La nostra comunione presbiterale
Messa del Crisma – Giovedì santo 5 aprile 2012
“Siamo una Chiesa viva; vogliamo anche essere una Chiesa unita, fiduciosa e perseverante; possiamo essere una Chiesa capace di novità”. Così termina il nostro piano pastorale Ascoltare per educarci alla corresponsabilità.
E’ con viva riconoscenza al Padre che oggi celebriamo il grande dono che il Signore ha fatto a noi, sacerdoti e diaconi, alla Chiesa e a tutta l’umanità, istituendo il ministero ordinato e chiamandoci ad essere, in Cristo, segni viventi di unità e di comunione tra il mondo e Dio, e per le nostre comunità testimoni di speranza e di novità. E’ da un anno che sono in diocesi e mi sto rendendo sempre più conto della grazia che il Signore mi ha fatto chiamandomi a essere tra voi vescovo, padre e amico. Lo testimoniano i numerosi incontri fraterni che ho avuto nelle foranie, nelle Unità Pastorali e nelle parrocchie. Ho sperimentato la gioia dell’ascolto e dell’incontro. Le vostre testimonianze di pastori appassionati e zelanti, sempre disponibili a tutti quelli che bussano alla porta delle vostre case e del vostro cuore, il desiderio di servizio e di autentica corresponsabilità di tanti laici, mi hanno fatto percepire la bellezza e la ricchezza della nostra chiesa. Non nascondo anche qualche preoccupazione e fatica che ho colto in voi, soprattutto di fronte alle sfide della società odierna, sempre meno attenta ai valori spirituali e alle difficoltà dell’annuncio del vangelo, talvolta accompagnate da una salute precaria o dall’età che avanza.
L’anno scorso, durante la celebrazione del Giovedì Santo, ci siamo soffermati a riflettere e meditare sul nostro ministero sacerdotale, evidenziando l’aspetto dell’essere per grazia e dono Ministri di Dio e riscoprendo che all’inizio del servizio ministeriale e del mandato ricevuto come preti e diaconi c’è Dio stesso, fonte e origine di ogni ministero nella Chiesa. Quest’anno desidero richiamare un altro aspetto, un’altra dimensione fondamentale del ministero ordinato: la nostra fraternità e comunione presbiterale. E’ uno dei punti salienti del discorso di Gesù dopo l’ultima cena (cfr. Giovanni 13-17) e che spesso è risuonato in questi anni nel cammino diocesano e di formazione del clero. Siamo tutti consapevoli che alla base della comunione nella Chiesa, alla base di un nuovo stile di collaborazione tra preti e laici, che chiamiamo corresponsabilità, c’è proprio la comunione, la fraternità e la corresponsabilità tra di noi preti e diaconi. La parola di Dio che ci è stata proclamata insiste, giustamente, sul tema della consacrazione che viene dal Signore. Una consacrazione che porta a essere messaggeri di salvezza per tutti, per tutta l’umanità. Noi siamo, come ci ricorda il profeta Isaia, “stirpe benedetta dal Signore” (61,9). E Gesù, nell’applicare a sé il testo profetico di Isaia, mette in risalto l’universalità di quest’opera di salvezza, attirando l’attenzione sull’evento che lo compie: la sua venuta. Con la sua venuta, infatti, gli ultimi tempi sono già iniziati, e la storia degli uomini vive un tempo di grazia particolare. E noi carissimi, siamo invitati a testimoniare, proprio per mandato esplicito del Signore, dentro la storia del mondo e degli uomini, dentro le contraddizioni che contraddistinguono i nostri giorni particolari, la salvezza e la liberazione che Gesù ha offerto a tutti, attraverso l’annuncio del Vangelo; annuncio che passa attraverso la testimonianza concreta di vita, personale e comunitaria.
Quando Cristo istituì il sacerdozio ministeriale, gli diede una forma comunitaria affidando al gruppo dei Dodici l’ufficio pastorale nella Chiesa, chiamandoli ad assolverlo sotto la guida di Pietro. Saremo capaci di assolvere anche oggi l’opera di salvezza di Cristo, solo agendo in comunione vera con tutto il presbiterio. La P.O. al numero 8 ci ricorda che “Tutti i presbiteri, costituiti nell’Ordine del Presbiterato mediante l’ordinazione, sono intimamente uniti tra di loro con la fraternità sacerdotale”. Non è pertanto una fraternità solo di azione, di attività, ma è una fraternità affettiva, di reale amore fraterno. E’ proprio quest’amore vicendevole che dovrà ispirare la collaborazione tra di noi in una pastorale d’insieme. Non credo di forzare il testo evangelico nel dire che è stata una delle preoccupazioni di Gesù introdurre nella mente e nel cuore dei dodici la dimensione di fraternità e di collaborazione. Prima di essere mandati gli apostoli sono chiamati insieme a costituire una vera comunità (cfr. Giovanni 1,35-39). Ancora oggi Gesù ci manda a due a due (cfr. Marco 6,7) facendosi carico della nostra missione e del nostro cammino, invitandoci a vivere con autentica passione e con rinnovato slancio il mandato apostolico.
All’interno della celebrazione, oggi, come presbiteri realizziamo quanto Gesù ha attribuito a se stesso. L’Eucaristia è la radice del ministero presbiterale, sacramento di unità e comunione, poiché è in essa che noi, diventiamo una sola cosa in Cristo. Anche noi, non solo singolarmente, ma come presbiterio, unti e consacrati con l’unzione dello Spirito, siamo nuovamente mandati a realizzare quella piena unione con Cristo e con la Chiesa, in comunione con il vescovo e con i confratelli, nell’unico presbiterio diocesano. Una comunione nel ministero che deve manifestarsi anche nei fatti. Ecco allora l’importanza di vivere la nostra identità sacerdotale sentendoci un presbiterio, vivendo una reale fraternità sacerdotale che va oltre l’adattamento delle necessità sociali o culturali, perchè fedele all’origine apostolica e all’essenza stessa del sacramento dell’ordine.
La fraternità e comunione presbiterale non si fonda principalmente sui nostri sforzi di collaborazione pastorale e nemmeno su un sincero desiderio di amicizia. Sono aspetti importanti che dobbiamo curare sempre. La comunione e la fraternità, caratteristiche delle prime comunità cristiane (cfr. Atti 1,14; 2,42; 5,12; 15,25; 1 Giovanni 1,3), sono dono di Dio e partecipazione del suo ‘essere insieme’ nella Trinità. Questo dono si radica nel Battesimo e si attua attraverso la grazia tipica del sacramento dell’ordine per l’imposizione delle mani del Vescovo che ci ha resi ‘servitori di comunione’, fino a diventare ‘esperti di comunione’. Parlare allora di comunione tra noi non significa segregarci dagli altri per costruire una casta, un gruppo chiuso, ma accogliere il dono che ci unisce strettamente gli uni agli altri per il servizio di una fraternità universale. Il mondo – e lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre parrocchie – ha bisogno di più amore, di più fraternità e solidarietà, di riconciliazione e di perdono reciproco.
Diventa così più semplice individuare un cammino concreto di vita fraterna e di lavoro pastorale comune. E’ all’interno delle parrocchie e delle Unità Pastorali che devono nascere forme di comunione di vita che alimentino e testimonino l’unità del presbiterio. Molti di noi si trovano a vivere ‘da soli’ in parrocchia. Ma non dovrebbe esserci più nessuno che opera e agisce da solo. In particolare auspico – con gioia costato che molti già lo fanno – che i presbiteri delle Unità Pastorali o Foranie trovino del tempo per vivere insieme come preti, per sperimentare realmente la fraternità sacerdotale attraverso qualche momento di preghiera comune e di programmazione pastorale, un pasto insieme, magari ogni giorno, o almeno una volta la settimana. Sono convinto che da momenti concreti di vita fraterna nascerà anche il desiderio di collaborare insieme con i laici e religiosi quando ci sono, programmando corresponsabilmente la pastorale e mettendo in atto qualche attività comune. Non è facile per nessuno coordinare la propria azione con quella degli altri. Noi sacerdoti dobbiamo essere i primi a proporlo e soprattutto a viverlo. Se noi presbiteri ci amiamo, ci vogliamo bene, ci stimiamo e ci aiutiamo a vicenda, siamo già una testimonianza di vita per la comunità. L’evangelizzazione passa anche dalla nostra testimonianza di vita. E’ pure importante studiare, con prudenza e coraggio, la possibilità di attuare qualche forma di vita comune in senso stretto. Ringrazio quei preti che hanno già avviato forme concrete di comunione e fraternità sul territorio realizzando una vita comune da cui trarre forza e vigore pastorale per il ministero. Non si può imporre la vita comune. Desidero però farvi sapere che favorisco il sorgere di queste esperienze e sono ben contento che qualche presbitero liberamente scelga di vivere insieme con qualche altro, mettendosi poi a servizio di più parrocchie.
Sostenuti dalla grazia e dal desiderio di maggior fraternità, saluto cordialmente e con affetto, il carissimo e venerato vescovo Ovidio per il suo prezioso ministero e per la sua presenza discreta ma altrettanto efficace. Saluto con riconoscenza voi carissimi sacerdoti e diaconi, in particolare i più anziani e quelli che stanno vivendo momenti di fatica e difficoltà. Sappiate che la mia prima cura pastorale è per voi e che l’incontro personale con ciascuno rimane una delle mie priorità più importanti. In particolare un ricordo ai malati che non sono presenti, ai preti impegnati fuori diocesi, a quelli che sono in missione Fidei Donum. Un cordiale benvenuto anche a quei presbiteri studenti provenienti da altre nazioni che trascorreranno nelle nostre parrocchie il Santo Triduo; grazie della vostra presenza e del vostro aiuto. Un saluto alle persone consacrate, ai religiosi e alle religiose, come pure ai seminaristi e a tutti voi, carissimi laici presenti. Permettete un grazie particolare ai presbiteri che in questo primo anno mi hanno accompagnato nel servizio alla diocesi come stretti collaboratori.
Il Signore crocefisso e risorto ci benedica. Egli è la fonte, la misura e il sostegno della nostra comunione.
Sia lodato Gesù Cristo!
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo