Letture: 2Corinzi 12,7b -12; Giovanni 17,20-26
Carissimi tutti, ci troviamo insieme per accompagnare il nostro confratello e fratello don Giancarlo nella dimora eterna, per accogliere il dono della vita senza fine. Siamo nella Novena della Pentecoste dove la Chiesa si ritrova per invocare il dono dello Spirito Santo, Spirito di Gesù Risorto che ci rende fratelli e ci unisce tra noi a immagine dell’Amore trinitario.
Nella pagina di Vangelo di questa celebrazione, Gesù ci offre il suo testamento, le cose più preziose che non sono materiali ma spirituali: il suo amore per noi e la sua fedeltà incondizionata al Padre. Il Vangelo ci presenta la terza parte della grande Preghiera di Gesù: la volontà di Dio che gli uomini siano una cosa sola fra loro, che “siano perfetti nell’unità” (Giovanni 17,23). È l’invocazione di Gesù che ci ripete nel brano di oggi: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (v.20). Lo sguardo di Gesù si distende sull’immenso stuolo di tutti coloro che nella storia crederanno in lui, anche per tutti noi, chiedendo al Padre il dono più grande e importante, l’unità, che nasce dall’amore di Dio e si dilata nell’amore fraterno. Gesù conosce bene l’animo umano e sa che la nostra natura, anche di noi presbiteri tende verso la chiusura in se stessi, verso i propri interessi e il benessere personale. L’unità che ci annuncia Gesù ha la sorgente nell’amore divino che si effonde: “Ci ha amati come hai amato me” (v.23) e con “l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (v.26). In questo modo Gesù ci ricorda che la meta finale del cristiano è di essere sempre uniti al Signore e di amare i fratelli e le sorelle con un amore che genera altro amore, un amore che si fa dono e gratuita verso tutti. Un amore che non si chiude, non si sclerotizza. Un amore che ama sempre, a immagine dell’amore della Trinità.
Anche don Giancarlo, nella sua vita sacerdotale, ha cercato con tutto se stesso di essere dono verso tutti quelli che il Signore gli aveva messo accanto. Nato nel paese, come amava dire, più bello delle nostre terre, Valvasone, divenne prete nel 1970 a 25 anni. 55 anni di ministero presbiterale, per 8 anni nella parrocchia di Concordia e per 6 anni nella cattedrale di Pordenone. Sono ancora molti a ricordare l’entusiasmo, la passione e la generosità del giovane don Giancarlo, gioioso e anche scherzoso, nei bellissimi momenti trascorsi in oratorio, nelle attività estive e nell’insegnamento della religione nelle scuole della provincia per ben 20 anni. Fu poi trasferito nello spilimberghese, dove passò ben 32 anni come parroco nella parrocchia di Tauriano e poi anche di Istrago. Venendo poi meno le forze e l’entusiasmo, soprattutto dopo la morte della sua cara mamma, si mise al servizio della comunità di Spilimbergo nell’Ospedale e nella Casa di riposo. Lo ricordiamo anche per il suo amore per l’arte e per la cura degli edifici sacri. Con entusiasmo mi teneva aggiornato sui lavori e sui restauri della ‘sua’ chiesa di Tauriano. Passò agli ultimi anni a casa sua, custodito dalla cognata Vanda e nella casa del Clero di san Vito, in compagnia di suoi amici sacerdoti.
Ci sono momenti nella vita delle persone, così come nella vita di don Giancarlo e di noi preti, dove si incontrano e si vivono momenti di fatica e di stanchezza, accanto alle difficoltà e ai propri limiti e fragilità. Non è sempre facile accettarli e attraversare questi tunnel. Sono momenti in cui nemmeno la fede, talvolta, sembra darci un aiuto, con l’impressione, com’è successo agli apostoli, di essere sulla barca che affonda. Non è segno di mancanza di fede, perché tutti fanno fatica ad accettare la sofferenza e la morte. Ci viene in aiuto l’apostolo Paolo, come abbiamo sentito nella prima lettura, che ci ricorda che “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Corinzi 12,10). Davanti alla comunità di Corinto Paolo fa fatica a far comprendere come sia possibile che la potenza e la grandezza di Dio passi attraverso persone che sono segnate dalla debolezza e dalla fragilità. L’esperienza che anche San Paolo ha vissuto in prima persona ci ricorda che la forza di Dio si manifesta in modo più evidente quanto più noi siamo vulnerabili e non siamo in grado di farcela da soli. Disse il Signore a Polo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifestate nella debolezza” (v.9). Le nostre debolezze, pertanto, sono l’occasione per cui la forza Divina può manifestarsi nella nostra vita. La forza di Dio non si manifesta solo nei miracoli, nei santi o nelle grandi imprese, ma anche nella forza di perseverare nelle difficoltà quotidiane e di sapersi affidare agli altri. Importante più di tutto è saper confidare in Dio che non ci abbandona mai e che ci aiuta attraverso anche la vicinanza e i consigli di chi ci sta accanto punto Se si rimane di soli c’è il rischio di cadere nella disperazione e nella solitudine.
Pur con fatica, don Giancarlo si era reso conto di alcune suoe fragilità e accettò di farsi aiutare, trasformando così le sue debolezze in grazia di Dio. In uno di questi momenti, don Giancarlo con la sua capacità e il suo carattere acuto e anche scherzoso, in alcune lettere ringrazia il vescovo Ovidio per le scelte fatte e per la sua vicinanza. Scrive: “Ho imparato ad accettare le croci che incontrerò lungo il cammino della vita. Con fatica mi sto liberando dal non sentirmi tanto povero da non poter dare niente, né tanto ricco da non potere niente ritenere”.
Siamo grati al Signore per la vita e il ministero che ha affidato a don Giancarlo. Preghiamo per lui, perché Dio lo accolga nella sua gloria e gli conceda la pace eterna. Ispirati dal suo ministero continuiamo a lavorare per il Regno di Dio. Un grazie alle comunità che l’hanno accolto, alla cognata Vanda, ai nipoti e ai confratelli della Casa del clero che gli sono stati sempre vicini fino alla fine della sua vita.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
