Meditazione Ritiro Clero, Pordenone 17 settembre 2024

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Iniziamo la tre giorni di formazione del clero con il Ritiro spirituale, che ci offre la possibilità di una sosta di preghiera e riflessione, all’inizio di questo nuovo Anno pastorale, a conclusione del Cammino sinodale e alle porte dell’Anno Santo 2025. L’Assemblea sinodale ha consegnato alla Chiesa che è in Concordia-Pordenone e anche a noi consacrati un compito delicato e necessario per affrontare con serenità e speranza i tempi che ci stanno davanti: “Annunciare sempre e dovunque Gesù Cristo, morto e risorto, nostra speranza” (Prima Lettera post Cammino sinodale, 5), offrendo così un volto nuovo alla nostra Chiesa diocesana, chiamata ad essere più attenta alle domande che vengono rivolte e capace di rispondere ai veri bisogni delle persone. Pastori attenti ai cambiamenti e fondati e radicati nelle fede del Signore Gesù. Sono cambiamenti che tutti siamo chiamati ad affrontare e a vivere. Penso ai confratelli interessati già quest’anno al cambio della parrocchia o del ministero, ai confratelli che giunti alla soglia degli 80 anni sono chiamati a minor responsabilità oppure alla scelta già fatta in assemblea sinodale di ridefinire le nuove Comunità Pastorali con modalità diverse di servizio pastorale. Ma soprattutto penso alla nuova modalità che la Chiesa ci chiede di esercitare il ruolo di Pastori nelle comunità parrocchiali in piena e vera corresponsabilità con i laici, non solo come collaboratori, ma autenticamente corresponsabili della progettualità e dei compiti pastorali/amministrativi. Ci lasciamo guidare dall’Apostolo Paolo che all’inizio dell’evangelizzazione e della prima organizzazione della comunità cristiana, si è fidato e affidato all’azione dello Spirito Santo.

ATTI 16, 1-10
1Paolo si recò anche a Derbe e a Listra. Vi era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco: 2era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. 3Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere a motivo dei Giudei che si trovavano in quelle regioni: tutti infatti sapevano che suo padre era greco. 4Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. 5Le Chiese intanto andavano fortificandosi nella fede e crescevano di numero ogni giorno. 6Attraversarono quindi la Frìgia e la regione della Galazia, poiché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia. 7Giunti verso la Mìsia, cercavano di passare in Bitìnia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; 8così, lasciata da parte la Mìsia, scesero a Tròade. 9Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: “Vieni in Macedonia e aiutaci!”. 10Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo.

Prima di soffermarci sul testo è utile considerare il contesto. Il primo viaggio missionario (cfr. Atti 13–14) di Paolo ha come capo missione Barnaba accompagnati da Giovanni Marco, che dopo un po’ si ritira e ritorna ad Antiochia, la Chiesa di partenza e di invio in missione. Alla fine del viaggio Paolo e Barnaba fanno ritorno alla loro Chiesa di appartenenza e “riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo di loro e come avevano aperto ai pagani la porta della fede” (Atti 14,27). Dopo l’assemblea di Gerusalemme (Atti 15,6-23) iniziata con il resoconto di Paolo e Barnaba, dov’è stata decisa l’accoglienza dei pagani nella Chiesa senza le condizioni precedenti, è ormai aperta ufficialmente la missione universale, che vede, però, la separazione di Paolo e Barnaba che voleva nel viaggio anche Giovanni Marco, non gradito da Paolo perché li aveva abbandonati. Il racconto presenta l’inizio del secondo viaggio missionario di Paolo con la sua nuova équipe formata da Timoteo e Sila. Paolo, anche se non necessario, fa circoncidere Timoteo per riguardo ai giudei presenti nella regione visitata, considerato che sua madre era un’ebrea. Tra Paolo e Timoteo si instaurerà una preziosa collaborazione, che fa di Timoteo l’emblema del discepolo fedele e annunciatore del Vangelo.

Commento
° Protagonista indiscusso e motore fondamentale di ogni iniziativa apostolica e missionaria della Chiesa è lo Spirito Santo. È Lui che guida il cammino degli evangelizzatori mostrando loro la via da seguire. Infatti, già nel primo viaggio vediamo è lo Spirito Santo che invia i primi evangelizzatori: “Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: ‘Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. … Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo … salparono per Cipro” (13,2.4). Così è anche per il secondo viaggio. Dopo una veloce carrellata delle cinque regioni d’Asia visitate, Luca annota due interventi dello Spirito che impediscono i progetti dei missionari: “Lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia” (16,6) e mentre “cercarono di passare in Bitinia, lo Spirito di Gesù non lo permise loro” (v.7). Da notare le due diverse denominazioni dello Spirito: lo Spirito Santo e lo Spirito di Gesù, che potrebbero suscitare l’interrogativo circa la loro equivalenza o la loro diversità. Le due denominazioni sono simili anche se Luca evidenzia lo stretto rapporto tra Gesù e lo Spirito che ha guidato la missione messianica del Figlio e che guiderà la missione della Chiesa e dei suoi evangelizzatori. Infatti i missionari, a mano a mano che procedono si vedono costretti a cambiare i loro piani per superare le loro paure e dirigersi su strade impensabili. I cambiamenti di rotta sono dovuti alla volontà del Signore che si manifesta; non si tratta di motivazioni umane, ma tutto è guidato dallo Spirito santo.
° A questo punto la narrazione sembra rallentare per presentare la ‘visione’ di un Macèdone avuta da Paolo a Troade nella notte e la pronta reazione dei missionari: “Vieni in Macedonia e aiutaci! Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia” (vv. 9-10). Questa invocazione è come il grido dell’umanità e una conferma che il Signore continua a passare per le vie del mondo, sui sentieri della storia per entrare nella vita di ogni persona. Paolo è veramente uno strumento nelle mani di Dio, cercando di capire che cosa fare e dove andare, sempre però docile alle ispirazioni del Signore e consapevole di essere il servitore della Parola e non uno che la possiede e ne fa quello che vuole. L’apostolo non esitò a partire per la Macedonia, sicuro che è proprio Dio ad inviarlo, approdando a Filippi, colonia romana, aprendo così l’Europa all’annuncio del Vangelo. È abbastanza evidente che il racconto di visione è uno strumento narrativo privilegiato da Luca per mostrare come l’intervento divino incoraggi e guidi la missione verso nuovi traguardi. Nel libro degli Atti i racconti di visione sono numerosi e in momenti strategici della narrazione e hanno come denominatore comune il fatto che essi contengono avvertimenti in vista dell’espansione missionaria del Vangelo. Singolare è che nel nostro racconto, il portare del messaggio non sia né il Signore, né un angelo ma un ‘uomo macedone’. Nel testo si trova un’altra particolarità. La risposta alla visione è espressa con un improvviso “cercammo di partire” (v. 10), che dà inizio alle ‘sezioni-noi’ del libro degli Atti, dove presentano l’autore Luca al fianco di Paolo.

Attualizzazione
– La fatica del cambiamento. Frustrazioni provvidenziali
– L’azione e la forza vivificante dello Spirito. Evangelizzatori con Spirito
– Capacità di ascolto e di interpretare le domande e richieste della gente

a) La fatica del cambiamento. Frustrazioni provvidenziali

Nel Convegno di Firenze del 2015 papa Francesco alla Chiesa italiana diceva: “Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo”. Sono i cambiamenti della e nella società e pure quelli della e nella chiesa. Se negli anni sessanta questo ‘clima’ provocava aspettative e speranze, oggi spesso provoca incertezze e ansie per il futuro. Anche per noi consacrati, storditi talvolta dai tanti cambiamenti e sorpresi dalla fatica di imprimere attraverso di essi un nuovo rilancio della vita di fede nelle comunità, non sappiamo quali scelte operare. C’è chi si siede aspettando tempi migliori, chi rimpiange il passato cercando di riproporlo nell’oggi con “il comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così” (EG, 33), oppure chi imbocca la strada più giusta del lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente, dell’accoglierle, guidati dallo Spirito e dal discernimento che è l’esperienza di chi nella preghiera si sente guidato e unito dallo Spirito, riuscendo a percepire la presenza di Dio che lo guida nella storia.
Nel racconto del libro degli Atti colpisce il contrasto tra i progetti, le prospettive e i vari tentativi di Paolo e dei suoi collaboratori per evangelizzare e gli imprevisti che essi incontrano, soprattutto perché attribuiti all’azione dello Spirito Santo. Non è difficile trovare elementi comuni tra l’esperienza dei primi evangelizzatori e la situazione pastorale che oggi noi incontriamo e che vivono le nostre comunità cristiane. Stiamo vivendo il passaggio da una condizione di cristianità, dove i valori e i simboli cristiani erano pienamente accettati, a un contesto secolarizzato e pluralista che mette in crisi non solo le scelte e i progetti pastorali ma la stessa nostra identità di ‘consacrati per la missione’. Una situazione così può portare allo scoraggiamento, alla precarietà pastorale e alla chiusura in se stessi e in spazi sempre più protetti. Pensiamo al passaggio che stiamo facendo in diocesi, sostenuto dal Cammino sinodale e dalle scelte di altre diocesi, da una parrocchia autosufficiente in tutto con il proprio parroco alle Comunità pastorali, che vedono i presbiteri agire insieme per più parrocchie con la maggiore e piena corresponsabilità di altri ministeri e dei laici nella cura pastorale e amministrativa della comunità, dedicando più tempo ed energie. Un cammino che siamo chiamati a fare; cammino non facile ma necessario e indispensabile per l’evangelizzazione oggi.
Non desidero fare l’elogio delle ‘frustrazioni’, ma guidati dallo Spirito e sostenuti dall’esperienza di Paolo e dei suoi collaboratori, che non si sono scoraggiati ma insieme e non da soli, totalmente coinvolti – vedi il noi del v.9 – trovare in esse qualche effetto positivo su di noi e sulle nostre esperienze pastorali. Ecco perché si può parlare di effetti positivi anche per noi delle frustrazioni che incontriamo nel ministero e nei momenti dei trasferimenti e cambio di metodo e stile nella pastorale. Un primo effetto positivo potrebbe essere quello di liberarci dal senso di potenza e di autosufficienza e riportarci alla coscienza più vera di chi siamo, delle nostre fatiche, debolezze e fragilità, senza inutili depressioni affidandoci di più sulla forza che Dio ci dona con il suo Spirito e la sua Parola. Ricordiamo bene quanto ha detto san Paolo ai Corinzi: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Corinzi 12,10). Una ferita normalmente ti rende fragile e vulnerabile. L’incontro con Cristo più che toglierti quella ferita o quella debolezza, la fa diventare il tuo punto di forza, cioè la tua debolezza diventa la tua forza perché grazie a quella debolezza tu sei una persona diversa. Un altro esito positivo di questa situazione di incertezza e di paura potrebbe essere quello di far maturare in noi la capacità di vivere e sostenere la condizione della provvisorietà. Le vecchie certezze insieme ad alcune prassi pastorali vengono meno e il nuovo non si profila ancora con contorni precisi. L’accettazione, senza sconforto, della provvisorietà può diventare un incentivo alla ricerca, al dialogo e al confronto che aprono alla creatività, individuando nuove proposte e sfide inedite. La situazione di difficoltà che porta all’isolamento e all’autoreferenzialità può essere superata da una pastorale comunitaria e condivisa, nella piena valorizzazione di tutte le ministerialità e i carismi. È infatti nell’intreccio delle relazioni e nell’apporto dei diversi doni e delle diverse competenze che si attua il vero discernimento, rendendo presente lo Spirito che è fonte, non solo di comunione ma anche di creatività. Se siamo capace di avviare questi percorsi, ci si accorgerà, com’è avvenuto per Paolo e i suoi compagni, che è stato lo stesso Spirito, Spirito Santo e Spirito di Gesù, a provocare la frustrazione dei nostri progetti per sollecitarci a non restar fissi sul passato ma ad aprirci a nuovi spazi e metodi nella nostra missione pastorale.

b) L’azione e la forza vivificante dello Spirito. Evangelizzatori con Spirito

Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium dedica l’ultimo capitolo agli evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo, com’era successo a Pentecoste. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio (cfr. n. 259). Abbiamo tutti presente la sera di quel giorno, il primo della settimana quando Gesù risorto apparendo ai discepoli soffiò su di loro dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni 20,22). Lo Spirito di Cristo, ciò che lo fa vivere, viene a farci vivere, leggero e quieto come un respiro, portando però una novità travolgente: Gesù risorto è vivo, è in noi, è dentro di noi. Quello Spirito che ha incarnato il Verbo nel grembo di Maria, continua la stessa opera in me e in ciascuno di voi per poterlo portare a tutti. Anche la prima Chiesa, arroccata e sulla difensiva, chiusa nel cenacolo, viene lanciata fuori e in avanti dalla forza dello Spirito. Noi e anche la Chiesa, oggi come allora, talvolta siamo tentati di ritiraci e di chiuderci in noi stessi, pensando che i tempi sono cambiati e che oramai non sarà più possibile visto i numeri di chi frequenta e la scarsità sempre più evidente di presbiterati di consacrati e pure di operatori pastorali che si mettono al servizio della comunità. Ma non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa e ciascuno di noi abbiamo ricevuto la missione e il mandato di andare, non da soli ma sostenuti dalla forza dello Spirito ad evangelizzare. Così cantiamo: “Del tuo Spirito Signore è piena la terra!” Spirito Santo he abbiamo ricevuto nel giorno del battesimo e della cresima e che abbiamo accolto con più maturità e determinazione nella chiamata al ministero e nel giorno della nostra Ordinazione sacra. Lasciamoci avvolgere dalla potenza e dalla brezza leggera dello Spirito Santo, spirito d’amore che ci fa innamorare del Signore Gesù, accogliendolo nella nostra vita di ogni giorno e donandoci la grazia di testimoniarlo e portarlo agli altri. “Come vorrei trovare le parole – scrive papa Francesco – per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervoroso, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino fondo e di vita contagiosa” (EG, 261). E anche nei momenti più difficili, di crisi di identità o di paura di non essere all’altezza in questo tempo complicato, ricordiamoci che non siamo soli, che o Spirito è all’opera. Basterà talvolta ritornare ai giorni degli inizi del ministero, vissuti con gioia ed entusiasmo, ma non per rimpiangere un passato che non c’è più, ma per ravvivare e riconfermare la presenza dello Spirito e del suo amore che non ci abbandona mai. Uno Spirito che non ci vuole tutti uguali, ma discepoli geniali e creativi, non banali ripetitori.
Richiamo brevemente le due caratteristiche, le condizioni indispensabili per essere evangelizzatori con Spirito. La prima è di recuperare uno spirito contemplativo che ci fa rimanere davanti al suo sguardo e alla sua Parola, permettendo che Lui tocchi la nostra esistenza. Sentiamo rivolte personalmente a ciascuno di noi le parole di Giovanni nella prima Lettera: “Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono … noi lo annunciamo anche a voi” (1,1.3). “Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui” (EG, 266). L’altra caratteristica, speculare alla prima, è di sviluppare la sensibilità e il gusto di essere vicini alla vita della gente, con lo stesso sguardo e comportamento di Gesù che ascoltava e si chinava sulle sofferenze e sulle povertà delle persone. “Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile che ha contrassegnato tutta la sua esistenza” (EG,269). La fede è il lasciarsi coinvolgere, appassionarsi e vedere le cose e la realtà da un’altra prospettiva. Gesù ci invita a fare esperienza di Dio, ad andare a vedere dove egli abita, lasciandoci affascinare dalla sua libertà, dalla sua fede e dalla sua compassione.

c) Capacità di ascolto e di interpretare le domande della gente

Sorprende ed è significativo il fatto che Paolo e i suoi amici scoprano il nuovo ambito della missione, che Dio apriva loro, accogliendo l’appello di un uomo, un macedone. In questa richiesta hanno accolto la chiamata di Dio a un nuovo campo di evangelizzazione. Non intendo minimamente dire che la proposta che vi è stata fatta o vi sarà fatta di un trasferimento, sia tout-court la volontà divina, ma un invito a saper cogliere le domande e gli appelli che indirettamente, da mediazioni, ci raggiungono e ci sorprendono, invitandoci a nuove opportunità di evangelizzazione. Noi che ci troviamo impegnati nell’azione pastorale siamo davanti alle richieste più diverse. Talora è proprio questa diversità di richieste che rende faticosa e dispersiva l’azione pastorale. Ci può essere chi, sull’onda del clima di cristianità domanda o quasi pretende servizi religiosi o iniziative che fungano da aggregazione sociale. Altri chiedono il funzionamento delle abituali strutture pastorali della parrocchia, con i tradizionali percorsi di catechesi e scadenze settimanali. Chi chiede solo il sacramento o la celebrazione del funerale. Ma talvolta emergono anche bisogni e domande nuove, più difficili da accogliere e alla cui risposta occorrerebbe dedicare tempo, energie e creatività. Trovare un riequilibrio tra tutti questi appelli e, pertanto, ridisegnare una nuova mappa delle attenzioni pastorali, è forse l’assillo che ci può angustiare, perché speso non sappiamo cosa mettere in atto.
Non è mai facile nemmeno per noi prestare attenzione ed esser capaci di andare anche oltre la semplice domanda o richiesta che ci viene fatta, per cogliere in profondità i bisogni e le necessità vere del nostro interlocutore. Fondamentale un buon ascolto, cercando di comprendere in profondità le emozioni di chi parla, senza pregiudizi, distrazioni e senza aver la preoccupazione di dare subito una risposta. L’interlocutore si deve trovare davanti a una persona libera e empatica nell’ascolto, dimostrando passione e interesse. Solo così, con l’animo grato al Signore e con la certezza della presenza dello Spirto, potremo percepire i sussulti dell’anima e le vere domande. La Parola annunciata non rimarrà mai sterile, in un modo o nell’altro porterà sempre frutto. Lo Spirito infatti, aprirà i cuori per aderire non tanto alle nostre parole ma alla Parola che salva.

Buon cammino.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo