Giovedì Santo – Nella Cena del Signore

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Con la celebrazione eucaristica di questa sera, inizia il Triduo Pasquale, facendo memoria dell’Ultima Cena nel Cenacolo, dove Gesù riunito insieme ai discepoli istituisce l’Eucaristia e il Sacerdozio che perpetueranno nei secoli il sacrificio eucaristico, domandoci il sacramento dell’amore. Il racconto che ci ha offerto san Paolo dell’istituzione dell’Eucaristia, si collega all’evento della liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù nell’Egitto alla libertà nella Terra Promessa. Il Signore passò in mezzo al suo popolo mentre mangiavano l’agnello, il cui sangue, a protezione, tinse gli stipiti delle case degli Ebrei. Il suo ricordo è un ‘memoriale’ che rende sempre presente quanto è accaduto, un’esperienza di salvezza e di liberazione da parte di Dio.

Fissiamo la nostra attenzione su quanto l’apostolo Paolo ha scritto ai Corinzi: l’istituzione dell’Eucaristia, che è il cuore della comunità cristiana. La comunità di Corinto, si era così abituata alla celebrazione dell’Eucaristia, da perderne il vero valore e significato. Infatti, in qualche versetto precedente il racconto dell’istituzione, che Paolo aveva ricevuto dagli apostoli, scrive: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siede a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così una ha fame, l’altro è ubriaco” (1Corinzi 11,20-21); e dopo il racconto dell’istituzione, ci ricorda che “chiunque magia il pane o beve il calice del Signore, in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (v.27). Questo è lo scandalo, questo significa ricevere indegnamente il corpo del Signore, perché i cristiani si ritrovano a mangiare senza condividere, non più capaci di vivere la comunione con Cristo e con i fratelli. Non è sufficiente trovarsi insieme e poi pensare solo ai propri bisogni e interessi. Non è questa la logica evangelica. Radunarsi insieme per l’Eucaristia è radunarsi in un solo corpo; è radunarsi in Cristo perché Cristo è la nostra comunione, consegnando la propria vita per gli altri e per ciascuno di noi, affinché in lui vivessimo la comunione.

Carissimi, è il rischio che corriamo, talvolta anche noi. Non è sufficiente partecipare all’Eucaristia perché si è sempre fatto così, perché ce l’hanno insegnato i nostri genitori o nonni, o perché me lo sento e desidero anche solo ‘assistere’ alla messa.  Dobbiamo sentirci un’unità, in comunione nella preghiera, nel canto, nell’ascolto della Parola e nella condivisione con i più poveri, dentro e fuori della Chiesa. Non assistiamo ad un concerto o a una sacra rappresentazione teatrale, ma siamo radunati dal Signore per fare unità con lui e con i fratelli e sorelle presenti. “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi” (vv.23-24). Gesù ha donato la sua vita per noi, come atto di amore e di comunione. In lui la vita umana è diventata vita di comunione. L’Eucaristia smentisce ogni nostro gesto di egoismo o di chiusura in se stessi, perché è solo amore e dono per gli altri, vita spesa per i fratelli. È un gesto e un’azione ricevuta dal Signore, che noi siamo invitati a trasmetterla agli altri. Paolo inizia il suo racconto con un’espressione che ci deve far riflettere: nella notte in cui veniva tradito, dunque nella notte del tradimento e dell’abbandono dei discepoli. Proprio in questa situazione di non relazione e di rifiuto, Gesù consegna il gesto e le parole eucaristiche, il gesto dell’amore e della comunione, della fraternità e dell’accoglienza di tutti. Nella notte in cui è tradita e smentita l’alleanza, Gesù celebra la sua alleanza con i suoi e con tutti noi. Nell’Eucaristia Gesù non solo rinnova l’alleanza antica, che era stata tradita, ma nel suo corpo e sangue ci dona una ‘nuova alleanza’, definitiva, che non potrà mai essere infranta, anche se ciascuno, con la propria libertà e responsabilità, può rifiutarla.

Un altro segno accompagna la celebrazione di questa sera: la lavanda dei piedi, raccontata solo da Giovanni, che manifesta il significato profondo dell’Eucaristia. L’evangelista racconta che durante la Cena il maestro si alza, cinge un grembiule attorno ai fianchi ed inizia a lavare i piedi ai discepoli. Un gesto di umiliazione che era chiesto solo agli schiavi non ebrei. Questo gesto riassume tutta la vita di Gesù, prefigurando anche la sua morte. Ma è pure un gesto dove Gesù svela la vera immagine di Dio e la logica dell’amore che si fa servizio verso gli altri. Un gesto che scandalizza non solo Pietro ma anche noi, chiamati a fare come Lui. Questa, e solo questa, è la vera carta d’identità del cristiano e di ognuno che vuole essere discepolo di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13,35). Ricorrendo quest’anno il 30 anniversario della morte del vescovo don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, pastore dalle scelte forti e coraggiose, ma profondamente innamorato di Gesù e della Chiesa, desidero proporvi qualche sua riflessione sul gesto della lavanda dei piedi. Don Tonino si sofferma sull’espressione di Gesù, dopo aver lavato i piedi ai discepoli: “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (13,14), dicendo che non aveva mai dato troppo peso a ‘gli uni gli altri. A vicenda. Scambievolmente’. Questo significa che la prima attenzione dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità, servendo i fratelli e lasciandoci servire da essi. Spendersi per i poveri, dice, va bene. Abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono esclusi – gli scarti diremo oggi – ed emarginati, va meglio. Ma prima ancora di questi, di coloro che stazionano fuori dal cenacolo, ci sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa e la chiesa. Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri. Dalla lavanda dei piedi dobbiamo recuperare il valore della reciprocità., del servire quelli che ci stanno accanto, i nostri fratelli, i nostri di casa. La brocca, il catino e l’asciugatoio, prima di essere articoli di esportazione, vanno adoperati all’interno del cenacolo. L’Eucaristia e la lavanda dei piedi vanno vissute insieme, all’interno e poi all’esterno, dove ci si raduna e poi dove si vive. (dall’omelia del giovedì santo, 19 marzo 1989).

Signore Gesù donaci occhi e cuore per vedere il bisogno e la sofferenza di chi è accanto a noi, per aprirci alle necessità dell’umanità intera.

 

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo