Riflessione nella Liturgia ecumenica per il creato, Pordenone parrocchia San Francesco 3 ottobre 2024

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Letture: Romani 8,18-28; Matteo 9,35-38

Un caro saluto a tutte e a tutti, alla comunità parrocchiale di San Francesco che ci ospita e a tutte le Chiese cristiane di Pordenone e Portogruaro con i loro responsabili e pastori.

In questo tempo ecumenico del Creato ci ha accompagnato il tema sperare e agire con la creazione, ispirato al testo della Lettera ai Romani appena proclamato. Ci troviamo nel capitolo VIII della Lettera dove Paolo chiarisce cosa significa vivere secondo lo Spirito, concentrandosi sulla speranza certa della salvezza per mezzo della fede in Gesù Cristo vivo e risorto. In questo processo di vita nuova e di rinascita è coinvolta tutta la creazione. Infatti “l’esistenza di ogni cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza nell’attesa del Signore nella gloria” scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato che la Chiesa Cattolica celebra il primo settembre.

Sperare è come buttare l’ancora all’altra riva, vivendo la tentazione verso l’incontro con il Signore, anche se si vivono ancora momenti di fatica e di difficoltà. Così inizia il testo di San Paolo: “Io penso che le sofferenze del tempo presente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio manifesterà verso di noi” (Romani 8,18). L’amore di Dio e la prospettiva del suo Regno sono molto più grandi di tutte le sofferenze che si consumano nella storia. Questa è la speranza: vivere protesi verso la rivelazione del Signore e verso l’incontro con lui. Dobbiamo però essere realisti, come ci ha ricordato San Paolo, dicendoci che la vita è fatta di dolore e di sofferenza e che l’amore spesso viene messo alla prova. Ma è proprio attraverso le tribolazioni e le sofferenze, che sono le condizioni tipiche di chi annuncia il Vangelo, che si può scorgere ancora più luminosa la luce della speranza. La promessa cristiana del futuro ha la sua motivazione in Dio e nella sua opera di liberazione manifestate nella morte e risurrezione di Gesù. La Fede per la quale noi siamo stati giustificati, porta in sé il germe della speranza del futuro. Una fede che non si deve solo rivolgere al passato ma che si consolida si rafforza con l’agire nel mondo in cui viviamo; un agire nel presente attraverso la carità operosa e la cura a tutta la creazione.

Nel versetto 19 Paolo apre l’orizzonte, ricordandoci che la salvezza di Dio è per tutto il creato. L’umanità, uomini e donne, non è staccata dal resto del creato, perché chiamati a una nuova creazione. Tale visione non significa un disimpegno per noi e per tutta l’umanità, bensì una responsabilità che noi abbiamo nei confronti del creato quali ‘figli di Dio’. Nei successivi versetti, Paolo ci fa intravedere alcune tappe della storia attraverso termini negativi e positivi, utili per leggere le tentazioni fondamentali della vita cristiana.
° nel v. 20 Paolo ci ricorda che il creato è stato condannato a non aver senso, alla caducità e alla vanità, come gli idoli che subito affascinano ma poi deludono. Non è stato condannato perché fatto male, ma perché l’uomo non ha saputo servirsene per il meglio. Compito del creato è di aiutare le creature ad incontrarsi con Dio e a cercare in lui la pienezza. Nel v. 21 Paolo parla di corruzione che a causa dell’uomo l’armonia iniziale è stata frantumata e corrotta, sia per l’individuo che per il tessuto sociale. Nei vv. 22 e 23 Paolo ci dice che la creazione soffre e geme. È il pianto e lo sconforto del creato e dei credenti, “noi che già abbiamo le primizie dello Spirito”, pur in attesa della liberazione operata da Dio. Significativa la correlazione tra creato, credenti e Spirito. Noi saremo salvati, come ci ricorda il v. 24, soltanto nella speranza! Nella parte finale del testo Paolo ci ricorda che lo Spirito diventa l’interprete del gemito della creazione e dellumanità. Perché è lui che ci aiuta a rileggere l’incompiutezza dell’esistenza svelando in essa il germe della vita di Dio. Il gemito e la sofferenza accomunano il creato ai credenti, permettendo di vedere l’esistenza e la realtà con occhi nuovi. Anche se non l’abbiamo letto, il capitolo VIII si conclude con i versetti 31-39. Sono un grido di lode e di ringraziamento a Dio. È il grido dell’umanità che finalmente liberata da ogni paura, soprattutto dalla paura di Dio, loda il creatore: “Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?” (v.31). Con la speranza nel cuore e con la certezza che il Signore cammina con noi ed è presente nelle nostre comunità.

Siamo invitati anche a non staccare mai il creato dal credente. Questa è la vera speranza cristiana. Tutti abbiamo bisogno di speranza. La speranza non è utopia, non è il ripostiglio dei desideri mancati ma è parente stretta del realismo, di chi ha già iniziato il cammino e ha fatto un pezzo di strada, desideroso e convinto di continuare il cammino verso la meta sperata. Chi spera non fugge ma cammina verso la luce che è Gesù Cristo Risorto. Mi hanno fatto pensare le parole pronunciate nella celebrazione penitenziale all’inizio del Cammino sinodale della Chiesa cattolica, anche se ad alcuni non sono piaciute. Erano parole di richiesta di perdono per i peccati contro la pace, contro il creato, contro i migranti, contro la sinodalità; per il peccato degli abusi e della dottrina usata come pietre da scagliare. Sono peccati che dicono una sensibilità nuova ma che sono stati sempre presenti nella storia delle nostre Chiese. I peccati contro il creato hanno in comune un’unica radice: l’egoismo, il potere e il denaro. Tutti siamo chiamati a questa responsabilità.

Viviamo questo tempo che il Signore ci dona testimoniando e annunciando l’amore la bellezza del Creato, con il desiderio e l’impegno di esserne partecipi e custodi.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo