Omelia funerale don Antonio Gioli, Fossalta 4 marzo 2024

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Letture: 2Corinzi 1,3-7; Marco 15,33-39.16,1-6.

Quando giovedì scorso, poche ore prima della morte, sono stato a trovare don Antonio insieme al Vicario generale e a don Basilio, ai piedi del letto, nella preghiera silenziosa, mi sono passati per la mente due immagini che ho raccolgo nella liturgia della Parola di oggi. La prima è la scena del Centurione sotto la croce che di fronte alla morte di Gesù fa la sua professione di fede: “Davvero quest’uomo era figlio di Dio” (Marco 15,39). Anche don Antonio stava morendo come un figlio del Padre, che ha cercato di conformare tutta la sua vita a Gesù, che lo aveva chiamato a seguirlo e a servire i fratelli. Gesù aveva fatto della sua morte un atto di amore, abbandonandosi alla volontà del Padre per la salvezza dell’umanità. Nella contemplazione dell’unione di Cristo con il Padre, in particolare nel momento più tragico della sofferenza e della morte, prende significato tutta la vita di Gesù perché illuminata dalla fede, diventando la definitiva sequela al Padre. In mano a Cristo la sua morte e la morte di ogni credente, è trasformata, passando da condizione negativa a luogo di salvezza, diventando un passaggio per una vita più piena. La morte di Cristo ci insegna che anche il nostro morire contiene una possibilità di amore, anzi, la possibilità più grande e definitiva della vita. Un morire che ci permette, come hanno fatto le donne, di entrare nel sepolcro, inserendoci così nel mistero che Dio ha compiuto con la Risurrezione del suo Figlio, sconfiggendo in maniera definitiva la morte.

Carissimi, è da questa prospettiva che la fede ci aiuta a rileggere e comprendere ogni vita umana, anche la storia e la vita di don Antonio. Partiamo dalla professione di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo il figlio del Dio vivente” (Matteo 16,16), che è la professione di fede di ogni battezzato e che è stata anche la professione di fede di don Antonio, pur con tutte le fatiche e debolezze. Oggi presentiamo al Padre nostro fratello e confratello. con tutta la sua vita i suoi giorni, ancora pochi secondo la nostra misura, nella consapevolezza, come ci ricorda il salmista, che davanti a Dio “mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte” (Salmo 90,4). Fin da giovane don Antonio, aiutato dall’ambiente familiare dove è nato e dalla numerosa famiglia, ha vissuto una vita serena e sobria, lontano dai rumori e dalle proposte mondane. Il suo carattere schivo, silenzioso e riservato, lo ha aiutato a curare l’interiorità e il silenzio, a contatto con la natura e ad accontentarsi del necessario, senza la ricerca del superfluo. Tutto questo l’ha portato a scegliere la via della consacrazione nell’Ordine dei frati Cappuccini della provincia veneta, seguendo le orme di san Francesco. Arrivato nel convento di Portogruaro, durante il suo ministero, maturò la convinzione, dopo un periodo di confronto e dialogo con i suoi superiori e di ministero a Giais, che il Signore lo chiamava a mettersi al servizio diretto della gente nella comunità e nella pastorale parrocchiale, chiedendo al Vescovo di essere inserito nella nostra Diocesi. Scriveva al suo superiore: “Scopro sempre più che Dio è grande e non finisce mai di stupirmi, chiedendomi di aprirmi alla sua sorpresa nella mia vita”. Iniziò così il suo ministero di parroco prima a Ligugnana per 10 anni e poi dal settembre del 2010, per 14 anni, divenne vostro parroco di Fossalta, fino alla morte. Mi disse più volte che gli anni trascorsi a Fossalta sono stati gli anni più belli della sua vita. Anni dove don Antonio ha donato tutto se stesso, mettendosi a servizio di tutti, con il suo stile e il suo carattere, sempre attento alle persone e alle situazioni più difficili. Amava il silenzio e la preghiera, leggere e contemplare le opere del Signore anche con l’attività manuale. Quanta passione e anche quante preoccupazioni ha avuto nel progettare e nel seguire i lavori di restauro della Chiesa parrocchiale, non solo perché fosse più bella e più stabile, ma perché diventasse il centro della vita spirituale della comunità. Per questa si è speso continuamente, fino alla fine. Al sopraggiungere qualche anno fa della malattia, cercò fino alla fine di non farlo pesare, anzi di nasconderla, proprio per non essere di peso a nessuno. Oggi presentiamo al Signore un prete che si è speso e si è donato fino in fondo per l’annuncio del Vangelo e per tuti voi. Certamente con i suoi limiti e le sue fragilità, ma soprattutto con la passione che lo ha portato al dono di sé; un prete contento di esserlo e dedito al suo popolo.

La seconda immagine è data dall’esperienza che san Paolo ha vissuto nel ministero, soprattutto nei momenti di fatica e di difficoltà. È la situazione che anche noi spesso proviamo nell’esercizio del ministero e nel desiderio di essere servitori del Vangelo, passando attraverso prove, delusioni e sofferenze. Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, san Paolo ci stupisce: “Sia benedetto Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. Egli ci consola in ogni nostra tribolazione” (2Corinzi 1,3-4). Paolo non si arrabbia e nemmeno vuole trovare un equilibrio tra sofferenza e gioia, ma cerca di scorgere nelle prove e nelle sofferenze la consolazione di Dio. Non una gioia passeggera, ma la consolazione di Dio che è dentro la sofferenza stessa. Paolo è riuscito a trasformare le sue sofferenze, non accogliendole come sofferenze personali, ma come sofferenze di Cristo, partecipando così all’opera di Cristo e alla salvezza dell’umanità. Solo entrando nella prova e nella croce di Cristo, possiamo partecipare alle sue consolazioni che sono per la salvezza del mondo. È il soffrire per amore che dà la forza di resistere e di andare avanti anche nel dolore, perché è un dolore trasfigurato dall’amore. Questa è stata l’esperienza che ho vissuto in quei momenti davanti al corpo morente di don Antonio: una vita vissuta per amore del Signore, della sua gente e della sua comunità.

Accanto all’invocazione della misericordia di Dio, diciamo a don Antonio il nostro grazie per il suo ministero e per il suo servizio tra noi. Un grazie che si estende a tutte le persone che lo hanno accolto e amato lungo la sua vita e un grazie a quanti gli sono stati vicini in questi ultimi tempi di sofferenza e di malattia. Un ricordo ai suoi fratelli Luigi e Gabriele, alle sorelle Lucilla, Gabriella, Velia Chiara e Annarosa, e ai nipoti e parenti. Così come ringraziamo i Frati Cappuccini che lo hanno formato e le comunità che ha servito. Permettetemi un ringraziamento riconoscente al suo amico e primario dottor Fabio Fiammengo, che fin dall’inizio della malattia si è preso cura amorevolmente di lui e al medico di base dottor Francesco Spinardi. Un grande grazie sincero alla comunità di Fossalta, ai collaboratori più stretti che gli sono sempre stati accanto e al diacono Mauro che gli è stato un amico e fratello.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo