Omelia S. Messa nella Cena del Signore
Pordenone, 13 aprile 2017
Fino alla fine
Con questa solenne concelebrazione della messa nella Cena del Signore, diamo inizio al Triduo Pasquale, ai giorni centrali e più importanti dell’Anno liturgico, durante i quali facciamo memoria della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù. L’evangelista Giovanni, nel narrare gli eventi e le parole di Gesù durante l’ultima cena, non riferisce la benedizione sul pane e sul vino, come fanno i tre sinottici, ma si sofferma sul gesto di Gesù della lavanda dei piedi ai discepoli, ordinando poi di fare altrettanto. Ciò significa che nella lavanda dei piedi è presente la stessa logica eucaristica: la logica dell’amore. Lavando i piedi, Gesù manifesta la sua gloria, come avverrà il giorno dopo sulla croce: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Giovanni 19,37). La lavanda dei piedi è il segno della vita di Gesù, donata e consegnata al Padre sulla croce, per amore di tutta l’umanità.
Il brano di Giovanni inizia proprio con questa sottolineatura: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (13,1). Avendo amato, Gesù continua ad amare con un amore che giunge fino al compimento non solo della sua vita ma della sua missione. Gesù, amando fino alla fine, manifesta che è pienamente consapevole dell’imminenza della sua passione e della morte in croce, momento di passaggio da questo mondo al Padre. L’espressione fino alla fine, non indica solo fino alla fine della sua vita, ma ci richiama la pienezza dell’amore: dell’amore di Gesù per noi e dell’amore di Dio Padre che ha donato al mondo il suo Figlio. La grande testimonianza dell’amore di Gesù per noi, non è data solamente dal gesto della lavanda dei piedi, bensì dall’intera sua vita, amandoci tutti e per primi. Gesù ama come il padre, perdona ed è misericordioso come il Padre. Ecco perché il gesto di Gesù prima di morire, non appartiene al male, all’odio o alla morte, ma all’amore, al dono di una vita che è pienezza e portatrice di luce. Con quest’ultimo gesto, Gesù esprime la grandezza del suo amore, un amore che non ha limiti e confini; infatti lava i piedi a Giuda, che poi lo tradirà, a Pietro che lo rinnegherà e ai discepoli che lo abbandoneranno. Possiamo così ben dire che Gesù lava i piedi ai discepoli non con l’acqua versata nel catino, ma con il dono della sua vita donata per amore. Gesù compie questo gesto di servizio perché è consapevole della sua grandezza e portata, anche per la vita ei discepoli. “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (v. 15). Non lo fa per darci un buon esempio o per farci capire cosa dobbiamo fare, ma per manifestarci il significato pieno ed autentico della sua vita e della sua missione. Con questo gesto Gesù rende visibile la logica dell’Incarnazione e la logica dell’amore Trinitario, che ama tutti e per sempre, fino al compimento. Da qui anche la nostra dignità di cristiani, che nasce dal servizio semplice, umile e gratuito verso tutti.
Desidero soffermarmi su un altro gesto che ci aiuta ancora di più a comprendere il dono totale che Gesù fa di se stesso. Al v. 4, l’evangelista Giovanni ci dice che prima della lavanda dei piedi, Gesù “depose le vesti” e dopo la lavanda dei piedi, al v. 12 “riprese le vesti”. Non è solamente una indicazione di passaggio, ma i due verbi deporre e riprendere sono usati dall’evangelista anche nel capitolo 10, quando parla di Gesù buon Pastore, che depone e riprende la sua vita per le pecore. Gesù parla proprio della sua vita, che offre e dona per tutta l’umanità. La veste, pertanto, è simbolo della vita di Gesù. Non saranno i soldati, come vedremo ai piedi della croce, a togliere la veste a Gesù, perché è lui che la dona, perché ama fino al compimento. Infatti, la tunica di Gesù non viene tagliata e divisa, rimane integra, perché la vita di Gesù non viene tolta con la morte, ma è solo un passaggio. Con Gesù entriamo anche noi nella prospettiva di un amore che non ha fine, che nemmeno la morte può togliere o ostacolare, di un amore che non conosce fratture o divisioni, ma che ama tutti indistintamente, che sa perdonare anche i propri uccisori.
Proprio in questa Santa Cena, Gesù ci consegna il sacramento dell’amore, l’Eucaristia, come ci ricordano gli evangelisti sinottici e come ci ha ricordato San Paolo nella lettera ai Corinzi. Spezzando il pane Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione, mistero che è presente in ogni Eucaristia che celebriamo. Anche oggi, in ogni Eucaristia è realmente presente Cristo che dona se stesso per la salvezza del mondo e dell’umanità. Essa ci mette in rapporto con Gesù che dona se stesso e ama i suoi fino alla fine, fino al limite estremo dell’amore. Siamo anche noi invitati a ritrovarci spesso attorno all’Eucaristia, centro della vita di fede, della speranza e dell’amore e carità della Chiesa. Qui, carissimi tutti, siamo invitati ad imparare ad amare come ha fatto Gesù. Qui siamo invitati a ritrovare il nostro essere Chiesa in ‘uscita’, aperti al mondo e a tutti quelli che ancora non conoscono il Signore. Qui siamo chiamati ad amare i nostri fratelli, in particolare i più deboli e poveri. Qui per imparare ad essere costruttori di unità e di comunione, dentro e fuori la Chiesa. Pietro e gli altri discepoli non comprendono ciò che Gesù sta facendo. Preghiamo perché il Signore, aiutati anche dalle celebrazioni del Triduo Pasquale, ci faccia entrare nella vera comprensione dell’amore vero.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo