Omelia “24 ore per il Signore” – Pordenone 5 marzo 2016

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Omelia “24 ore per il Signore”

Pordenone 5 marzo 2016

 

Ogni anno il cammino quaresimale si apre con l’invito forte a vivere la nostra vita e i nostri impegni, preoccupati non tanto di quello che pensano o dicono gli altri, ma, guardando nel segreto del nostro cuore dove Dio dimora. “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi” (Matteo 6,1). Solo così potremo sperimentare veramente la misericordia di Dio e vivere un cammino di autentica conversione. La preghiera, il digiuno e la carità ci permettono di consolidare il nostro cammino di fede, di vivere con gioia l’incontro con il Signore Gesù e di sentire vicini i nostri fratelli. Commenta san Pietro Crisologo: “Queste tre cose sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la carità la vita del digiuno. Nessuno le divida perché non riescono a stare separate” (LdO II, 209).

All’interno del percorso quaresimale, da alcuni anni papa Francesco ci propone l’iniziativa “24 ore per il Signore”. Un’esperienza di preghiera ininterrotta, dove, nell’ascolto della Parola e nella preghiera di adorazione davanti all’Eucaristia, abbiamo l’opportunità di riscoprire il senso profondo della vita, aiutati anche dalla celebrazione del sacramento della Riconciliazione. E’ importante chiedere ogni giorno al Signore che ci renda disponibili ad accogliere la sua grazia e che ci riscaldi il cuore per accogliere il suo amore. Scrive papa Francesco nell’Evagenlii Gaudium al n. 264: “Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore”.

Il Vangelo della celebrazione di oggi ci aiuta a comprendere ancora meglio il valore e il significato della preghiera che porta a riconoscere l’amore e la misericordia del Padre che ama e perdona senza riserve. La preghiera, fa intendere Gesù, rivela qualcosa che va oltre se stessa, perché riguarda il nostro modo di vivere, la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con il prossimo. Tutti corriamo il rischio, ancora di più noi qui presenti, di non esserlo veramente, di essere anche noi idolatri, di ostentare la fede, senza compiere la volontà di Dio. Forte il rimprovero di Gesù: “essi dicono e non fanno” (Matteo 23,3). Nella parabola Gesù non si sofferma a spiegarci l’importanza della preghiera nella descrizione di tecniche o caratteristiche, ma preferisce presentarci una esperienza concreta all’interno di una relazione d’amore. Educa così ad uno stile di preghiera a partire dalla vita concreta, dal modo in cui uomini e donne si rapportano a Dio, trasformando la loro vita a partire da questa relazione. Attraverso i due atteggiamenti del pubblicano e del fariseo Gesù ci introduce nell’arte della preghiera e nella comprensione del suo significato più vero e decisivo. Da una parte c’è la preghiera del fariseo, corretta dal punto di vista liturgico e formale; ma il suo cuore è da un’altra parte. Infatti, anche se parla a Dio, il suo cuore è rivolto verso se stesso, tutto preoccupato di sé, di quello che ha fatto. Sostituendo il suo “io” a “Dio”, finisce per lodare se stesso. Manca nella preghiera e nella vita di quest’uomo la cosa più importante: la consapevolezza dell’amore e della gratuità di Dio. Gesù rimprovera il comportamento del fariseo non tanto perché ha fatto opere buone, quanto perché non si attende nulla da Dio. Il pubblicano, invece, non è salvaguardato da quello che fa, anzi, i suoi peccati pubblici lo rendono oggetto di disprezzo da tutti, tanto che “fermatosi a distanza non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo” (Luc18,13). Non sapendo come relazionarsi con Dio, compie l’unico gesto di battersi il petto. Proprio la consapevolezza della sua povertà e indegnità gli fa orientare lo sguardo nella direzione giusta: non verso se stesso ma verso Dio. Egli, consapevole di essere peccatore, si sente bisognoso di perdono, sapendo di non poter pretendere nulla da Dio e, non pretendendo nulla, conta su Dio e non su se stesso. “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (18,13). Queste parole fanno emergere la sua fede: sentirsi amato e perdonato da Dio.

Con la preghiera entra in gioco tutta la nostra vita. Descrivendoci due modi di pregare, Gesù ci offre due stili di vita, due modi di vivere. La differenza non è data dal fatto che uno è umile e onesto mentre l’altro è un egoista e orgoglioso. La differenza sta nella capacità di fare spazio nella propria vita alla gratuità e alla misericordia di Dio.  Attraverso la figura del pubblicano Gesù ci esorta a lasciarci accogliere e perdonare da Dio, che con la sua grazia e la sua forza può curare e guarire ogni nostra fragilità, anche attraverso il sacramento della riconciliazione; a fare spazio concretamente a Dio nella nostra vita, trovando ogni giorno del tempo per la preghiera e a non perdere tempo a guardare le mancanze degli altri e a giudicarli. Ci ricorda L’imitazione di Cristo che: “A Dio piace più l’umiltà dopo che abbiamo peccato, che la superbia dopo che abbiamo fatto le opere buone”.

 

                                                                       + Giuseppe Pellegrini

                                                                                vescovo

 

Pordenone
05/03/2016
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia