RITIRO SPIRITUALE PER IL CLERO

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Con Paolo nel vivo del nostro Ministero

Prove e consolazioni

Un saluto cordiale a tutti, all’inizio del nuovo Anno Pastorale. Come dicevo ieri sera nella veglia di preghiera per l’avvio del nuovo anno pastorale, è mio desiderio che ci lasciamo guidare dalla vita e dall’esperienza di San Paolo, mettendoci per un po’ alla sua scuola. Questa scelta ci aiuterà ad avere una visione più ampia e più bella di futuro e di speranza, per il cammino personale di ciascuno di noi e nel contempo ci potrà offrire qualche chiave di lettura per interpretare e comprendere il mondo di oggi. Dalla lettura e meditazione degli Atti degli apostoli e dell’Epistolario Paolino, emergono chiaramente le prove e le paure, le difficoltà e le sofferenze dell’Apostolo, accompagnate anche dalle gioie e consolazioni, fino a dire: “Guai a me se non annuncio il Vangelo” (1Corinzi 9,16).

Ripensando al Cammino sinodale che stiamo vivendo e in particolare alle prossime due fasi: confronto e discussione nelle comunità e nei gruppi del ‘Documento preparatorio dell’Assemblea’ e l’Assemblea generale del gennaio 2024, ho riflettuto molto su come e su quali indicazioni offrire per il cammino della diocesi e delle comunità cristiane nei prossimi anni. Da più parti si chiede di avviare processi e progettazioni pastorali che non abbiano una cadenza annuale, ma che sia più ampia (cfr. n. 76 del Documento). La lettera pastorale post-sinodale che farò alla fine di questo cammino, potrà accompagnarci, guidati dall’esperienza di San Paolo e dalle proposte che emergeranno nel Sinodo, dall’anno del Giubileo per 3-4 anni.

Per la meditazione di quest’oggi, mi pare significativo soffermarci su Paolo nel vivo del suo ministero. Dopo più di 20 anni di ministero, Paolo non si fa più illusioni. È passato per tante prove, delusioni e difficoltà, come servitore del Vangelo nel cuore delle fatiche umane. Ecco perché lo sentiamo ancora di più vicino ai nostri tempi e a noi. Ci soffermiamo a meditare sul testo:

 

2Corinzi 1, 1-11

1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla Chiesa di Dio che è a Corinto e a tutti i santi dell’intera Acaia: 2grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. 3Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! 4Egli ci risolleva in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. 5Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. 7La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione .8Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione, che ci è capitata in Asia, ci abbia colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, tanto che disperavamo perfino della nostra vita. 9Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. 10Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, e per la speranza che abbiamo in lui ancora ci libererà, 11grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi. Così, per il favore divino ottenutoci da molte persone, saranno molti a rendere grazie per noi.

 

Il libro degli Atti degli Apostoli, nella seconda parte ci parla di Paolo, del suo cammino di fede e della missione ricevuta e confermata dagli Apostoli, di annunciare Gesù Cristo tra i pagani. Vi invito a soffermarvi in questi mesi sui capitoli 13-28 degli Atti: le missioni di Paolo. Pieno di zelo percorrere varie regioni arrivando così a Corinto, un’altra grande città della Macedonia, che non godeva di buona fama. Corinto è una città di commercio e di cultura, di libertà dei costumi con la sua voglia di discorsi filosofici, nella quale spesso facevano fortuna i chiacchieroni. Ma anche qui il Signore vuole prepararsi un popolo di credenti e Paolo è lo strumento scelto per questo. La persecuzione più rilevante che Paolo subisce è dalla parte dei Giudei che lanciano ingiurie e che vogliono scacciarlo e perfino ucciderlo. La vita in Cristo, è il segreto della forza di Paolo. È da lui che riceve forza per andare verso i fratelli con un amore instancabile e con una capacità smisurata di perdono. Divido la meditazione in due punti: Sofferenze e consolazioni; la forza del Cristo crocifisso.

1. Sofferenza e consolazioni

Mentre Paolo scrive la seconda lettera ai Corinzi, dopo esservi stato 18 mesi, sta vivendo tre prove. La prima è di sentirsi respinto dalla maggior parte dei fratelli ebrei. Inizialmente visita numerose città, predicando il vangelo di Gesù prima di tutto nelle sinagoghe e tra i suoi fratelli ebrei, illudendosi che malgrado inevitabili difficoltà, gli ebrei avrebbero capito. Ma tutto è inutile: l’illusione è tramontata e la missione è fallita.  Alla sofferenza si aggiungono gli interrogativi: Perché le cose vanno così e perché Dio l’ha permesso? La seconda prova è data dai numerosi contrasti interni che ci sono nelle comunità: divisioni, malintesi, pregiudizi e diffidenze nei suoi confronti. Una terza prova è più interiore, causata dalle sofferenze che si porta dentro: stanchezza, noia, fatica e qualche momento di depressione. Ecco perché sentiamo la seconda Lettera ai Corinzi vicina a noi, proprio perché ciascuno vive personalmente qualche prova. Anche per noi è molto importante trovare l’atteggiamento giusto per vivere. L’animo di Paolo è turbato e agitato; spesso questo capita anche a noi. Ecco perché è necessario nel silenzio e nella preghiera farci una domanda: nel mio ministero sto vivendo qualche prova o situazione simili a quella di Paolo? Come ne sto uscendo?

Entriamo un po’ nella comprensione del testo.

° Paolo non parla di sofferenza e gioia, come spesso pensiamo e diciamo. Nella vita di ogni giorno andiamo avanti tra sofferenze e gioie, cercando un equilibrio tra le diverse esperienze che facciamo. Per Paolo non si tratta di cercare o di trovare un equilibrio tra le sofferenze e le gioie, ma di vivere le sofferenze e le consolazioni nelle e dalle sofferenze. Non sofferenze e gioie come elementi costitutivi della vita umana, ma sofferenze e consolazioni che vengono dalle tribolazioni in cui si è entrati. “Egli (Dio) ci consola in ogni nostra tribolazione” (v. 4). Non è una gioia generica, ma una consolazione che è dentro la tribolazione. Di fondamentale importanza il versetto 5: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione”. Non sono più le sofferenze di Paolo ma quelle di Cristo! Le sofferenze dei cristiani sono in comunione con le sofferenze di Cristo, sono una parte di queste, costituendone il suo compimento. E questo non solo perché sono le stesse sofferenze che ha sofferto Cristo, ma soprattutto perché Paolo soffre in comunione con Cristo, come membra del corpo di Cristo. Cristo soffre nel cristiano e il cristiano soffre in Cristo. In questa comunione di sofferenza Cristo attua la consolazione nella sofferenza, aprendo la strada alla partecipazione della sua Resurrezione e comunione nella gloria.

° Viene spontaneo chiederci: cosa significa nel servizio pastorale e apostolico il rapporto tra sofferenza e consolazioni? Gesù ci ha ricordato che le consolazioni nascono dall’entrare nelle prove, non accanto, non a lato, ma entrarvi dentro. Carissimi, diverse sono le prove del nostro ministero: del mio di vescovo, di voi preti e diaconi, di voi religiosi e di voi seminaristi: stanchezza fisica, malumore, delusioni nella pastorale, qualche disturbo o malattia fisica, tensioni tra di noi e fatiche psicologiche, … Può capitare che alcune le accettiamo passivamente, altre non le consideriamo o le subiamo. Se non le guardiamo in faccia nel colloquio con Cristo, se non le interiorizziamo, le prove rimangono corpi estranei alla nostra vita, senza la possibilità di integrarle nel nostro cammino, e pertanto non si potranno mai trasformare in consolazioni. Credevamo di essere un bravo leader, un pastone capace di farmi ascoltare e di guidare, di avere carisma con la gente e di essere seguito … e invece no! Cristo stesso ha subito questi rifiuti ed è Lui stesso a soffrire nella nostra debolezza, condizionata da tante circostanze. Solo comprendendo che le sofferenze sono un modo con cui Cristo opera in noi, potremmo aprirci alle consolazioni.

° I versetti 6-11 ci offrono un’altra prospettiva: è una consolazione apostolica per gli altri e per le comunità e non solo per noi stessi. Scrive Paolo: “Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati e per la vostra consolazione” (v.7). I fallimenti e le difficoltà non sono per Paolo degli incidenti sul cammino, ma un ingrediente, un’opportunità per testimoniare agli altri l’amore di Dio. Quello che Paolo sopporta è per il bene della Chiesa. Scrive ai Colossesi: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do complimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (1,24). È un modo di dire di Paolo che vede il suo cammino apostolico come un compimento, sperimentando quello stesso di Cristo e riproducendolo nel suo modo di vivere per annunciare il Vangelo. Paolo, pertanto, sopporta tutti i patimenti e le contrarietà per il bene della Chiesa, e in questi Dio immette la sua consolazione e il suo amore.

° Paolo conclude questa parte del brano richiamando la partecipazione della comunità. Se è stato capace di superare i momenti difficili, lo deve alla fede e alla preghiera delle comunità. “Da quella morte però egli ci ha liberati e ci libererà … grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi” (vv.10-11). Non è facile instaurare un rapporto così con le nostre comunità. L’immagine che ci si fa e che talvolta la gente ha, è che il vescovo e i preti siano persone che non vacillano mai, che non hanno dubbi e che non hanno problemi, perché il loro compito è di rassicurare e consolare gli altri; quanto a noi sappiamo cavarcela da soli. È necessario, invece, che la comunità partecipi alla vita e alle prove dei consacrati, così che noi possiamo partecipare a quelli della comunità. Spesso, sono proprio le sofferenze e le prove che possono aiutarci a camminare insieme con la comunità e a volerci un po’ più di bene. Questo chiede un primo passo importante: avere fiducia nella gente e nelle comunità. Quante volte è capitato di dire alle comunità e alle persone pregate per me, perché mi trovo in una situazione difficile e dolorosa? È una preghiera di intercessione e anche di ringraziamento, perché Dio è vicino e non abbandona mai chi è nella sofferenza.

2. Dalla parte del Cristo crocifisso

Vogliamo entrare nel cuore della spiritualità e della riflessione teologica di Paolo, per vivere nel profondo e in prima persona l’accettazione delle prove e la loro trasformazione in consolazioni di Dio. Il punto di partenza rimane l’esperienza concreta di Paolo: mentre all’inizio è stato un persecutore, usando violenza contro i cristiani, dall’illuminazione sulla via di Damasco, è passato dalla parte del Cristo Crocifisso, facendo di Lui la sua unica ragione di vita e il motivo della sua predicazione. Dall’incontro con Cristo sulla via di Damasco, Paolo ha riscoperto il significato centrale della croce, capendo che Gesù è morto ed è risorto per tutti e per lui stesso. Papa Benedetto nelle catechesi su San Paolo che ha tenute durante l’anno Paolino del 2008, diceva: “Ambedue le cose erano importanti; l’università: Gesù è morto realmente per tutti, e la soggettività: egli è morto anche per me”. Nella croce Gesù manifesta l’amore gratuito e misericordioso di Dio. Un amore che trasformò Paolo facendolo passare da peccatore a credente, da persecutore ad apostolo. Per San Paolo la croce ha un primato fondamentale nella storia dell’umanità: essa rappresenta il punto centrale della sua teologia, perché dire croce vuol dire salvezza, grazia donata ad ogni creatura. Ecco perché il tema della croce di Cristo diventa non solo un elemento essenziale e primario della predicazione dell’apostolo ma anche un modo per vivere il suo ministero e per dare un significato profondo alla sua esistenza e alla sua vita. Riporto per la nostra meditazione personale il brano centrale:

1 Corinzi 1, 17-31

17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. 20Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. 26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. 27Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. 30Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.

° Di fronte alla comunità di Corinto dove erano presenti in modo preoccupante disordini e scandali, dove la comunione era minacciata da partiti e divisioni interne, Paolo si presenta non con sublimità di parole o di sapienza, ma con l’annuncio di Cristo, di Cristo crocifisso. La sua forza non è un linguaggio persuasivo ma, paradossalmente, la debolezza e la trepidazione di chi si affida soltanto alla potenza di Dio. La croce, per tutto quel che rappresenta, è scandalo e stoltezza. Con forza impressionante Paolo afferma: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio” (1,18). La tematica riguarda proprio il cuore e l’autenticità della sua predicazione, ed è pure la sua esperienza personale. Di fronte all’ incomprensione del suo linguaggio da parte del mondo e dell’umanità, si può risalire e riconoscere il volto di Dio che ha scelto modi e stili completamente diversi: un percorso scandaloso e insensato. Cristo crocifisso è il sigillo e la firma finale di questo percorso, il punto chiave per aderire a Dio che si è voluto rivelare non attraverso ragionamenti umani, ma attraverso questa contraddizione: la croce.

° Lo scandalo e la stoltezza della croce stanno proprio nel fatto che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore e sconfitta, proprio lì c’è tutta la potenza dell’amore sconfinato di Dio, perché la croce è espressione di amore e l’amore è la vera potenza che si rivela proprio in questa apparente debolezza. La posta in gioco è altissima: per i Giudei la croce è contraddizione, scandalo e pietra d’inciampo, contraddicendo così l’essenza stessa di Dio, il quale si è manifestato con segni prodigiosi. Dunque, accettare la croce di Cristo significa operare una profonda conversione nel modo di rapportarsi a Dio.  Paolo stesso, in più occasioni fece l’amara esperienza del rifiuto dell’annuncio cristiano giudicato ‘insipiente’, privo di rilevanza, neppure degno di essere preso in considerazione sul piano della logica razionale. Come si potrebbe credere che un Dio, fatto uomo, potesse finire su una croce e poi, con la risurrezione, riprendersi il corpo? “Ti sentiremo su questo e un’altra volta” (Atti 17,32), dissero gli ateniesi a Paolo quando sentirono parlare di resurrezione dei morti. La risposta di Paolo è semplice anche se per loro incomprensibile: la croce rivela ‘la potenza di Dio’, che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore. Sono passati tanti secoli, ma noi vediamo che nella storia ha vinto la croce e non la saggezza che si oppone alla Croce. Il crocifisso è sapienza perché manifesta davvero chi è Dio, cioè potenza di amore che arriva fino alla croce per salvare l’uomo. Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza. Il crocifisso svela, da una parte, la debolezza dell’uomo e dall’altra la vera potenza di Dio che è la gratuità dell’amore.

Carissimi, tutti portiamo dentro il desiderio, il sogno direbbe papa Francesco, ognuno secondo le proprie forze e possibilità, giovane o anziano, di annunciare e portare Gesù agli altri, alle persone che la provvidenza ci ha affidato. Teniamolo bene a mente: se non c’è la sapienza della croce non si porta Gesù Cristo e non si generano comunità cristiane. Tutt’al più si generano comunità o persone affezionale al sacro. La croce è e rimane la parola ultima, definitiva di Dio nel suo dialogo con l’umanità. Dio ha salvato il mondo e salva noi stessi con la debolezza della croce!

Buona meditazione.

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo