Omelia funerale don Gino Piasentin, Cordovado 9 settembre 2024

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Letture: Romani 14,7-9.10-12; Matteo 5,1-12

Don Gino, dopo alcuni anni di malattia e di sofferenza vissuti con dignità, accettazione e serenità, ci ha lasciato entrando definitivamente nella casa del Padre e nel riposo eterno. Sono stati anni difficili per lui, di immobilità, di difficoltà di nutrizione e talvolta anche di farsi capire. Difficili anche per noi che lo vedevamo spegnersi lentamente come una candela. Difficili ma non inutili, come è stata la passione e il venerdì santo per Gesù. I suoi lunghi silenzi e il suo sguardo che sembrava fissasse la meta, ci aiutavano a capire che lui era presente e che si univa alla passione di Cristo per la salvezza del mondo, in attesa della venuta del giorno senza tramonto.

La Parola di Dio appena proclamata ci aiuta nella comprensione del mistero di Dio e a dare un senso al nostro vivere e al nostro morire. San Paolo nella Lettera ai Romani ci ricorda che: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso” (14,7). Non viviamo da soli nè moriamo da soli, ma viviamo per gli altri e per il Signore e moriamo per gli altri e per il Signore. Questo è il significato della Liturgia che oggi stiamo vivendo: il Signore ci aiuta a dare un significato profondo al nostro vivere e al nostro a morire. Da questa prospettiva si possono comprendere gli anni vissuti nel dolore e nella sofferenza, perché agli occhi di Dio non è un tempo perso, ma un tempo di grazia che concorre alla salvezza del mondo. La morte e la vita non sono un affare privato, tanto più per un prete, che ha consacrato tutto se stesso amare Dio e i fratelli. Nel capitolo 8 della Lettera ai Romani si chiede San Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione … Niente potrà mai separati dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù” (8, 35.39. È l’inno dell’amore di Dio per l’uomo e non dell’amore dell’uomo per Dio. Tutto parte da qui; il nostro amore per Dio è solo una pallida risposta spesso sfuocata del suo amore che è eterno, forte e incrollabile. L’unico motivo diceva Sant’Agostino che noi abbiamo per amare Dio e che lui ci ha amati per primo.

Don Gino ne è stato consapevole fin dei suoi primi anni di ministero, ben 61 anni di vita sacerdotale: 10 anni come vicario parrocchiale nelle comunità di Rorai Piccolo, Pasiano, Lugugnana e Maniago. Erano gli anni del Concilio Vaticano II e del post concilio, che hanno portato nella Chiesa l’entusiasmo del rinnovamento, facendo percepire la presenza continua dello Spirito Santo. Don Gino e tanti altri confratelli si sentirono subito impegnati in questo cammino, vivendo con passione ed entusiasmo quei tempi preziosi, per essere ministri di una Chiesa che è la luce delle genti, portatrice del messaggio di amore e di vicinanza di Gesù. Anche nei suoi diversi anni di parroco, 12 a Grizzo, 11 a San Martino al Tagliamento e poi sei anni a Pasiano, fino al compimento dei 75 anni, fu sempre vicino alla gente con il suo stile semplice e umile e semplice, cordiale e vicino a tutti, anche a coloro che faticavano a sentirsi parte della comunità. L’anima dell’essere prete è stata sempre per lui la vicinanza e il camminare insieme con la gente, desiderando che la parrocchia fosse una famiglia di famiglie. Lasciata la comunità di Pasiano a 75 anni, desideroso di non abbandonare il ministero diretto della cura pastorale e ancora in forze, servì per 5-6 anni le più piccole comunità di Vivaro, Tesis e Basaldella. Non fu facile per lui, ormai sofferente e ammalato e neanche per me, invitarlo a continuare la sua vita di prete nella casa del clero a San Vito, dove poteva essere più custodito e curato amorevolmente. Oltre al servizio parrocchiale che mai abbandonò, la sua azione pastorale si rivolse anche ad alcune realtà diocesane e associative, come Assistente dell’Azione Cattolica adulti, del Centro Turistico Giovanile e per la promozione della Giornata Mondiale per i Lebbrosi.
Ho scelto la pagina evangelica delle beatitudini perché possono bene riassumere la vita e il Ministero pastorale di don Gino. Le Beatitudini dice Papa Francesco sono la carta d’identità del cristiano e per noi diventano una prospettiva e la possibilità per far trasparire il volto di Cristo nella quotidianità della vita, vivendole con gioia e in pienezza. Ho desiderato che don Gino chiudesse la sua vita terrena avvolto da queste parole di Gesù. Infatti, entrare nello spirito delle Beatitudini significa entrare nello sguardo di Dio e comprendere in profondità la realtà umana, scoprendo che in Cristo anche le situazioni di sofferenza, di dolore e di pianto possono essere vissute come pienezza di vita. È stata l’esperienza che ha vissuto Gesù, il Beato per eccellenza, perché mite, misericordioso e benevolo verso tutti. Lo stile di una vita vissuta nelle Beatitudini porta a non chiudersi in se stessi, a vivere una vita aperta agli altri, ad essere miti e uomini di cuore, permettendo all’altro di non allontanarsi da noi e di accoglierlo sempre. Diceva il priore di Taizè: “Ciò che rende felice un’esistenza è avanzare verso la semplicità: semplicità del nostro cuore e quella della nostra vita. Perché una vita sia bella non è indispensabile avere capacità straordinarie o grande possibilità, ma l’umile dono della propria persona rende felici”. Credo che possiamo rileggere da questa prospettiva la vita di don Gino in particolare i lunghi giorni di malattia e di sofferenza, dove standogli vicino anche solo con lo sguardo, ci trasmetteva semplicità e serenità.

Presentiamo al Signore il nostro confratello e fratello, nella certezza che ad accoglierlo in paradiso ci saranno tutte le persone che lo hanno amato e servito. Un grazie sincero a tutte le persone che gli sono state vicine nelle diverse comunità, ai cognati e nipoti e parenti tutti. Ai confratelli della casa del clero che hanno condiviso con lui gli ultimi anni della sua vita e al personale tutto, la nostra preghiera e il nostro più caro ringraziamento. Siete stati la sua famiglia.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo