Omelia Messa giubilare di liberazione, consolazione e guarigione, Concattedrale PN 9 aprile 2025

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Carissime e carissimi tutti, celebro con gioia questa Eucaristia particolare, che voi vivete una volta al mese, di liberazione, di consolazione e di guarigione, in quest’Anno Santo giubilare. Come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla di indizione Spes non confundit, insieme con Gesù si possono superare tutte le difficoltà e le paure, anche la morte, consapevoli che “al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio e nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito” (n.21). In questo modo non dobbiamo temere il giudizio di Dio perché la speranza sostiene la nostra vita, permettendoci di non cadere nella paura. L’indulgenza, legata strettamente al Giubileo e a questa celebrazione, ci permette di scoprire quanto sia grande, potente e illimitata la misericordia di Dio. La confessione, la santa comunione, la professione di fede, la preghiera per il santo Padre e qualche opera di carità saranno il segno evidente dell’amore e della misericordia di Dio che ci ha raggiunti, ci ha perdonati e anche salvati.
Ci lasciamo guidare dalla liturgia della Parola del mercoledì della V^ settimana di quaresima. L’episodio dei tra fanciulli narrato nel libro del profeta Daniele e liberati miracolosamente dal fuoco della fornace, ci insegna che chi spera in Dio non resterà mai deluso. Facciamo nostre le parole del re Nabucodonosor: “Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdenego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui” (3,95). Non è stata né la menzogna né la paura a liberare i tre fanciulli ma la fede in Dio. È la stessa fede che Gesù chiede ai giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31-32). Ma quando questi si sono sentiti dire che ‘la verità vi farà liberi’, risposero risentiti: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno” (v.33). Erano convinti di conoscere già la libertà e di essere già liberi. Ma la libertà di Gesù è diversa. La loro reazione mostrava con evidenza la distanza che li separava ancora da Lui. Le affermazioni forti di Gesù, rimanere nella sua parola, essere suoi discepoli e conoscere la verità hanno un unico scopo: far vedere che la vera libertà sta in ognuno che si fida e si mette alla sequela del Signore. Rimanere uniti a Lui, dimorare in lui significa essere fedeli al suo disegno di amore e liberarci dalla falsa immagine che abbiamo di noi stessi. Essere liberi, pertanto, significa non imparare a memoria o sui libri un elenco di cose da fare, ma acquisire il sentire di Dio e conoscere il suo vero volto, di un Dio che ci ama e che vuole il nostro vero bene. Al di fuori di questo rapporto di libertà e di fiducia in Dio, siamo prigionieri dei falsi idoli che ci costruiamo e che serviamo devotamente. Diciamocelo senza paura che molti, qualcuno forse anche tra di noi, sono convinti che il male e satana siano più forti di Dio e di Gesù e che se vogliamo superare difficoltà e problemi, è necessario mettesi sotto la tutela del diavolo. Ecco perché Gesù, anche stasera, ci ricorda che se vogliamo essere veramente liberi, se vogliamo essere liberati dalle forze del male, che è presente e che ancora agisce nel mondo, dobbiamo andare da lui e affidarci pienamente a Dio. Per essere pienamente se stessi, per essere liberi dalle forze del maligno è necessario essere in Dio, rimanente legati a lui, alla sua Parola, scegliendo lo stile di vita di Gesù: farsi dono per gli altri, amare tutti come ha fatto lui. Non dimenticatelo mai: Dio è più forte del maligno ed è l’unico che ci può liberare dalle forze oscure del demonio. Per questo è necessario conoscere la verità, accoglierla dentro di noi, radicarla nella nostra persona, sperimentarle e viverla ogni giorno. Lo Spirito Santo, che è Spirito ci iuta a scoprire la Verità tutta intera.
Solo quando saremo veramente liberi, potremo accogliere l’altro dono che chiediamo questa sera e che voi chiedete ogni mese nella preghiera comunitaria: la consolazione. Cos’è la consolazione spirituale? È un’esperienza di gioia interiore, la luce dell’amina, che consente di vedere la presenza di Dio in tutte le cose. Essa rafforza la fede e la speranza, e anche la capacità di fare il bene. La consolazione è un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi. La persona che vive la consolazione non si arrende di fronte alle difficoltà, perché sperimenta una pace più forte della prova. Si tratta dunque di un grande dono per la vita spirituale e per la vita nel suo insieme. Non è appariscente ma tenera e delicata, come una goccia d’acqua che si posa sul viso di una persona, avvertendo la presenza di Dio, in maniera sempre rispettosa della propria libertà. Essere consolato è stare in pace con Dio, sentire che tutto è armonico dentro di noi. La consolazione riguarda anzitutto la speranza, che ci protende verso il futuro e ci mette in cammino per fare cose buone al servizio di se stessi, degli altri e della società. Dobbiamo, però, stare attenti nel distinguere bene la consolazione che viene da Dio dalle false consolazioni che ci fanno ripiegare in noi stessi, lasciandoci vuoti e lontani dal centro della nostra esistenza, senza il desiderio di fare qualcosa per gli altri. La presenza continua dello Spirito Santo dentro di noi ci è di grande aiuto per discernere le vere consolazioni. Diceva papa Francesco parlando della consolazione, che occorre riconoscerla ‘quando viene’ e prepararsi ad accoglierla con la preghiera. E quando viene ringraziare il Signore.
Un ultimo aspetto desidero ricordate. In questa celebrazione chiediamo al Signore anche il dono della guarigione! Conosciamo bene quanto Gesù ha detto ai discepoli prima di salire al cielo: “Questi saranno i segni che accompagnano quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, … imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Marco 16, 17-18). Sono i segni di coloro che hanno creduto nel risorto e, partiti, hanno predicato dappertutto. L’annuncio del Vangelo deve essere fatto nel nome di Gesù, invocando il suo nome e affidandoci alla sua potenza e non alle nostre capacità. I segni che autenticano il Vangelo sono quelli del Signore e non i nostri; sono segni che lasciano trasparire la potenza di Dio e non la nostra! Ogni uomo e donna, chiamati da Dio alla gioia e alla felicità, fanno quotidiana esperienza della malattia e di sofferenze del corpo, dell’anima e dello Spirito. Nel suo ministero Gesù ha guarito alcuni malati, come segno dell’avvicinarsi del Regno di Dio, manifestando così la vittoria sul peccato, sulla morte e su ogni sorta di male. Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma la stessa sofferenza umana è stata redenta dalla croce di Cristo. Ecco perché è necessario intensificare la preghiera, personale e comunitaria, perché Dio, amore infinito, con la forza dello Spirito ci liberi da ogni male e ci dia sollievo nella sofferenza e nella malattia, aiutandoci a fare sempre la sua volontà. Il ricorso alla preghiera non esclude, anzi incoraggia a servirsi delle cure mediche e degli ospedali per recuperare la salute, come pure sostiene i singoli e la comunità cristiana a prendersi cura dei malati e recar loro sollievo nel corpo e nello spirito. Evitiamo di correre dietro a santoni/e o a forme di esoterismo e di magia, diffusissimi ai nostri giorni, che allontanano dalla preghiera e dalla fiducia in Dio, unico salvatore del mondo.
L’ascolto assiduo della Parola di Dio, la confessione, la comunione, il rosario e le opere di carità sono i mezzi ‘potenti’ che la Chiesa ci offre per combattere il maligno, per superare momenti difficili di prove e di malattie, così da ritrovare pace e serenità dentro di noi e nelle nostre famiglie.
Buon cammino spirituale e una santa Pasqua.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo