Custoditi dalla speranza che non delude.
L’esperienza dell’apostolo Paolo
“La speranza non delude” scrive san Paolo nella lettera indirizzata alla comunità cristiana di Roma (5,5a). Queste parole sono state scelte da papa Francesco per l’Anno giubilare che stiamo vivendo, per aiutarci a comprendere che la speranza non è una virtù statica ma sempre in movimento e che ha bisogno di essere continuamente ravvivata, accresciuta e custodita. “Si, abbiamo bisogno – ha scritto papa Francesco nella Bolla di indizione – di ‘abbondare nella speranza’ per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza” (n. 18). Nel cammino spirituale che abbiamo vissuto mensilmente nei ritiri, don Patrizio ci ha sapientemente condotti a rileggere le Lettere dell’Apocalisse alle sette Chiese, rivolte anche a noi per aiutarci in un cammino di conversione e per rimanere fedeli alle promesse di Dio, nella speranza che “il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono” (3,21). Ecco perché desiderio riprendere nel momento di preghiera di quest’oggi il tema della speranza, guardando all’esperienza dell’apostolo Paolo che è stato capace, nelle situazioni più difficili e complicate della sua vita, custodire ed essere custodito dalla speranza.
‘La speranza non delude’ suona un po’ paradossale, forse anche per molti di noi, perché l’esperienza della vita personale e pastorale ci dicono che la speranza è facilmente delusa. La speranza appartiene alle promesse, al futuro, a ciò che ancora deve realizzarsi, mentre il presente è carico di contraddizioni, imperfezioni e fallimenti. Un giorno un amico di Kafka gli domandò: “La speranza esiste?”. Kafka rispose: “Esiste un’infinita quantità di speranza, ma non per noi”. Il desiderio di speranza rimane radicato nell’essere umano ed è profondo come il battito del cuore. Ma forse viviamo in tempi che non sempre ci permettono di udirlo. Ecco perché molti anche oggi affermano che la crisi contemporanea è anche una crisi di speranza. Non possiamo più pensare ad una speranza per tutte le stagioni, elettrizzante e leggera, facile e immediata. Numerose sono le speranze umane, magari di piccolo cabotaggio, che costellano la nostra vita quotidiana. Spesso più facilmente colpite sono le giovani generazioni, che in un contesto culturale privo di certezze, di valori e di solidi punti di riferimento, si trovano ad affrontare difficoltà che sembrano insormontabili. Noi credenti siamo consapevoli che la speranza non delude “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5,5b). Questa speranza ci aiuta a superare le prove del fuoco della disperazione e della fatica, dell’insuccesso e delle delusioni, aiutandoci a trascenderle e a integrarle nel nostro vissuto. La speranza è umile, silenziosa e anche Crocifissa, tendendo a quella “speranza contro ogni speranza” di cui parla l’apostolo Paolo (Romani 4,18).
In questo campo, l’apostolo Paolo ci appare come un maestro opportuno e necessario. Grazie a lui abbiamo uno degli elementi chiave dell’esistenza umana e cristiana. Fin dalla sua prima Lettera la speranza si impone, al pari della fede e della carità, come elemento fondamentale del credente: “Non vogliamo, fratelli, lascarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza” (1Tessalonicesi 4,13). Per Paolo il credente è uno che si lascia custodire dalla speranza! Trovandosi immerso in difficoltà e prove di vario genere, al fedele discepolo Timoteo scrive: “Per questo infatti noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1Timoteo 4,10). Sappiamo bene che questa speranza nasce dall’incontro di Paolo con Gesù risorto sulla via di Damasco; un incontro che trasformò radicalmente la sua vita e che non dimenticherà mai, diventando apostolo, testimone e missionario del Vangelo. Tutto per amore di Cristo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,19-10). Per Paolo la speranza non è solo un ideale o un sentimento, ma una persona viva: Gesù Cristo. Il ‘Dio vivente’ è Cristo risorto presente nel mondo e che vive dentro ciascuno di noi. È lui la vera speranza, è il nostro presente e il nostro futuro, perché temere? Dunque la speranza si fonda su Gesù Cristo e sul sapersi amati da lui in modo incondizionato; si fonda sull’offerta di una relazione d’amore che ci invita ad un amore fedele e per sempre, accolto nel giorno della nostra ordinazione, capace di sfidare il tempo che passa e le gioie e fatiche della vita presente. Una relazione d’amore che nemmeno la morte potrà spezzare “perché forte come la morte è l’amore” (Cantico dei Cantici, 8,6).
Considerando più attentamente l’esperienza e gli scritti di Paolo, possiamo notare un’asse temporale che lega, da una parte, la speranza rivolta al presente, in un processo di relazioni sempre aperto alla quotidianità del vivere e dall’altra la speranza di natura teologica, la grande speranza che dà senso e un fine alla nostra vita, riferita al futuro di Dio e al compimento escatologico della storia. È necessario camminare verso entrambi le direzioni, in dialogo con la salvezza che verrà e che il risorto ci offre (spero in), vivendo concretamente il tempo presente che presuppone una costante relazione con gli altri (spero che).
° La speranza vissuta nella storia
Romani 5,1-5
1Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 2Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. 3E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Romani 8,18-27
18Io penso che le sofferenze del tempo presente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio manifesterà verso di noi. 19Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli. 20Il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: 21anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio. 22Noi sappiamo che fino ad ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce. 23E non soltanto il creato, ma anche noi, che già abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli. 24Perché è vero che siamo salvati, ma soltanto nella speranza. E se quel che si spera si vede, non c’è più una speranza, dal momento che nessuno spera ciò che già vede. 25Se invece speriamo quel che non vediamo ancora, lo aspettiamo con pazienza. 26Allo stesso modo, anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, mentre lo Spirito stesso prega Dio per noi con sospiri che non si possono spiegare a parole. 27E Dio, che conosce i nostri cuori, conosce anche le intenzioni dello Spirito che prega per i credenti come Dio desidera.
I cristiani vivono nel tempo e nella storia, membri di una comunità concreta che attende il compimento futuro, in forza della speranza della piena rivelazione dell’amore di Dio. Malgrado le difficoltà e i limiti dell’esistenza storica, i cristiani rimangono saldi, sorretti e illuminati dalla loro speranza. La speranza non è una finzione che ci separa dal flusso dell’esistenza ma si esercita nelle tribolazioni, si approfondisce nella pazienza e si allarga nella capacità di resistere al male e a ciò che è privo di senso. Il credente non solo è fiducioso e fiero della propria scelta, ma vive l’esperienza del male e delle contraddizioni della storia quali occasioni per rafforzare la speranza. Le tribolazioni si aprono alla speranza quando sono affrontate con la perseveranza e con l’impegno, altrimenti conducono allo scoraggiamento e all’abbandono. La speranza lascia intravedere, al di là delle dure condizioni attuali, possibilità ancora nascoste. Pertanto il fondamento della speranza cristiana non dipenda da una scelta volontaristica e neppure da una visione teorica della storia, ma sulla certezza della vittoria di Dio sul male, grazie alla morte e risurrezione di Cristo e al dono attuale dello Spirito Santo che Dio trasmette qui e ora, come effusione di speranza nel presente. L’amore di Dio cioè l’amore che viene da Dio, si rende presente nell’intimità del credente attraverso il dono dello Spirito, che è la ragione ultima della speranza. La speranza cristiana non è dunque semplice attesa passiva, né comoda evasione dal presente, né si riduce ad un facile ottimismo; è, invece, fiduciosa e attiva presenza nel mondo.
Nel capitolo ottavo della Lettera ai Romani Paolo ci ricorda che la speranza non può sopravvivere senza il dono dello Spirto e senza la vita nuova che i cristiani ricevono in quanto figli ed eredi. Lo Spirito Santo assicura ai cristiani che sono coeredi di Cristo, poiché il dono dello Spirito è il segno che Cristo è già entrato in possesso della sua eredità ed è garante che le aspettative di quanti sono ancora in cammino si realizzeranno. Le sofferenze che i cristiani devono patire ne sono un segno. Coloro che sono coeredi con Cristo devono soffrire con lui prima di essere in lui glorificati. Questa gloria è certa e lo Spirito Santo è la garanzia che i dolori non sono invano. L’azione dello Spirito Santo è la prova che è già cominciata una nuova era e che la sua consumazione finale non tarderà. I gemiti e la fatica sono un indizio eloquente che la presente condizione della creazione si risolverà in una fase gloriosa, che includerà pure la redenzione del cosmo. Scrive Bonhoeffer in uno dei suoi sermoni: “Dove c’è speranza non c’è sconfitta anche se c’è grande fragilità, grande miseria e desolazione, grande clamore pieno di paura; la vittoria è già percepibile. Questo è il mistero della sofferenza nella Chiesa e nella vita cristiana: è proprio il portale con la scritta ‘Abbandona la speranza’, il portale della sofferenza, della catastrofe e della morte, che si trasforma per noi nel portale della gloria e dello splendore” (La pace di Dio nell’afflizione, Sermone del 1938).
° La speranza rivolta al futuro: Abramo modello di speranza
La speranza cristiana non si esaurisce mai nel momento attuale perché è tensione, dinamismo, slancio che vive nel presente, in anticipo, l’insorgere del futuro. Quando Paolo parla di futuro, lo fa coincidere con l’esperienza della vita in Cristo, così che l’oggetto della speranza cristiana non è altro che la futura manifestazione di Cristo. Nella prima Lettera ai Corinzi l’apostolo lega il tema della speranza all’immagine delle primizie. Come l’opera attuale dello Spirito Santo nella vita dei credenti è la primizia della gloria futura, così la risurrezione di Cristo è la primizia che garantisce la futura risurrezione di tutti coloro che sono in Cristo: “Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (15,20). Ma quando Paolo deve cercare un modello di la speranza rivolta al futuro, significativamente indica Abramo. Paolo sviluppa il suo pensiero attraverso una storia di vita, piuttosto che tramite un concetto. L’immagine ha sempre una forza espressiva singolare che tocca il cuore.
Romani 4, 1,18-22
1Che diremo dunque di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? 18Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. 19Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. 20Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. 22Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
Per l’apostolo Paolo, Abramo non ha mai dubitato, anche attraversando le più aspre assurdità, dal mantenimento delle promesse di Dio. La sua speranza si fonda su una relazione di fiducia incondizionata e senza riserve. L’unico fondamento di tale speranza era la promessa. Niente di più. Anzi, il corso ella storia sembrava gettare discredito sulla possibilità aperta dalla promessa. Un paradosso che è indissociabile dall’espressione “nella speranza contro ogni speranza” (v. 18). Possiamo per un momento rivisitare la storia di Abramo per meglio capire ciò di cui parla san Paolo, in particolare Genesi 12,1-4 e Genesi 22,1-14. Chiamato da Dio a iniziare un nuovo viaggio, Abramo sperimenterà quella Parola come una sfida inattesa a uscire, ad andare al di là del suo familiare contesto geografico e parentale e ad aprirsi alle sorprese di Dio. Che strano modo usa san Paolo per parlarci della speranza! Un pensionato che si mette per strada a cui Dio fa levare gli occhi sui vasti cieli come fosse un giovane sognatore: Il Signore “lo condusse fuori e gli disse ‘Guarda in cielo e conta le stelle se riesci a contarle” (Genesi 15,5). La speranza destabilizza, chiede di uscire e di guardare oltre e di non lasciarci catturare dall’individuale. La speranza ci pone in dialogo con quanto si scorge al di là dalle nostre finestre, in una logica di estensione. Non fermiamoci solo a guardare dentro di noi o ai nostri problemi, ma alziamo lo sguardo e il cuore verso il cielo, verso tutta l’umanità.
La stretta relazione tra il credere e lo sperare di Abramo lascia intendere quella tra la fede e la speranza, di una fede che spera e di una speranza fedele: “Egli non vacillò nella fede pur vedendo già come morto il proprio corpo” (v.19). La fede di Abramo poggia sulla convinzione che Dio realizza quello che promette e al suo potere vivificante al di là di quello che l’uomo può ottenere con le proprie forze. Una speranza fatta anche di pazienza che porta all’accettazione della vita e della morte. La speranza è l’arte di accogliere pazientemente la vita e di lì partire verso un cammino che porta oltre, aperti alle novità dello Spirito. La speranza di Abramo è fatta anche di prova. La prova, infatti, è il luogo in cui si fortifica quella fiducia chiamata ad essere radicale, quella che non si adagia su garanzie e segni, ma che ha solo in Dio il suo fondamento. Dio aveva concesso ad Abramo il figlio della promessa, Isacco. Ma la fede non rimane legata a quello che i nostri occhi vedono, come ci riferisce il racconto di Genesi 22,1-14, il sacrificio di Isacco. La grandezza di Abramo viene dall’aver abbracciato così radicalmente il paradosso della speranza. Abramo credette a dispetto dell’assurdo e in qualche modo anche attraverso l’assurdo, sperando contro ogni speranza, accettando di essere accompagnato da Dio nell’assurdo della speranza. La speranza sono i dolori del parto della nostra anima e dell’anima del mondo. È nella follia della croce che Dio ha realizzato in Cristo il motivo e il fondamento della vera speranza. Gesù Cristo è la realizzazione fedele della promessa di Dio. La morte e la risurrezione di Gesù Cristo segnano l’inizio di una nuova speranza, fondata sulla fedeltà di Dio e resa efficace dal dono dello Spirito.
° Provocazioni per la meditazione personale.
Il Signore Gesù vivo e risorto ci ha raggiunti in particolare nel giorno della nostra Ordinazione. È stato lui per primo a chiamarci e a farci suoi discepoli. Portiamo ancora dentro di noi la gioia, la consapevolezza e la responsabilità di essere stati scelti per servire il Signore la sua Chiesa e tutta l’umanità? La speranza è stata il fuoco che ha acceso il nostro cuore. Come mantenere viva quella fiamma nella nostra vita sacerdotale e nel nostro ministero?
La quotidianità della vita e del ministero provoca in noi e attorno a noi molte sfide. Talvolta il ministero può essere faticoso e demoralizzante perché non si hanno sempre punti di riferimento chiari e precisi, com’è emerso nell’incontro del clero di marzo, e spesso la stanchezza ci assale e oscura la speranza. Come affrontare le difficoltà? La vita fraterna ci può essere di aiuto. Come sostenersi reciprocamente nella speranza e nella fede?
Gesù, vivo e risorto è il nostro modello di speranza presente e futura. Come far si che sia sempre al centro della nostra vita e del nostro ministero?
Maria, stella dell’evangelizzazione ci aiuti nell’incontro con il suo Figlio Gesù, ci custodisca nella fedeltà al Vangelo e nel buio delle difficoltà ci conservi saldi nella speranza.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
