Omelia Giubileo della Vita Consacrata al termine dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata – Pordenone, 7 febbraio 2016

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Omelia Giubileo della Vita Consacrata al termine dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata

Pordenone, 7 febbraio 2016

 

A conclusione di quest’anno dedicato alla Vita Consacrata, nel celebrare per tutti voi carissime consacrate e consacrati il vostro giubileo, desideriamo esprimere al Signore il grazie più sincero per quanto vi ha dato di vivere in questo anno particolare e per il dono che ha fatto con la vostra presenza e il vostro servizio alla nostra Chiesa diocesana e alle parrocchie. Concludendo quest’anno particolare, con la celebrazione del Giubileo esprimete con più forza, entusiasmo e vigore, il desiderio di rimanere fedeli alla chiamata che il Signore vi ha fatto, attraverso il carisma dei vostri fondatori, continuando con tutte le vostre forze e con gioia, a servire la Chiesa e il mondo.

La Parola di Dio della celebrazione Eucaristica, ci richiama il senso profondo di una vita vissuta come vocazione e come risposta alla chiamata e al progetto di Dio, e ci aiuta e vi aiuta, carissimi fratelli e sorelle, a rileggere il cammino che avete compiuto in questi anni di consacrazione e a domarvi con ancora più entusiasmo al servizio dei fratelli e delle sorelle che il signore vi ha affidato. Ogni vocazione nasce dall’incontro con Gesù, da una esperienza personale e da una relazione viva e profonda con Lui. La prima lettura ci ha fatto incontrare con il profeta Isaia, la seconda con l’esperienza di Paolo e il Vangelo con la chiamata di Pietro e dei primi discepoli. La vita, ogni vita è vocazione, è una chiamata, è il progetto di Dio che ci raggiunge e ci chiede di accoglierlo, per il nostro bene, nella nostra vita. Fissiamo per un momento lo sguardo sull’apostolo Pietro e sulle scelte che ha dovuto compiere. Gesù gli chiede di ributtare in mare le reti e di pescare. Cosa fare? E’ una scelta difficile, anche perché le circostante suggerirebbero di non farlo. Infatti la risposta di Pietro: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Luca 5,5), esprime non solo le difficoltà della pesca, ma anche tutte le vostre fatiche apostoliche, le tante energie spese, i progetti e i sogni infranti di fronte all’indifferenza di molti che non accolgono la vostra testimonianza. Pietro però non soccombe, non si tira indietro e giocandosi tutto, anche la propria credibilità si fida di Gesù e dice: “Sulla tua parola getterò le reti” (5,5).

Carissimi e carissime consacrati, ‘sulla tua parola’ è l’espressione di chi si trova di fronte a Dio e si fida di Lui, giocando tutto se stesso e se stessa. E’ la scelta di chi vuole ancora rischiare la propria vita con Gesù e per Gesù, mettendo Lui al centro e non noi e le nostre paure, perché convinti che l’unica misura è la misura dell’amore. Quando ci si fida di Gesù, quando si mette Lui al centro di tutta la nostra vita, si ha il coraggio di compiere un altro gesto, necessario e fondamentale nel cammino di sequela: riconoscere le proprie fragilità e inadeguatezze, riconoscere il proprio peccato… ma soprattutto riconoscere l’amore di Dio, la sua misericordia, l’unica capace di smuovere i cuori e le persone. La vista della pesca abbondante, segno dell’amore preveniente del Signore Gesù e della sua potenza, ha portato Pietro a buttarsi ai suoi piedi e dire: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (5,8). E’ la stessa sensazione di indegnità che turba il cuore del profeta Isaia: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono” (6,5); ed è anche la consapevolezza che fa esclamare Paolo: “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo” (1 Corinzi 15,9).

Questo è il significato più bello del giubileo che oggi tutti insieme celebriamo. Con il passaggio della Porta Santa, voi, cari consacrati, avete manifestato a tutta la comunità cristiana il desiderio e il bisogno di accogliere l’amore e il perdono di Dio. Il suo amore e il suo perdono sono più grandi delle nostre paure e dei nostri peccati. Anzi, sappiamo che Lui ci precede sempre, ci previene e ci chiama, al di là dei nostri meriti, a seguirlo e a continuare nel mondo di oggi, la sua opera con l’annuncio e la testimonianza gioiosa della vita. La conclusione del Vangelo di oggi è significativa: “E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (5,11). Il discepolo non deve mai ignorare la propria fragilità e debolezza, ma ricordarsi che viene chiamato non per i propri meriti ma per l’amore gratuito di Dio. Portiamo scolpita dentro di noi l’espressione stupenda di san Paolo: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1 Corinzi 1,27).

Qualche giorno fa, papa Francesco, a conclusione dell’anno della vita consacrata, vi ha ricordato i tre pilastri per vivere anche nell’oggi il vostro carisma: profezia, prossimità e speranza. Con il suo stile incisivo e paterno, ha ricordato a tutta la Chiesa che la vita consacrata è un dono grande dello Spirito Santo, necessario e indispensabile anche per i nostri tempi e, proprio per questo, deve essere conservato, proposto e alimentato. Anche il mondo e l’umanità di oggi, chiusi nel proprio egoismo, scoraggiati  da tanti problemi e attratti da false illusioni, hanno bisogno di testimoni gioiosi del vangelo, di uomini e donne capaci, con le scelte della loro vita quotidiana, di essere profeti e segni di speranza, indicando a tutti nuove possibilità di pienezza di vita. E’ la strada della felicità e della gioia che Gesù ha percorso e che ci chiede di percorrerla insieme con Lui. Ecco il vostro compito profetico: dire con la vostra vita, qualsiasi sia l’età e il servizio, che Dio è presente, che non ci lascia soli, che ama ogni uomo e ogni donna con amore infinito, in particolare coloro che stanno vivendo momenti di sofferenza, di dolore e di incomprensione. In questo Anno Santo, carissimi fratelli e sorelle, non stancatevi di manifestare il volto misericordioso del Padre che si china su ciascuno di noi: dite, soprattutto con la testimonianza della vita, che nel mondo c’è qualcosa di più importante dei soldi, della carriera, del potere…; dite che l’amore e la solidarietà verso gli altri, è fonte per noi e per le nostre famiglie di felicità e di serenità tale, da far superare tantissime difficoltà. Comprendete così il significato dell’altro pilastro: la prossimità. Il consacrato è uno, una che, rinuncia volontariamente ad alcuni legami terreni, per essere più vicino, anche materialmente alla gente, per ‘farsi prossimo’ a tutte quelle persone che sono considerate, dalla nostra cultura,  degli ‘scarti’, da mettere da parte o da buttare via perché non produttivi . I vostri  fondatori, lungo i secoli, si sono concretamente chinati su tutte le fragilità, sugli ‘scarti’ del tempo. Non abbiate paura di farlo anche voi, di individuare nuove povertà e nuove prospettive di prossimità e di vicinanza verso i più poveri. Scriveva papa Francesco: “Che nessuno mai vi senta lontani, distaccati, chiusi e perciò sterili. Ognuno di voi è chiamato a servire i fratelli, seguendo il proprio carisma: chi con la preghiera, chi con la catechesi, chi con l’insegnamento, chi con la cura dei malati o dei poveri, chi annunciando il Vangelo, chi compiendo le diverse opere di misericordia. Importante è non vivere per sé stessi, come Gesù non ha vissuto per Sé stesso, ma per il Padre e per noi”.

Carissimi, non sentitevi soli. Siamo qui – questa sera – per farvi sentire tutto il nostro affetto e la nostra vicinanza, per camminare con voi, per essere Chiesa insieme con voi e per sostenervi  nel cammino, non facile, ma bello, gioioso e pieno di grazie e doni speciali del Signore.

                                                                       + Giuseppe Pellegrini

                                                                                   vescovo

Pordenone
07/02/2016
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia