Omelia festa patrono santo Stefano
Cattedrale Concordia, 26 dicembre 2016
Carissimi confratelli sacerdoti, autorità, fratelli e sorelle, celebriamo oggi la festa del patrono della vostra parrocchia e della diocesi, santo Stefano. Abbiamo celebrato ieri il Natale del Signore Gesù, che ci ha portato gioia, serenità e speranza; oggi la liturgia ci invita a celebrare il primo martire della storia cristiana. Sembra un contrasto forte, una rovina del clima natalizio, una scena di violenza in un contesto di armonia e di pace. In verità, già il Prologo di Giovanni che ci è stato proclamato nella messa del giorno di Natale, metteva in risalto il dramma legato all’evento del Natale: “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (1,11). La nascita e la morte racchiudono la vita di ogni persona. Sono, infatti, due elementi essenziali e costitutivi di ogni esperienza umana, che non si possono scegliere e che riceviamo da altri.
Il martirio di santo Stefano ci ricorda con chiarezza che accogliere, seguire Gesù e vivere fino in fondo il suo vangelo, richiede una testimonianza di vita fedele e leale. Il martire è il testimone per eccellenza di chi vuole seguire lo stile di vita di Gesù fino in fondo. Nel libro degli Atti degli Apostoli, la morte di Stefano è descritta con tratti simili a quella di Gesù. Con le medesime parole Gesù si affida al Padre e Stefano si affida a Gesù. “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Luca 23,46); “Signore Gesù, accogli il mio spirito” (Atti 7,59). E prima della morte c’è il grido di perdono tanto di Gesù, quanto per Stefano. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Luca 23,34); “Signore, non imputare loro questo peccato” (Atti 7,60). Stefano muore come è morto Gesù, partecipando così alla sua morte e resurrezione. Stefano fissa il cielo ed esclama: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (Atti 7,56).
Nella morte di Stefano continua a rendersi presente la morte di Gesù. Per questo la Chiesa celebra e festeggia il martirio di Stefano il giorno dopo Natale. In questo modo è già indicata la strada che dovrà percorrere quel bambino; sullo sfondo è già presente la croce, il martiro di Cristo, il dono che Gesù ha fatto della sua vita per la salvezza di tutta l’umanità. La croce di Cristo è il SI di Dio all’uomo, è l’espressione più intensa del suo amore per noi, è la sorgente da cui sgorga la vita nuova, la vita che non finisce, la vita eterna. Non ci può essere amore senza dono di sé, senza sacrifico, senza croce. Ce lo ricorda bene il brano di vangelo, parte del discorso missionario che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Affidando ai dodici la missione di annunciare il Vangelo, Gesù li avverte dicendo che la fedeltà al vangelo comporta rifiuto, difficoltà e persecuzioni: “Vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe” (Matteo 10,17). Ma per Gesù l’importante nella persecuzione non è il lato doloroso della sofferenza, bensì il lato positivo della testimonianza: “Sarete condotti davanti a governanti e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani” (10,18). La persecuzione offre l’occasione di dare testimonianza della Buona Notizia che Dio ci offre. Per questo il Signore assicura la presenza e la forza dello Spirito che sostiene Stefano e tutto coloro che saranno chiamati a testimoniare il Vangelo con il dono della propria vita.
Una promessa esplicita di persecuzione e di morte. Così avverrà di fatto, nella storia della Chiesa, dai primi secoli sino ad oggi. Non ci sono soltanto i “primi” martiri cristiani, ma anche gli “ultimi”, quelli dei nostri giorni. Si muore ancora per la fede. In varie parti del mondo, neppure oggi, è possibile dichiararsi cristiani e professare la fede se non a rischio di esclusioni, di limitazioni e anche di morte. È una violenza spesso frutto di un fanatismo cieco, che non ha nessun rispetto della vita umana e che non ha a che fare con Dio e con la fede. Carissimi, anche per noi è richiesta una testimonianza gioiosa e serena della nostra fede, anche se non è sempre facile vivere con coerenza il Vangelo. Spesso nella nostra vita non c’è posto per Lui. Nella nostra società, lo spazio ed il tempo sono per altre cose o per le ‘nostre’ cose. Per Dio e per i fratelli non rimane nulla. Così rischiamo di rinchiuderci nella nostra solitudine, nel nostro ristretto orizzonte e nel buio del nostro cuore. La testimonianza luminosa di santo Stefano offre l’opportunità anche a noi di non aver paura di rimettere Dio al centro della nostra vita, di annunciare con forza e con coraggio che Dio ci ama e che nel suo Figlio Gesù ci offre la salvezza. In questo giorno particolare siamo chiamati a fissare il nostro sguardo su Gesù, che nel clima gioioso del Natale contempliamo nel mistero della sua Incarnazione.
Lasciamoci attirare da Cristo, come ha fatto il martire Stefano e apriamoci ad accogliere la sua luce, che illumina il nostro cammino e ci conduce a portare Gesù agli altri che ancora non lo conoscono o ne hanno smarrita la via.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo