Messa in Coena Domini – Giovedì santo 5 aprile 2012

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Messa in Coena Domini

Giovedì santo 5 aprile 2012

L’introduzione dell’esortazione apostolica di Papa Benedetto XVI Sacramentum Caritatis ci aiuta a entrare nel modo giusto alla comprensione della celebrazione di questa sera. “Sacramento della carità, la Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l’amore ‘più grande’, quello che spinge a ‘dare la vita per i propri amici’ (Giovanni 15,13). Gesù, infatti, ‘li amò fino alla fine’ (Giovanni 13,1). Con questa espressione l’evangelista introduce il gesto d’infinita umiltà compiuto da Gesù: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi, Egli lava i piedi ai suoi discepoli. Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver preso il cuore degli apostoli di fronte ai gesti e alle parole del Signore durante quella cena! Quale meraviglia deve suscitare anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!”.
Non siamo radunati per una cena qualsiasi, ma siamo qui per entrare in comunione di vita con il Signore Gesù e tra di noi, mangiando di quell’unico pane e bevendo a quell’unico calice che Gesù, nella notte in cui fu tradito, ci donò quale nuova alleanza tra Dio e l’umanità. Anche se la nostra gioia è oscurata e turbata dalla vicende dolorose della passione, la liturgia questa sera ci invita ad avere il cuore in festa: Gesù ci fa dono per sempre della sua presenza nel sacramento dell’Eucaristia e nell’istituzione del Sacerdozio. All’inizio della sua ultima cena, Gesù dice ai suoi discepoli: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Luca 22,15). E’ il suo ultimo giorno di vita e ha un forte desiderio di rimanere un po’ con i suoi discepoli, con le persone più care. Penso che anche questa sera Gesù abbia lo stesso desiderio di restare con noi, perché ci ama così profondamente da donare anche a noi la cosa più cara e preziosa: la sua stessa vita. Lo ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettura, “questo è il mio corpo che è per voi; questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1 Corinzi 11,24-25). Gesù per restarci accanto, per aiutarci nei momenti più oscuri della vita, per liberarci dal peccato, per vivere una vita in pienezza si è donato totalmente a noi, entrando in noi e trasformandoci radicalmente.
Desidero soffermarmi questa sera a contemplazione il gesto della lavanda dei piedi che la liturgia ci propone dopo l’omelia. Questo rito non vuole essere solo una suggestiva commemorazione o una sacra rappresentazione di quello che ha fatto Gesù duemila anni fa, ma un’azione che opera in tutti noi che partecipiamo un’autentica purificazione e conversione del cuore, come è successo agli apostoli. Richiamo alcuni passaggi della narrazione, per meglio vivere poi il grande precetto della carità fraterna. “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Giovanni 13,15). Ecco la grande preoccupazione di Gesù: che i suoi discepoli, e con loro anche tutti noi, comprendiamo il vero significato del pane spezzato per tutti, del donarsi fino in fondo per gli altri. La cornice del racconto è data dal tema dell’ora. “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, … li amò fino alla fine” (13,1). E’ giunta l’ora della più grande prova d’amore e Gesù, nella piena consapevolezza e totale adesione alla volontà del Padre, si dona totalmente all’umanità e lo dimostra chinandosi sui discepoli e compiendo un umile servizio che nella società di quel tempo era assegnato agli schiavi. Gesù lava i piedi a tutti i presenti, probabilmente anche a Giuda, che stava per tradirlo. Gesù lo sa bene, ma si inginocchia davanti a lui e gli lava i piedi. Una scena commovente e anche imbarazzante. Si può ben comprendere la reazione di Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!” (13,8). Pietro ha un concetto molto alto del maestro e non voleva che si umiliasse fino a questo punto. Anzi, e lo aveva detto più volte, voleva che Gesù trionfasse sempre e su tutti. Ma c’è anche un secondo significato del suo rifiuto: rifiutando di essere servito mette le mani avanti come per dire: non lo voglio per me e non chiedetelo di fare a me! Aveva percepito che la strada tracciata dal maestro, prima o poi doveva essere percorsa anche dal discepolo. Questo ci dice la fatica, dei discepoli, ma che di noi, a comprendere fino in fondo il cammino che Gesù chiede ai suoi discepoli. La vera grandezza sta proprio nel mettersi a servizio degli altri, dei più piccoli e poveri. Risultano così più chiare quelle altre parole di Gesù, riportateci dall’evangelista Luca: “Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (22,27). Con la lavanda dei piedi Gesù si offre come modello di servizio, come icona di carità. I discepoli sono invitati ad accogliere questo stile di servizio prima di tutto come dono che il maestro fa; un dono da trasmettere agli altri, assumendo lo stile di vita di Gesù.
Carissimi, questa sera il Signore Gesù offre a ciascuno di noi questo dono. E’ il comandamento nuovo che ci viene proposto non tanto come una bella teoria, ma con un gesto concreto. Gesù lo ha applicato per primo. Beati noi se lo comprendiamo e lo mettiamo in pratica. Siamo invitati pertanto anche noi a vivere come Gesù, a chinarci sulle ferite – siano esse materiali o spirituali – dei nostri fratelli e sorelle e portare loro l’amore e la solidarietà. Lavare i piedi non è un semplice gesto, è uno stile di vita. Ci aiuti il Signore ad assumerlo come programma di vita.

Sia lodato Gesù Cristo!

+ Giuseppe Pellegrini vescovo

Pordenone
05/04/2012
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia