorosa, trova sempre un nuovo inizio. Un antico proverbio cinese ricorda che ‘solo chi ha la forza di scrivere la parole fine può scrivere la parola inizio’ e Saint-Exupéry: “Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio”. E Gesù nel Vangelo: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Giovanni 12,24). Anche noi, immersi nella quotidianità che spesso ci opprime, non riusciamo sempre a considerare il fluire e lo scorrere dei giorni, che mentre portano alla fine, ci fanno percepire l’anelito di un nuovo inizio: l’eternità. Durante tutto il lungo Cammino sinodale, spesso è serpeggiato qua e là un interrogativo che faceva emergere anche una paura: “Resterà tutto come prima, com’è successo altre volte? Avremo il coraggio e la possibilità di realizzare quello che è emerso dal confronto, dalla discussione e dalle votazioni?” La celebrazione di oggi, vuole essere un ringraziamento al Signore per il percorso fatto, ma vuole anche segnare l’inizio di un rinnovamento della nostra vita, della vita delle nostre comunità e della Chiesa diocesana.
Il tempo di Quaresima e il ricordo della testimonianza e del martirio dei nostri santi compatroni, ci permette di vivere con maggiore intensità questo momento che segna la conclusione di un lungo cammino di ascolto, di confronto e di discernimento, ma che apre anche il tempo per un cambiamento di noi stessi, della vita cristiana e della fede del popolo santo di Dio. Ci accompagna l’inizio della predicazione di Gesù, come ci ricorda la Parola della prima domenica di Quaresima: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Marco 1,15). L’abbiamo sperimentato nel cammino sinodale appena vissuto: fare sinodo è stato un camminare insieme dietro al Signore, in un atteggiamento di sequela e di conversione per andare incontro agli altri, sotto la guida dello Spirito. La sinodalità non è una strada segnata in partenza. È stato un processo che ha richiesto di aprirci a Dio e che attraverso l’ascolto degli altri ci ha toccato, ci ha scosso e modificato interiormente, convertendo il nostro cuore e la nostra vita. Abbiamo così capito che la riforma della Chiesa e della prassi pastorale potranno essere effettive solo se accompagnate dalla conversione del cuore. Ecco perché accogliamo ben volentieri l’invito di Gesù, all’inizio non solo della quaresima ma soprattutto della fase di attuazione del cammino sinodale, di convertirci e di credere nel Vangelo. Priama di Gesù, convertirsi significava sempre un ‘tornare indietro’, un invertire la rotta e tornare sui propri passi, con un significato principalmente morale e di austerità. Convertirsi, per Gesù, significa fare un balzo in avanti ed entrare nel Regno, afferrando la salvezza che Dio ci ha donato con l’invio del suo Figlio Gesù. È l’invito a convertirci perché il Regno di Dio, in Gesù Cristo, è già in mezzo a noi! Per noi conversione significa prendere la decisone e la strada giusta che porta al Signore; prendere la decisione che salva. Questo chiede a ciascuno di noi, alle nostre comunità e alla Chiesa un cambiamento profondo nel modo di concepire il rapporto con Dio e con i fratelli. Gesù ci chiede di credere nel Vangelo, di non arrenderci all’evidenza del male e di non rinunciare a credere che c’è un senso ultimo, un orientamento profondo della nostra vita e della vita del mondo. Convertirsi consiste nel passare dal pensare secondo il mondo al pensare secondo Dio. Scrive san Paolo: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio” (Romani 12,2).
Carissime e carissimi tutti, desidero raccogliere e rilanciare per i prossimi anni il Cammino sinodale che abbiamo vissuto, aiutati dalla vita e dallo stile pastorale dell’apostolo Paolo, con un’espressione, che ho posto come titolo dell’omelia: Evangelizzare con il cuore: farsi tutto per tutti. (Cfr. 1Corinzi 9,22). Paolo è per noi un vero modello di evangelizzazione. Quando si pensa alla Chiesa che evangelizza e alla sua azione missionaria, si pensa a Lui. Oggi si parla tanto di evangelizzazione, cercando di individuare metodi e percorsi di annuncio; invece ci si ferma poco sulla figura dell’evangelizzatore. Fare memoria e avere in questi anni Paolo come compagno di viaggio, significherà per noi concentrarsi di più sugli evangelizzatori, sulla loro formazione, sulla loro esperienza reale dell’incontro personale con il Signore Gesù e sulle capacità di relazione verso gli altri. Richiamo brevemente alcuni elementi essenziali di Paolo evangelizzatore che possono essere utili anche per noi. Paolo si concentrò sulle grandi città dove non era ancora giunto il Vangelo, vivendo immerso nella realtà e nella cultura, abitando in case private; ciò conferì all’evangelizzazione un tono di universalismo e nello stesso tempo di familiarità della fede. Fu poi costruttore di vita comune e di piccole comunità, mantenendo un rapporto differenziato e personale, contribuendo alla familiarizzazione della vita cristiana. Infine svolse la sua missione sempre in compagnia di collaboratori. Le fonti conoscono quasi un centinaio di persone che lo aiutarono nella sua missione. Si può ben dire che non esercitò mai il ministero in solitudine. Non possiamo però tralasciare l’esperienza personale che ha fatto con il Cristo risorto: da persecutore a evangelizzatore. Ciò che ha cambiato e trasformato la vita di Paolo, non è stata un’idea o un suo desiderio, ma l’incontro personale con Gesù Cristo, vivo e risorto. E Paolo, con tutta la sua umanità, il suo carattere, la sua passione e il suo zelo, trasformati dalla Spirito Santo, li ha messi a servizio dell’annuncio del Vangelo.
Paolo si è donato al Vangelo con tutta la sua esistenza, mente e cuore, 24 ore su 24! Senza l’ansia della conquista e del proselitismo, con fedeltà e gioia, partendo dalla sua esperienza e dall’incontro con Cristo che gli cambiò la vita. Nei confronti delle Chiese che fondò, pur sapendo di avere con esse un rapporto di paternità, si pose in atteggiamento di completo servizio. “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2Corinzi 1,24). Con uno stile incisivo che permette di comprendere il suo agire pastorale, Paolo, per essere totalmente al servizio di tutti, rinunciò in piena libertà ai diritti che gli spettavano. L’apostolo dona al suo uditorio il Vangelo e la propria persona, Parola di Dio e vita, che offrì con cuore e con passione: “Infatti pur essendo libero da tutti mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero. …mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Corinzi 9, 19.22). Paolo non ebbe altra mèta se non Cristo e per annunciarlo fu disposto al cambiamento, a modificare il linguaggio e ad adattare il suo comportamento perché nessun ostacolo, derivante dalla diversità di cultura, di nazionalità, di razza e anche di religione, potesse impedirne l’annuncio. Paolo fu ben consapevole che la missione non era facile e che avrebbe incontrato numerose sofferenze e rifiuti. E anche se il suo cuore abbracciò il mondo intero, desiderando portare a Cristo tutti e che tutti si potessero salvare, fu consapevole che ognuno era libero di scegliere e di accogliere la sua predicazione.
Evangelizzare con il cuore, ha significato per Paolo entrare in modo personale e convincente nella piena comprensione del mistero di Cristo e della Chiesa, accogliendolo e vivendolo in prima persona, sulla propria pelle: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio” (1Corinzi 1,17-18). In modo diverso, sono le parole di Gesù proclamate nel Vangelo in questa celebrazione in onore dei santi martiri Concordiesi: “Se qualcuno vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Luca 9,23). Paolo sapeva bene che la predicazione della croce era follia e stoltezza, opposta all’arte persuasiva e accattivante. All’attesa di un Messia potente, capace di liberare per sempre Israele dal giogo della schiavitù, Paolo rispose con l’assurdo irritante della croce. Dio ha deciso di lasciarsi scoprire in modo definitivo soltanto nell’apparente totale non senso della crocifissione del suo Figlio. Ecco perché la croce non può che essere annunciata nella debolezza, per non correre il rischio di svuotarla del significato più vero. Soltanto lo Spirito è in grado di convincere che sotto questo segno folle, traspare la volontà e la “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Romani 1,16). Anche per noi e per ogni credente, come lo è stato per i nostri santi martiri, seguire Gesù che va verso la morte significa essergli fedele e conformare la nostra vita alla sua. Non è la ricerca della sofferenza ma la rinuncia alle proprie certezze e la condivisione di una vita esposta alla derisione. Perdere la propria vita rinunciando al successo promesso dal mondo, significa entrare nella vita vera, in pienezza.
Sostenuti dalla testimonianza viva di san Paolo e dalle sue Lettere alle comunità cristiane che aveva fondato, desidero riprendere le due parole che potranno sostenerci e aiutarci nel cammino e nel processo pastorale della nostra Chiesa, delle parrocchie e delle unità pastorali: sinodalità ed evangelizzazione.
In questi anni abbiamo vissuto e sperimentato la bellezza, la gioia e talvolta anche la fatica del camminare insieme, riuscendo a dare un volto concreto alla parola sinodalità. Per me, e spero anche per tutti voi delegati sinodali, il cammino fatto insieme è stata una delle esperienze ecclesiali più significative vissute in questo tempo. Il primo frutto del cammino sinodale è il cammino stesso. Qualcuno l’ha definito un farmaco, perché ci ha offerto il dono della consolazione e ci ha fatto sentire Popolo di Dio in cammino, che ha riscoperto, come ricorda la Lumen Gentium, il sacerdozio comune dei fedeli, non in contrapposizione ma in sinergia con il sacerdozio ministeriale. “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo” (n.10). Infatti, il cammino sinodale non è stato percepito come una tra le tante attività pastorali, ma una autentica esperienza di Chiesa comunione, vivendo in prima persone l’essere Chiesa, comunità cristiana radunata dallo Spirito, che prega, ascolta la Parola e i fratelli, discerne e prende decisioni per il bene di tutti. Attraverso la sinodalità la Chiesa si manifesta come popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto. Questa immagine porta a comprendere la Chiesa come una totalità che vive in armonia, nella piena partecipazione e corresponsabilità di tutti i fedeli, secondo i loro doni, carismi e ministeri. Centrale nel cammino sinodale è la concezione della Chiesa come relazione. Costantemente papa Francesco ci invita a mettere in atto la ‘cultura dell’incontro’ e a guardare il mondo e la Chiesa da questa prospettiva. Ricordiamolo sempre: Gesù non ha mai escluso nessuno dal suo cammino. Radicato nella comunione con Dio, ha condiviso la sua vita con chiunque gli si avvicinava, con i giusti e con gli ingiusti, riconoscendo la presenza di Dio in coloro che sono emarginati dalla società, nei peccatori, negli esclusi, negli ammalati e nei poveri.
Sento dal profondo del cuore di ringraziare personalmente ognuno e ognuna di voi: fedeli laici che svolgete qualche servizio pastorale nelle vostre parrocchie e gruppi, in primis i vice presidenti del CPP, le donne e i giovani; le consacrate e i consacrati in diverse forme ecclesiali; i diaconi permanenti e i sacerdoti. Un pensiero di gratitudine va ai componenti della Segreteria generale e al segretario don Maurizio, che con dedizione, passione e responsabilità hanno dedicato tanto del loro tempo in questi quattro anni. Non solo il tempo, ma soprattutto l’intelligenza e il cuore! L’organizzazione delle varie Assemblee, come pure la stesura dei vari quaderni sono stati curati sempre dalla segreteria. Senza di essa non si sarebbe potuto vivere un’esperienza così bella, vivace e promettente. Non ci nascondiamo che ci sono stati momenti di stanchezza e di fatica e anche di qualche delegato/a che non si è ritrovato in questo modo di procedere. Per me, l’ho detto nell’incontro avuto con la Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi a Roma, il Cammino sinodale della nostra Chiesa di Concordia-Pordenone è stato una boccata d’aria fresca, perché ci ha permesso di metterci in serio ascolto di tanta gente, senza barriere e precompressioni, anche di coloro che non credono o che non vivono pienamente la vita delle nostre comunità; di confrontarci su alcuni aspetti importanti delle vita di fede, di compiere un discernimento, arrivando a fare delle proposte di rinnovamento; di vivere, anche se solo per alcuni momenti, una forte esperienza di comunità, dove ci si vuole bene, ci si ascolta nel confronto e nel dialogo. Come richiesto da molti di voi, lo stile sinodale continuerà ad accompagnarci nel cammino pastorale dei prossimi anni. Non solo a livello diocesano, ma spero anche nelle parrocchie e unità pastorali.
° Il fine della sinodalità è l’Evangelizzazione. Lo è per ogni Sinodo della Chiesa, così come lo è stato per il nostro Cammino sinodale diocesano. La Chiesa esiste per evangelizzare. Ma evangelizzare non è prima di tutto un’iniziativa umana, che nasce dal desiderio di portare Cristo al mondo, ma una grazia che il Signore dona nel momento in cui lo accogliamo nella nostra vita. Nasce dall’entusiasmo traboccante che si è riversato nel cuore quando Egli apre i nostri occhi e si mostra vivo. In questo momento sentiamo l’incontenibile desiderio di condividere con altri la gioia della salvezza portata da Gesù, donandoci la grazia di evangelizzare. Sono sempre più attuali le parole di papa Paolo VI dell’Evangelii Nuntiandi: “Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (n.80). Condurre gli uomini e le donne, i giovani, gli anziani e le famiglie, i vicini e i lontani a Gesù, all’incontro con lui, è una urgenza ineludibile che ci provoca e che ci preoccupa.
Il cammino sinodale che abbiamo compiuto, ha fatto emergere con forza il bisogno di ravvivare una fede che rischia di oscurarsi, se non addirittura di scomparire, in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e comunitario. Non dobbiamo, però, ricominciare tutto da capo! Con lo stesso ardore e la stessa passione di Paolo che esclamava: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Corinzi 9,16), anche noi ci sentiamo impegnati, sulla scia dei primi missionari e martiri che hanno portato il Vangelo nelle nostre terre, a testimoniare lo stile di vita di Gesù nei tempi di oggi e nelle nostre comunità. La crisi culturale, economica e sociale, aggravata dalle numerose guerre in atto, anche vicine a noi, la perdita dei valori e la galoppante secolarizzazione, ci chiamano con urgenza a qualcosa di nuovo: a vivere in modo rinnovato la nostra esperienza comunitaria di fede e l’annuncio, mediante un’evangelizzazione “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi nelle sue espressioni” (Giovanni Paolo II), fatta “non per proselitismo ma per attrazione” (Benedetto XVI). Papa Francesco nel 2023 ha dedicato un lungo ciclo di catechesi alla passione per l’evangelizzazione, definendola un tema urgente, decisivo e vitale per la vita della Chiesa. La comunità dei discepoli di Gesù nasce apostolica e missionaria, in uscita ed estroversa, non ripiegata su se stessa, ma testimone contagiosa di Gesù. Il testo base per l’evangelizzazione rimane l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, invito pressante a recuperare una visione profetica e positiva della realtà, senza distogliere lo sguardo dalle difficoltà e dalle sfide del mondo contemporaneo, e a riprendere con coraggio, in modo partecipato e condiviso, un rinnovato annuncio. Perché questo avvenga è necessaria una autentica conversione pastorale: da una pastorale statica e burocratica a una pastorale missionaria, in stato permanente di evangelizzazione. Evangelizzare è, in buona sostanza, rinarrare il Vangelo nella cultura di oggi, raccontare Gesù Cristo all’interno delle domande di senso e dei bisogni della salvezza. Come ci diceva Paolo VI “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca” (Evangelii Nuntiandi, 20).
Cantieri da aprire!
° Il Libro dell’Assemblea sinodale che è stato votato e che ufficialmente mi è appena stato consegnato, frutto dell’ascolto, del confronto e del discernimento dei delegati, esprime il desiderio e la volontà della Chiesa di Concordia-Pordenone di rimettersi in cammino, come singoli e comunità, guidati dal Signore risorto, per un rinnovato annuncio del Vangelo. Un Vangelo da accogliere, vivere e portare a tutti. Risuona sempre forte in me la bella espressione di papa Francesco ai giovani a Lisbona: Todos, todos, todos! Sarà per la nostra Chiesa, pastori e fedeli laici, un punto di partenza per rimotivare e dare slancio a noi evangelizzatori, per vivere e consolidare la nostra fede nel Signore e per trovare occasioni, modalità, linguaggi , forme pastorali e tempi: per consolidare la fede e la vita cristiana nei credenti in Cristo, aiutandoli ad essere testimoni e annunciatori del Vangelo; per raggiungere chi è alla ricerca di dare un senso alla propria vita, desiderando di conoscere e incontrare il Signore; per essere vicini a chi si sente lontano e abbandonato da Dio, donando speranza e consolazione. Nei prossimi mesi, offrirò alcune indicazioni emerse dalla priorità segnalate dai gruppi alla fine dell’Assemblea, per avviare alcuni processi e per mettere in atto alcune decisioni scaturite nel cammino sinodale. Desidero evitare lo stile appagante e subdolo degli “effetti speciali” che incantano ma anche ingannano, per scegliere la via dell’incarnazione che porta a stare in mezzo all’umanità con “affetti speciali”, con lo stile dell’amore, della vicinanza e della prossimità.
° I luoghi in cui testimoniare la fede non possono più essere soltanto i luoghi parrocchiali, ma i luoghi della vita di tutti i giorni. Siamo chiamati a fare il primo passo e ad uscire. Voi fedeli laici abitate già il territorio e siete immersi quotidianamente nella vita concreta. Cosa, allora, può significare per voi questo invito? Si tratta di starci con il cuore abitato dalla fede. Per quanto la vostra comunità sia bella e abbia bisogno di voi, il Signore vi invita anche ad uscire, a sbilanciarvi sul ‘fuori’, perché è lì che il Signore vi aspetta. Come popolo di Dio, mettiamoci in cammino verso un nuovo esodo, per allargare le relazioni negli ambienti più impensati, dove la gente vive, con uno sguardo di predilezione ai poveri, agli emarginati, ai migranti e ai sofferenti. Dobbiamo avere il coraggio di osare sentieri nuovi.
° È necessario concentrarci di più sulla trasmissione della fede, che è il vero problema oggi e che rimane la difficoltà più grande da affrontare. Viviamo in un nuovo modello antropologico, dove la persona umana si ritrova confusa e smarrita, come un viandante che vaga senza meta, incapaci di dialogare sulla fede e di comprendere le vere domande dell’umanità. Siamo immersi in una cultura frammentata, ‘regionalizzata’ e ad un tempo globalizzata e digitale, dove il nostro ‘linguaggio ecclesiale’ non riesce il più delle volte ad essere compreso e a penetrare nel profondo del cuore. Facciamo molta fatica ad aiutare, soprattutto le giovani generazioni, a porsi le domande fondamentali della vita, sul senso e sul significato del vivere e del morire. In questi ultimi decenni si allarga sempre di più quella frattura tra la visione cristiana dell’umanità e quella della cultura liberale-radicale. In questa situazione vengono ridefiniti i modelli di vita, i comportamenti diffusi e i valori di riferimento, come anche le scelte legislative, amministrative e giudiziarie, che stanno cambiando in profondità la nostra società. Questo ‘pensiero debole’ sta portando all’offuscamento del concetto di Dio e della trascendenza. La storia ci insegna che la prima conseguenza dell’indebolimento del concetto di Dio è l’indebolimento del concetto di uomo e di natura, creata da Dio. Tutto ciò che è ‘fatto’ o si è ‘fatto’, può essere ‘disfatto’.
° Stiamo correndo il rischio di fermarci al livello strutturale dell’evangelizzazione e della catechesi, dimenticandoci di curare soprattutto le condizioni perché scocchi dentro di noi quella scintilla che ci faccia percepire la presenza di Dio nel profondo e l’importanza del Signore per la nostra vita. Fondamentale e centrale per la trasmissione della fede è il Kérygma, cuore del Vangelo. L’annuncio della Parola di Dio che mette al centro Gesù vivo e risorto, che ci dona la salvezza, non solo con le parole ma soprattutto con il cuore, produce un’esperienza gioiosa di Cristo, aiutandoci a porci le domande fondamentali della vita e a vivere da risorti con Lui. Un annuncio che si deve inculturare in ogni persona. Un annuncio che non deve rimane isolato ma che è generato all’interno di una comunità cristiana. La fede per crescere ha bisogno di una comunità che ascolta la Parola, che celebra l’Eucaristia e che vive un’autentica esperienza di vita fraterna e gioiosa. Nell’incontro avuto nel Dicastero della Evangelizzazione, il pro-prefetto ci ha parlato dell’esperienza francese. Attualmente sono moltissimi i giovani e gli adulti che si accostano alla fede, chiedendo i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, dopo un lungo percorso di formazione. Purtroppo molti, dopo un paio di anni, abbandonano la fede. Perché? Perché non c’è una comunità cristiana accogliente e gioiosa, che si mette in ascolto e che vive con entusiasmo la fede ricevuta. La comunità cristiana è chiamata ad essere come la città posta sul monte che non può stare nascosta (Cfr. Matteo 5,14), ma illumina la via di coloro che sono alla ricerca del Signore. “Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (Evangeli Gaudium, 20).
° Una nuova forma di evangelizzazione, richiamata espressamente nel Documento di Sintesi della prima fase del Sinodo dei Vescovi ed emersa anche nel nostro Cammino, parla di Missionari nell’ambiente digitale. Per noi anziani e adulti fa un po’ di paura, ma se vogliamo raggiungere e incontrare il mondo giovanile (richiesta scaturita spesso nel Cammino sinodale) è necessario che anche noi entriamo dentro questa cultura. Non possiamo evangelizzare la cultura digitale senza averla prima compresa. I missionari sono partiti verso mondi nuovi, senza conoscerli, dovendo poi inculturarsi per annunciare il Vangelo. Ora tocca a noi. “I giovani, e tra di loro i seminaristi, i giovani preti e i giovani consacrati e consacrate, che spesso ne hanno un’esperienza diretta profonda, dono i più adatti per portare avanti la missione della Chiesa nell’ambiente digitale” (DS 17d). Facciamo nostre le proposte del Sinodo dei Vescovi di formare e accompagnare alcuni ‘missionari digitali’ e di creare reti di collaborazione anche con i giovani di altre Chiese e confessioni religiose, su tematiche inerenti la promozione della dignità e dello sviluppo integrale della persona.
° La prima evangelizzazione della Chiesa nascente è stata scandita dalla preghiera. Gli scritti apostolici e le grandi narrazioni degli Atti degli Apostoli ci restituiscono l’immagine di una Chiesa in cammino, una Chiesa operosa che trova nella preghiera la base per l’azione missionaria. Non sarà mai possibile un’evangelizzazione con il cuore, se noi siamo lontani e non ci incontriamo quotidianamente e settimanalmente con il Signore. Erano perseveranti nella preghiera, ci dicono gli Atti degli Apostoli. La Chiesa, ama dira papa Francesco, non è una ONG, ma è opera dello Spirito Santo che Gesù ha inviato per radunarci nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dell’Eucaristia e nella carità fraterna. La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più vera; è come un grido silenzioso che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio. Gesù stesso ci ha avvertito che quando preghiamo non dobbiamo sprecare parole, illudendoci di essere per questo ascoltati. Ci ha insegnato a preferire il silenzio e ad affidarci al Padre, il quale sa di quali cose abbiamo bisogno prima ancora che gliele chiediamo (Cfr. Matteo 6,7-8). Per prepararci al Giubileo del 2025, ormai alle porte, papa Francesco ha voluto dedicare l’anno 2024 alla preghiera, come tempo di preparazione al Giubileo. “Nel nostro tempo si fa sentire sempre più forte il bisogno di una vera spiritualità, capace di rispondere ai gradi interrogativi che ogni giorno si affacciano nella nostra vita. … Un tempo nel quale, sia personalmente che in forma comunitaria, poter ritrovare la gioia di pregare nella varietà delle forme e delle espressioni” (papa Francesco).
Conclusione
Carissime e carissimi tutti, esprimo la mia gioia e contentezza, accanto al grazie più vero, per la bella avventura sinodale che abbiamo vissuto in questi anni. Non mi sarei mai aspettato di vivere un’esperienza così forte e densa di fede. Abbiamo avviato un processo che desideriamo tutti che continui. È stato un evento di grazia. Ora a noi l’impegno di continuare il nostro essere Chiesa con lo stile della fraternità, della comunione, della sinodalità, della corresponsabilità e della prossimità verso chi si trova nel bisogno. Questo nostro impegno possa raggiungere le varie comunità cristiane presenti in Diocesi con la stessa passione e amore che hanno fatto vibrare il nostro cuore.
Non ho voluto in questo contesto offrire scelte e decisioni pastorali, perché non voglio farlo da solo, ma desidero farlo insieme, anche con voi. Pertanto vi faccio una domanda personale: quanto tu, in prima persona, sei disposto a impegnarti per rinnovare il volto della nostra Chiesa? Ci stai e ci state? Io ho bisogno di te e di voi. In attesa, prima o poi di qualche risposta, buon cammino.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
