Il Vescovo ricorda S.E. Mons. Luigi Padovese

Pubblicato il 03/06/2010

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Sua Eccellenza Mons. Luigi Padovese, Vicario Apostolico dell’Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale di Turchia, è stato oggi brutalmente assassinato. Ho l’animo ricolmo di profonda tristezza. Soffro la perdita di un amico carissimo oltre che di un fratello Vescovo, buono e dotto, aperto al dialogo con tutti. L’ho incontrato dieci giorni fa, a Roma, durante un intervallo dei lavori della Conferenza Episcopale Italiana. Era felice anche perché aveva notato recentemente qualche segno di apertura da parte delle autorità turche nei confronti della comunità cristiana. E, abbracciandomi, mi aveva invitato caldamente a restituirgli la visita in Turchia. Egli aveva un rapporto affettivo speciale con la nostra Diocesi per le origini della sua famiglia. I genitori erano di Concordia e di Summaga, dove vivono alcuni suoi parenti; altri risiedono a Pordenone. Veniva tra noi ogni volta che gli era possibile. L’ultima occasione fu nel maggio dell’anno scorso, quando in cattedrale, a Concordia, tenne una conferenza su San Paolo. Aveva scelto come motto episcopale, ispirandosi a San Giovanni Crisostomo, Vescovo antiocheno di Costantinopoli, la frase: “In caritate veritas” (la verità nella carità). “Sono parole che esprimono – aveva egli spiegato – il mio programma di ricercare la verità nella stima e nel reciproco volersi bene. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza che è un vivere per gli altri. Su questa convinzione si fonda la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi e quelli di altre confessioni”.
Di fronte a questo orrendo delitto, che aggiunge un altro nome alla già troppo lunga schiera di martiri di Cristo, non trovo parole più espressive di quelle con le quali, qui a Pordenone, presentai Mons. Luigi in occasione di una sua lezione ai preti sul tema: “Evangelizzazione e dialogo nella nostra società multiculturale, multietnica e multireligiosa”. Ricorreva il primo anniversario della uccisione di don Andrea Santoro, a Trebisonda. Dicevo: “La debolezza temporale è ciò che la Chiesa possiede di più prezioso, è la sua forza, perché è una debolezza divina e, come afferma San Paolo, la debolezza di Dio è più forte degli uomini. Una Chiesa che si affida alla potenza temporale non può gustare, in condizioni di forza, la crocifissione. La potenza spoglia l’uomo della forza dello Spirito”.
Prego il Signore, che continua nei martiri la sua passione, di far sì che il sangue innocente di questo nostro Fratello, nonostante tutto, sia “seme di nuovi cristiani” e invocazione di pace.
 
Pordenone, 03 giugno 2010
+ Ovidio Poletto
Vescovo