Letture: Atti 3,1-10; Giovanni 11,32-45
Carissime e carissimi tutti, in particolare mamma Anna Maria, sorella Gloria e fratello Francesco con Chetti, nipoti, familiari e amici; carissimi confratelli e amici preti più stretti, vescovo Livio e don Roberto Laurita che vi siete voluti bene e sostenuti fin dagli anni del seminario; carissimo don Erick che hai collaborato e condiviso per quattro anni l’attività pastorale, soprattutto in oratorio e vissuto intensamente questi ultimi tempi di sofferenza e di malattia di don Dario; carissimi fedeli delle varie comunità che ultimamente don Dario ha servito, San Vito con le comunità di Gleris-Carbona e Ligugnana; carissimi della commissione della Pastorale Sociale diocesana. Con il cuore colmo di dolore e con le lacrime agli occhi facciamo nostre le parole che le due sorelle Marta e Maria hanno rivolto a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Giovanni 11,32). Pur non essendo un rimprovero, sono parole che sgorgano dal cuore pieno di sofferenza e di tristezza per la perdita di una persona cara, di un amico, don Dario, che abbiamo conosciuto, stimato, apprezzato ed amato. È la ribellione di fronte alla morte che esprime il “non è giusto” che spesso si dice di fronte alla perdita di qualcuno che amiamo. Anche Gesù davanti al sepolcro dell’amico scoppiò in lacrime; anche Gesù ha sperimentato che la morte e la sua morte rimangono uno scandalo.
Ma non tutto finisce qui! Gesù l’aveva detto ai discepoli qualche giorno prima, quando venne avvisato che il suo amico Lazzaro era ammalato: “Questa malattia non porterà alla morte ma è per la gloria di Dio” (v. 4). La direzione che la morte di Lazzaro assume non è verso il buio totale e il nulla, ma verso la speranza, la vita che continua dopo la morte per tutta l’eternità nel regno di Dio, donataci dalla morte e dalla risurrezione di Gesù. Risuona forte in questa celebrazione il grido di Gesù: “Togliete la pietra!” (v. 39). Il nostro pensiero corre ad un’altra pietra, quella del sepolcro di Gesù. La tomba, spazio abitato dalla morte, diventa grazie alla fede il luogo della manifestazione della presenza di Dio. Il ritorno alla vita di Lazzaro è il segno dell’amore e dell’autorità di Gesù sulla vita e sulla morte. Anche se la morte fa paura e fa soffrire, sappiamo che è stata vinta dalla Risurrezione di Gesù che ha offerto anche a ciascuno di noi.
Ci troviamo insieme per ringraziare il Signore per il dono che ci ha dato nella persona di don Dario che ha speso tutta la sua vita per portare alla gente che incontrava l’amore e la vicinanza di Dio che non ci lascia soli e che nel suo Figlio Gesù ci ha promesso una dimora eterna che non avrà mai fine. 63 anni di vita e 38 anni di prete sono pochi, ma più che sufficienti per aiutarci a delineare e comprendere la grande fede e la ricchezza del ministero presbiterale di Don Dario. Le parole che ha scritto nella lettera al vescovo Freschi per chiedere l’Ordinazione presbiterale, esprimono bene la sua statura di uomo e pastore: “Penso al prete operatore e costruttore di pace. Egli lavora con passione nel tessuto della comunità, artefice e tessitore paziente e fiducioso di rapporti sempre nuovi. Lui, come pastore, conosce a uno a uno i suoi fratelli, spezza con loro il pane dell’Amore più grande ed educa alla fede un popolo minacciato dalla frammentazione”. Queste parole scritte nel 1986 possono ben considerarsi il riassunto del suo ministero. Un ministero ricco di attività e di esperienza, dove si è sempre speso con amore ed entusiasmo, sempre in prima linea tra la gente. Con il suo carattere mite e un cuore buono, talvolta riservato, ma con una grande capacità di ascolto, ha saputo entrare in relazione con tutti quelli che incontrava, penetrando le profondità del cuore e comprendendone i bisogni e le necessità. Anche la sua passione e l’amore allo sport e al calcio hanno favorito dialoghi e incontri con persone più diverse. Se lo ricordano così soprattutto i ragazzi e i giovani nei primi anni del suo ministero presbiterale come vicario parrocchiale per 5 anni nella parrocchia Beata Maria Vergine di Portogruaro, per alcuni anni a San Giorgio di Pordenone e soprattutto nei nove anni trascorsi come vicario parrocchiale, insieme a don Nicola che considerava un padre, a San Vito al Tagliamento, nel grande oratorio. Successivamente fu parroco per 10 anni a Cordovado e nel 2012, per 13 anni fino alla sua morte, ha servito la vostra comunità di San Vito al Tagliamento e successivamente le parrocchie di Gleris-Carbona e Ligugnana, per dare concretamente avvio alla comunità pastorale. Un legame con le comunità mai formale, ma sempre attento alle persone e alle realtà presenti, come Presidente della Casa di riposo di San Vito, una delle realtà socio-sanitarie più importanti del territorio, della Fondazione Falcon-Vial e della scuola materna di Gleris. Nonostante questi impegni non sempre facili, considerate le sue doti e capacità relazionali, è stato chiamato ad assumere altri servizi nella realtà diocesana, come Assistente dell’AGESCI e del MASCI a livello parrocchiale e di zona. Per un periodo prestò il suo servizio di Assistente AGESCI anche a livello regionale.
La singolare e spontanea capacità di don Dario di coniugare fede e vita e di essere accanto alle persone, lo hanno portato ad assumere nella Diocesi il ministero di Direttore della Pastorale Sociale e del lavoro. Compito che svolse con passione e competenza per ben 18 anni. Viene da chiederci come ha potuto assumere e svolgere con competenza e generosità tutte le numerose attività pastorali e gli incontri con le persone. Il coraggio e la forza gli sono state date dall’incontro personale con il Signore Gesù che ha accolto nella sua vita rispondendo a quella domanda che all’inizio del suo cammino vocazionale si era posto: “Maestro dove dimori?” (Giovanni 38), lasciandosi afferrare da lui e, come scriveva, lasciandosi afferrare dalla sua Parola e mettendosi alla sua sequela, offrendo tutta la sua vita al servizio della Chiesa locale, affermando con san Paolo: “Voglio soltanto lavorare con voi per la vostra gioia” (2 Corinzi 1,24)
Per rileggere con voi ancora di più la sua interiorità, la vita spirituale e il suo servizio nella Pastorale sociale diocesana, ho scelto un episodio della prima comunità cristiana. Pietro insieme a Giovanni, fissando lo sguardo sul paralitico disse: “Guarda verso di noi. Ed egli si volse a guardarli” (Atti 3, 4-5). Ancora prima di agire i discepoli entrano in relazione profonda con il paralitico, sottraendolo dalla sua condizione di oggetto e dal suo ruolo sociale di mendicante, per renderlo soggetto meritevole di attenzione. Questa reciprocità dello sguardo favorisce una relazione più cordiale e serena. A risolvere l’attesa del paralitico interviene la parola di Pietro: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina” (v. 6). Solo in forza di questo nome Pietro può dire alzati e cammina! Possiamo dire che anche don Dario, prima di agire ha sempre dato priorità all’ascolto, favorendo così una relazione più cordiale, nella consapevolezza che è solo la potenza del Signore Gesù, e non le sue capacità, ad offrire qualche soluzione. Da questa prospettiva diventa più facile comprendere il grande impegno di don Dario nella Pastorale sociale diocesana, sapendo vivere e testimoniare la propria fede senza mai separarla dalla vita quotidiana. Accanto al mondo dei lavoratori e degli imprenditori, nella difesa della giustizia e della pace ad ogni costo e nella salvaguardia del creato, così tanto sfruttato per interessi di parte. Significativa la sua vicinanza agli operai nei momenti difficili del lavoro, come fece nell’estenuante trattativa all’Ideal Standar, accompagnando dal santo Padre alcuni operai. Così pure aveva fatto scalpore la battaglia anti slot, nel dilagare del gioco di azzardo, costruendo insieme con un gruppo di giovani un presidio locale dell’Associazione Libera. In un incontro, don Dario sintetizzò così il suo impegno: “La Chiesa non è una palestra di atleti ma un ospedale da campo, dove incontra quotidianamente situazioni dolorose, da fasciare e curare”. Promosse la partecipazione alle Settimane Sociali Nazionali e la concretizzazione delle scelte in diocesi nelle settimane sociali diocesane. Favorì momenti di confronto e formazione degli operatori e della comunità cristiana, soprattutto dei giovani, invitandoli alla partecipazione attiva nella vita politica del territorio. Si spese perché la Dottrina Sociale della Chiesa fosse conosciuta e accolta da tutti. Non ha mai agito da solo, ma sempre in sintonia con la Commissione e con altre persone, valorizzando le capacità e le competenze di laici e di laiche, nella piena corresponsabilità.
Carissimi, in questo rendimento di grazie presentiamo al Signore il nostro fratello e confratello don Dario. Nello stesso tempo chiediamo che, i valori di vicinanza, di prossimità e di annuncio del Vangelo che hanno accompagnato la vita e il ministero di don Dario, vibrino anche nei cuori di ciascuno di noi, toccati dal suo esempio e dalla sua bontà, sicuri che don Dario, in Paradiso, pregherà per noi davanti al Padre.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
