Omelia XVIII T.O. festa Santa Maria della Neve, Sirmione 4 agosto 2024

condividi su

Un caro e affettuoso saluto a don Mario vostro parroco, che mi ha offerto la gioia di vivere con voi qui a Sirmione la festa di Maria, patrona della parrocchia e del comune, venerata con il titolo di Santa Maria della Neve. Una festa nel pieno dell’estate che impegna molto i residenti di Sirmione ad accogliere i numerosi turisti che vengono a visitare uno dei luoghi più belli e suggestivi d’Italia. Il titolo di Santa Maria della Neve è antichissimo e ci ricorda, oltre la tradizione che parla di una nevicata a Roma il 5 di agosto, la dedicazione nel IV secolo della grande Basilica romana di Santa Maria Maggiore, costruita e dedicata a Maria che nel Concilio di Efeso, conclusosi poco tempo prima, la proclamò Madre di Dio. È il titolo della vostra chiesa parrocchiale edificata nel XV° secolo e consacrata il 29 settembre 1512, in sostituzione della preesistente chiesa dedicata a san Martino.

La Parola di Dio di questa domenica ci offre una considerazione che può esserci di aiuto per vivere ancora più intensamente la festa della comunità per voi di Sirmione e per i numerosi turisti delle vostre comunità parrocchiali. A chi lo seguiva, dopo aver partecipato alla moltiplicazione di pani, Gesù, mettendo in questione la loro ricerca, disse: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avere mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Giovanni 6,26). È importante sottolineare che, come di consueto, nel Vangelo di Giovanni i miracoli di Gesù sono definiti “segni”, indicando una realtà che va oltre a quello che umanamente si può vedere. Viene spontanea a questo punto una domanda: noi chi cerchiamo e cosa cerchiamo? E più intensamente: perché cerchiamo il Signore? Quali sono le vere motivazioni della nostra fede? Vi è una ricerca di Gesù le cui motivazioni sono discutibili, anzi, sono apertamente criticate da Gesù stesso. Una ricerca che fa di Gesù colui che soddisfa un bisogno, che colma un vuoto, che sazia una mancanza. Tale ricerca è centrata sui nostri bisogni e non sulla gratuità di Dio, che impediscono di aprirsi alla novità del Regno. Capita anche a noi di cercare il Signore solo per necessità e bisogni materiali, orientando il nostro desiderio a cose effimere. Le folle che seguivano Gesù non sono state capaci di passare dal dono, il pane, al Donatore, non riconoscendo in Gesù il Testimone del Padre. Se non si riesce a fare il salto della fede, si rimane ancorati alla materialità del dono e dunque alla schiavitù del bisogno.
Alla domanda delle folle: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio” (6,28), Gesù risponde che l’opera di Dio è credere in colui che egli ha mandato (cfr. v. 29), riuscire cioè a passare dalle tante cose da fare all’unica opera che è la fede. Gesù aiuta anche noi a saper compiere questo faticoso passaggio, soprattutto ai nostri tempi, tra la fede e le opere, tra la dimensione verticale a quella orizzontale, tra la preghiera e l’azione. L’unica opera è la fede, che consente a Dio di operare e agire nella storia e nella vita di ciascuno di noi. Al cuore della vita del credente non ci sono le tante cose da fare e nemmeno la legge, ma la fede. Fede che non è un atto intellettuale ma una adesione vitale a Gesù Cristo; è mettersi alla sua sequela, coinvolti con la sua stessa vita. Credere è accogliere Gesù come nostro cibo e nostra bevanda. Alla richiesta della folla che ancora non aveva compreso fino in fondo le parole di Gesù, lui afferma: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e che crede in me non avrà sete, mai!” (6, 35). Gesù nutre i credenti innanzitutto con la sua Parola. Come la manna, ci ha ricordato il libro dell’Esodo, era il segno affinché i figli d’Israele comprendessero che era un dono del Padre, così ora Gesù è la Parola del Padre, Parola fatta carne, Parola discesa dal cielo, Parola inviata da Dio agli uomini. In questo senso Gesù si consegna all’umanità quale “pane della vita”, pane che porta alla vita, pane che nell’Eucaristia diventa cibo immortale per la nostra salvezza.

Parole che anche noi facciamo fatica a comprendere, proprio perché ci chiedono un coinvolgimento personale, ci chiedono di saper distinguere la vita materiale dal dono della vita spirituale. Il cristiano è chiamato ad essere un credente, uno che fa della fede la propria responsabilità, il proprio lavoro, la propria fatica e la propria lotta. Una fede che permette a Dio di operare attraverso di noi, per la costruzione di un mondo e di una umanità nuova. In questa festa e celebrazione vogliamo ricordare una ‘vostra compaesana’, la beata Benedetta Bianche Porro, nel 60mo anno della sua morte, avvenuta qui a Sirmione, dove ha trascorso parecchi anni della sua vita, il 23 gennaio 1964, nel 28mo anno di età. Una breve vita segnata dalla malattia nel corpo che le ha consentito di elevare lo spirito, lassù, fino a Dio. La vicenda umana di Benedetta è incomprensibile se non la si vede alla luce della fede e della Croce di Gesù. Scrive Benedetta: “Nel mio calvario non sono disperata. Io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta”. Anche noi, carissimi tutti, e in particolare voi della comunità parrocchiale di Sirmione, siamo e siete tutti invitati, in questo giorno di festa patronale, a testimoniare nella quotidianità della nostra vita, la fede nel Signore Gesù, risorto e vivo, che cammina con noi e non ci lascia soli nelle prove e difficoltà della vita. Scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium che la parrocchia è “comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario” (n. 28). Il mio augurio che possiate essere una comunità, pastore e gregge insieme con uno stile sinodale, che si fa vicina ad ogni persona che incontrate, e qui a Sirmione sono tantissime, in ascolto dei desideri e dei bisogni di ciascuno, per donare a tutti la speranza che non delude: l’amore di Dio che in Gesù si è riversato con abbondanza nei nostri cuori. Buona festa a tutte e a tutti.

+ Giuseppe Pellegrini
vescovo