Omelia festa patrono san Marco
Concattedrale Pordenone, 25 aprile 2019
I racconti evangelici di questa settimana di Pasqua ci narrano le apparizioni di Gesù risorto ai suoi discepoli che, ancora impauriti e timorosi, fanno fatica a riconoscerlo vivo e presente: “Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma” (Luca 24,37). Il vangelo di oggi ci ricorda che per riconoscere Gesù risorto non è sufficiente vederlo, ma è necessario che Lui ci prenda per mano, cammini con noi, come è successo ai due discepoli di Emmaus, e ci aiuti a comprendere le Scritture che parlano di Lui e a capire che egli doveva patire per poi risorgere dai morti. “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno” (v. 46). Il discepolo, di ieri e di oggi, non può riconoscere Gesù risorto e soprattutto quel legame strettissimo che intercorre tra la morte e la resurrezione se non mediante quel ‘sta scritto’, perché è proprio mediante la penetrazione delle scritture che tutta la storia di Gesù, la sua vicenda umana trova senso e compimento. Nell’annuncio della risurrezione fatta dagli angeli alle donne, emerge chiaramente l’unità tra il Crocifisso e il Risorto: è Gesù di Nazareth, morto sulla croce che è risorto e salito al Padre. Ma il Vangelo di oggi ci suggerisce un altro aspetto che è essenziale per capire la risurrezione: la predicazione alle genti, la testimonianza che ogni discepolo è chiamato ad offrire a tutti. Così si conclude la pagina di vangelo: “Di questo voi sarete testimoni” (24,28). Gli undici, infatti, hanno assistito personalmente agli eventi della vita di Gesù e pertanto sono in grado di testimoniarli, credendo personalmente al Signore e annunciandoli con coraggio, pronti anche a dare la vita.
Dall’annuncio del Vangelo è nata la comunità cristiana. È la predicazione e l’annuncio della Parola del Vangelo che ha generato la Chiesa, l’ha fatta nascere e crescere in ogni luogo della terra, portando il Vangelo e la fede nel Signore anche nelle nostre terre. Una antica tradizione vuole che il Vangelo sia stato portato nelle nostre terre dall’evangelista Marco e dai suoi compagni. Da Aquileia, e tra le popolazioni del nostro territorio, il Vangelo ha generato credenti e comunità cristiane, sviluppando un processo di trasmissione della fede dentro il quale siamo inseriti anche noi. Non per niente la nostra città di Pordenone ha scelto come patrono san Marco evangelista, che con il suo Vangelo e la sua testimonianza ci ha fatto conoscere Gesù. Siamo qui insieme oggi, comunità cristiana e società civile, non solo perché da secoli, pur nella distinzione dei ruoli e dei compiti, ci riconosciamo nei grandi valori della tradizione cristiana, ma anche per riappropriarci sempre di più di questi valori e testimoniarli nella vita delle nostre comunità e all’interno della società, chiamati a servire tutti il bene della persona e il ben comune della gente. Penso che non sia fuori posto, in questo giorno di festa della città, chiederci quanto ci lasciamo ancora raggiungere da questi grandi valori e quanto siamo disposti a orientare le scelte operative per il bene della comunità su di essi. Se noi oggi siamo una bella comunità, è grazie alla predicazione del Vangelo che abbiamo ricevuto e che anche ora è importante che lo ascoltiamo, che lo conosciamo, per farlo diventare anima della nostra vita, dei pensieri, delle decisioni personali e delle scelte ecclesiali, sociali e politiche.
Sono stato, e penso che lo siamo stati tutti, contenti nell’apprendere dai giornali che la città di Pordenone è entrata nella ‘top ten’ delle città più vivibili d’Italia, nelle città dove si sta meglio; all’ottavo posto ha scritto il Sole 24 ore del dicembre 2018, mentre Avvenire il 29 marzo 2019 parla del terzo posto nella classifica del ben vivere delle città. Ne siamo più che orgogliosi! Viviamo in una città che, con generosità e responsabilità, ha un territorio ricco di verde, con una speranza più alta di vita, un territorio più sicuro, con un lodevole servizio sanitario. Il Vangelo di oggi ci insegna che se volgiamo vivere in pienezza la nostra fede e anche la vita stesa, è necessario comprendere in profondità l’umanità di Gesù – mostra le sue mani ferite e chiede da mangiare – e l’umanità dei fratelli e sorelle che quotidianamente incontriamo. È un monito ben preciso per la Chiesa e la nostra comunità cristiana e per la società civile e la politica. Nella visita pastorale che sto compiendo, spesso mi sento questo interrogativo: “C’è ancora posto per Gesù nella nostra città e nel nostro territorio? Siamo disposti a incontrarlo, meglio a lasciarci incontrare da Lui? La fede che abbiamo è legata solamente alla tradizione dei nostri avi, oppure è ancora viva, capace di orientare le scelte e di farci accogliere quei grandi valori umani che il Vangelo annuncia?
Come ci ha ricordato papa Francesco nel Convegno della Chiesa italiana a Firenze nel 2015, come comunità cristiana siamo invitati ad un serio esame di coscienza, per verificare se siamo consapevoli della tentazione di fidarci troppo dell’organizzazione e della pianificazione nella pastorale, confidando maggiormente nel ragionamento, senza fare spazio al Signore Gesù risorto e alla forza dello Spirito Santo. Invito pure la società civile e le varie istituzioni a considerare che la nostra città sarà più bella non solo per la bellezza del suo verde e dei suoi fiori, ma ancora di più per l’attenzione alla forme fragili della vita che ha fatta grande nel tempo la nostra Pordenone, portatrice di una spiccata solidarietà che ci invita, anche oggi, ad aprire le nostre braccia all’accoglienza, al dialogo, all’incontro con chi viene da lontano, alla varie forme di povertà presenti nel nostro territorio, che aggrediscono anime e corpi. Penso alle povertà economiche, morali e spirituali di tante persone e tante famiglie; penso alle tante, troppe, dipendenze che ci sono nei giovani e meno giovani, come l’alcool, la droga e il gioco d’azzardo.
Papa Francesco ci invita tutti ad opporci alla cultura dello scarto. IL nostro mondo occidentale è spesso attratto da questa cultura, imbevuto di quell’iniqua egemonia della ragione del profitto a tutti i costi. Desidero, invece, riaffermare il primo diritto, che sta nella dignità della vita, in tutte le sue declinazioni: dal concepimento alla morte; da chi vive disabilità, anche gravi o malattie rare; da chi vive oltre le sbarre. Dignità nella vita delle famiglie che chiedono, rispetto, comprensione, amore e solidarietà; dignità della vita negli ambienti di lavoro; dignità della vita di tante persone anziane e sole; dignità per chi non ha una casa, per chi cerca lavoro. È questo il cammino che ci sta davanti. Il poco amore e il poco ascolto del vangelo, credo siano alla base di una umanità che fa fatica ad accorgersi dell’altro, perché più preoccupata dei propri interessi personali.
Non dobbiamo essere presi dalla paura o dallo sconforto. Gesù è vivo e risorto, la pietra è stata ribaltata e a tutti è chiesto di riconoscerLo e di diventare suoi discepoli. Ci aiuti il santo patrono Marco evangelista, che con coraggio ci ha trasmesso con i suoi scritti l’amore e la vita della prima comunità cristiana.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo