Celebriamo oggi la 32ma Giornata Mondiale del Malato per sottolineare la predilezione e amore di Dio verso i malati. Diventa anche l’occasione per esprimere la vicinanza e l’affetto della Chiesa verso tutte le persone che soffrono e vivono la malattia. Un grazie pure alla testimonianza spirituale e alla vicinanza fraterna dei cappellani, dei diaconi, dei consacrati e consacrate, dei ministri straordinari della comunione, degli operatori della Pastorale della salute e dei tanti volontari e associazioni che sono vicine agli ammalati negli ospedali, nelle case di riposo e nelle famiglie. Un particolare senso di gratitudine ai medici, agli infermieri e al personale sanitario che quotidianamente si prendono cura di chi soffre. Un grazie ai parenti degli ammalati che condividono con loro vicinanza, affetto e sofferenze.
L’evangelista Marco, nella pagina del Vangelo di oggi e nei primi capitoli del Vangelo, ci presenta Gesù che dimostra una particolare attenzione, vicinanza e cura alle persone che vivono il dramma della malattia, che le assale e talvolta anche vince, portandole all’incapacità di dare un senso alla vita, fino alla disperazione. Nel Vangelo di oggi vediamo Gesù che si incontra con un malato di lebbra. In tante culture del passato, ma purtroppo talvolta anche oggi, il lebbroso rappresentava la persona emarginata per eccellenza, considerato che la lebbra era una malattia ripugnante dovuta ad una punizione divina, facendo del lebbroso un castigato da Dio, costringendolo all’isolamento e alla vergogna. Ci ricorda il testo del Levitico: “Il lebbroso andrà gridando impuro, impuro … se ne starà solo e abiterà fuori dall’accampamento” (13,45-46). Alle sofferenze fisiche si aggiungevano quelle legate all’isolamento e alla solitudine. Questo comportamento ci fa rabbrividire. Ma capita anche a noi di fronte alla malattia e ad una persona ammalata, di spandere dei giudizi pensando che male ha fatto o di aver paura di avvicinarsi e di parlare con chi soffre. Gesù, andando contro le regole del tempo, si incontra con un lebbroso, “ne ebbe compassione, tesa la mano, lo toccò e disse ‘sì lo voglio, sii purificato” (Marco 1, 41). Quell’uomo era un impuro e chiese a Gesù la purificazione e la guarigione. Significativa la sequenza dei verbi: provare compassione soffrendo con lui, avvicinarsi e toccarlo, contravvenendo alla legge e accettando il rischio di contrarre la malattia. Gesù lo guarisce restituendolo alla salute piena. La lebbra, infatti, è la malattia della povertà, perché di solito attacca chi non è ben nutrito, provocando il distanziamento sociale e l’isolamento che segnano il corpo e anche lo spirito. Ecco perché questo lebbroso sapeva che l’unico che poteva fare qualcosa era Gesù. Il testo ci dice che lo purificò per indicare non è solo una guarigione fisica ma soprattutto spirituale e interiore, inserendolo nuovamente nella comunità.
Dalle parole e dal comportamento di Gesù, ci riesce ancora più facile comprendere il messaggio che Papa Francesco ci ha dato per questa Giornata del Malato. “Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato, curando la relazione” è il titolo del messaggio per questa giornata che celebriamo anche noi come diocesi, nella memoria liturgica delle apparizioni della Madonna a Lourdes. “Siamo creati – scrive Papa Francesco nel messaggio – per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è iscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una malattia seria”. Sono parole che entrano e ci colpiscono profondamente, perché in un modo o nell’altro tutti abbiamo fatto o stiamo vivendo un’esperienza di malattia e di sofferenza. Un altro passaggio del messaggio mi pare interessante: “Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari -, con il creato e con se stessi. È possibile? Sì è possibile e noi tutti siamo chiamati impegnarci perché ciò accada. Guardiamo l’icona del buon Samaritano (Luca 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre”. Anche noi siamo invitati, carissimi tutti, personalmente, come associazioni e parrocchie ad essere vicini e a prenderci cura delle persone ammalate, vicini a chi soffre, entrando in relazione con loro. Quanto fa bene la visita agli ammalati, non solo a loro, ma anche a noi. In un mondo che è attento solo chi produce, al look, alla forma fisica e all’immagine, è sempre più necessario portare lo stile della vicinanza, della prossimità e dell’ascolto sull’esempio di Gesù, attraverso scelte concrete di vita; scelte semplici, che non fanno rumore e che portano alla vicinanza e la prossimità. È l’esperienza che tanti ammalati fanno a Lourdes, dove non si sentono un numero, dove non sono lasciati soli, anzi sono posti al centro e alle attenzioni di tutti. Questo è il messaggio più bello che ci si porta a casa dall’esperienza di Lourdes: non lasciare sole le persone ammalate e le loro famiglie. Siamo chiamati ad essere una Chiesa in uscita, vicina alle persone, attenta ai loro bisogni e alle loro necessità. Una Chiesa che porta con gioia lo stile di Gesù che si è incarnato per noi. Una chiesa che porta a tutti la gioia del Vangelo.
Un grazie al Servizio diocesano per la pastorale della Salute che ha organizzato questa celebrazione e che svolge il compito di coordinare l’attività di coloro che si che si mettono al servizio pastorale nel variegato mondo della sofferenza. Un grazie particolare all’Associazione diocesana OFTAL, sempre presente e vicina e che organizza il pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Pellegrinaggio che anche quest’anno faremo, come sempre ai primi di agosto. Vi invito a farlo conoscere e a invitare qualche ammalato e anziano a parteciparvi, insieme ai barellieri e sorelle, ai pellegrini e a numerosi adolescenti e giovani delle nostre parrocchie, per vivere una settimana insieme, ai piedi della Santa Vergine.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
