GIORNATA MONDIALE DELLA SANTIFICAZIONE DEL CLERO

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Letture 1Corinzi 9,16-19.22-23; Matteo 28,16-20

Nell’imminenza della Giornata mondiale della santificazione del clero che si celebra nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, noi celebriamo la Giornata Sacerdotale, per chiedere al Signore, come abbiamo pregato nella Colletta, di essere fedeli nell’adempimento del nostro servizio. In questa Eucaristia ricordiamo il giorno della nostra ordinazione sacerdotale e diaconale, affidandoci all’amore e alla misericordia del Padre. È pure un’occasione per ravvivare in ciascuno di noi la consapevolezza del dono ricevuto, in continuità con la celebrazione che annualmente viviamo nella Messa Chrismatis del Giovedì Santo, dove ricordiamo l’Istituzione dell’Eucaristia. Un saluto cordiale e affettuoso a quanti oggi ricordano un particolare anniversario di Ordinazione, a tutti voi sacerdoti e diaconi, ai seminaristi e al vescovo Ovidio e Rino.

La liturgia della Parola appena proclamata, ci aiuta a rimettere al centro del nostro ministero la dimensione più importante, che non è solo per noi ma è anche per tutta la Chiesa: l’evangelizzazione, l’essere annunciatori del Vangelo. Ce lo stiamo dicendo da anni, soprattutto nel cammino sinodale che stiamo vivendo: la necessità di evangelizzare, di portare il Vangelo di Gesù nei nostri tempi, così lontani e refrattari al suo messaggio e al suo stile di vita. “Guai a me se non annuncio il Vangelo”, ci ricorda San Paolo, e “tutto io faccio per il Vangelo” (1Corinzi 9,16.23). La passione di Paolo per l’evangelizzazione è legata principalmente all’eccezionalità della sua vocazione e del suo incontro con Cristo Risorto, come anche ad alcune fatiche e critiche che alcuni facevano al suo ministero. Troppo poco era per lui dedicarsi all’annuncio del Vangelo alla stregua degli altri apostoli, dal momento che un tempo era stato persecutore dei discepoli di Gesù. Paolo si sente strettamente legato, possiamo dire consegnato corpo e anima, alla missione che Gesù li aveva affidato. L’evangelizzazione non nasce da un desiderio, dalla volontà personale o dalle proprie capacità, ma è un dono, una grazia di Dio. L’irruzione della grazia di Dio nella vita di Paolo, ha creato in lui un nuovo comportamento, diventando veramente libero di portare a tutti la parola di Gesù. Il Vangelo di Gesù non poteva essere trattenuto da nessun ostacolo derivante dalla diversità di cultura, di nazionalità, di razza o di religione. Farsi tutto a tutti: questo è il vero programma missionario di Paolo che varrà in ogni luogo e ogni tempo. Non contano le diversità o le avversità. Tutto si può superare nell’evangelizzazione, se si ha nel cuore la forza e la grazia del Signore. È anche il comandamento che Gesù ha dato ai discepoli prima di salire in cielo, ancora dubbiosi e titubanti: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Matteo 28,19). Non sono più le leggi o le regole che i discepoli devono trasmettere, ma ciò che Cristo ha vissuto e ha comandato: l’amore vicendevole, la misericordia del Padre, la prossimità e la vicinanza verso tutti. Tutti i popoli possono diventare cristiani ed essere educati con il battesimo ad entrare nel Regno di Dio.

Questo mandato, oggi, Gesù lo rivolge a ciascuno di noi, nel nostro tempo e ai nostri giorni: portare Gesù, dare tutta la nostra vita per annunciare Gesù, perché ogni persona possa conoscerlo e viverlo nella propria vita. Anche oggi, nell’evolversi della storia e dentro questa nostra storia, dentro il nostro mondo, siamo chiamati a portare Gesù a tutti e tutti a Gesù. A noi consacrati, in particolare, il compito di creare le condizioni possibili perché ogni uomo e donna possano incontrarsi con Gesù nell’esistenza concreta della vita. Stiamo sperimentando che non è facile, perché viviamo in un cambiamento d’epoca, con la fine del tempo della cristianità. Ciò comporta l’urgenza di dar vita ad un serio processo di rinnovamento della pastorale. Non si tratta solamente di favorire una conoscenza di Gesù, anche se spesso è assente. ma che tutti possano realmente sviluppare un vero desiderio di Gesù, un legame profondo con lui, un sentimento d’amore nei suoi confronti. Con una parola, che tutti possano innamorare di Gesù Nell’evangelizzazione, la nuova evangelizzazione amava dire Giovanni Paolo II, non c’è dato solo di portare dei contenuti ma principalmente di toccare il cuore umano, di far nascere il desiderio di ascoltare e di mettersi alla sequela di Gesù. Noi siamo chiamati a trovare nuove modalità di annuncio, praticando la via esperienziale: Solo così potremo far nascere il desiderio di incontrarsi con Gesù. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium e in tante altre occasioni parla della gioia di evangelizzare. Scrive in un suo discorso: “Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori, perché l’uomo, la donna, le famiglie … aspettano da noi, e ne hanno bisogno per la loro vita, la Buona Notizia che è Gesù e il suo Vangelo” (27/11/2014). Come la Chiesa, anche noi consacrati, per fare ciò abbiamo bisogno di essere illuminati da Cristo e dal suo Vangelo, soprattutto in questi tempi dove le onde sono così forti da far naufragare la barca della Chiesa. Il nostro ministero pastorale ha bisogno di rigenerarsi alla luce del Vangelo, svuotandoci da ogni clericalismo e ripensandoci accanto ai fratelli e alle sorelle che la provvidenza ci ha affidato.

Concludo con un passaggio che ho trovato bello e interessante per noi del Cardina Lazzaro You Heung-Sik, Perfetto del Dicastero per il Clero: “Il fine ultimo della nostra vita non è il sacerdozio, ma è il Signore. Chi ama e si sposa con una persona, non pensa più a se stesso, il suo scopo ultimo non è neanche più il matrimonio ma l’incontro con la persona amata, il suo amore, la sua felicità. Così deve essere anche per noi: fine ultimo della nostra vita non è l’essere diventati preti o l’essere preti in un modo o in un altro, ma il coraggio e la gioia di scegliere Gesù, lo sposo, ogni giorno. E poi ancora ogni giorno, di nuovo, sempre, con entusiasmo. Qualunque sia il cammino, il ministero che svolgiamo, l’insieme delle situazioni personali e pastorali che viviamo, la cosa più importante per un prete è chiedersi ogni giorno: cosa sto scegliendo io? Perché anche con le migliori intenzioni, un prete può scegliere tante cose e dimenticarsi di fare, ripetere, rinnovare ogni giorno la scelta di Dio. Questa prospettiva, almeno su un versante di vita personale e spirituale, ci aiuterebbe anche a superare la piaga del clericalismo che Papa Francesco spesso denuncia, perché se lo scopo è, anzitutto, l’incontro con Gesù e quindi ricevere il Suo amore che rende santi, ci accorgiamo che la vocazione principale della nostra vita non è il sacerdozio ordinato ma la santità. Questa è la chiamata che viene rivolta nel Battesimo. Essere prete è la forma e la modalità in cui noi siamo stati chiamati a vivere il Battesimo. Da questa convinzione profonda, se la lasciamo imprimersi in noi nella vita spirituale, potrebbe derivare anche a livello pastorale e istituzionale una vera riforma del ministero ordinato: non più concentrato sul ruolo, non più immaginato come ‘separato’ dagli altri, ma vissuto come un modo per vivere concretamente il Vangelo, nel servizio di Dio e dei fratelli” (Come la folgore viene da Oriente, San Paolo 2013, pp.75-76).

A tutti l’augurio di vivere intensamente questa giornata, per ravvivare la chiamata che il Signore ci ha fatto e la conseguente scelta di metterci a servizio nella Chiesa per tutta l’umanità.

 

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo