Festa del Patrono S. Stefano

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Festa del Patrono S. Stefano

Concordia 3 agosto 2011

Carissimi,
mi trovo a celebrare con voi per la prima volta la festa del patrono della nostra diocesi, Santo  Stefano,  nel  giorno  del  rinvenimento  delle  reliquie.  Attorno  all’altare  del  Signore  ci  ritroviamo uniti come chiesa diocesana – vescovo presbiteri e diaconi, religiosi religiose e fedeli laici – per ringraziare il Signore del dono che ci fa di essere e di sentirci parte viva della sua Chiesa, radunata  nell’ascolto  della  Parola  e  nella  celebrazione  dell’Eucaristia  e  protesa  all’annuncio  del  Vangelo nel mondo. Diventa per tutti noi un’occasione per rafforzare la nostra fede e il nostro essere cristiani nel mondo d’oggi, sull’esempio e testimonianza di un grande santo. Possiamo ben dire che santo Stefano è un santo ancora molto attuale ai nostri tempi, che domandano alla Chiesa di essere testimone di fede e di carità. E la Parola di Dio che la liturgia ci ha offerto, ce lo presenta proprio in questa duplice testimonianza.
L’episodio  del  martirio  di  Stefano  narrato  nel  libro  degli  Atti  e  la  pagina  del  vangelo  di  Matteo ci rivelano quanto in lui fosse ben chiara la sorgente, la fonte della sua testimonianza: Stefano – dice il libro degli Atti – “era pieno di Spirito Santo” (7,55) e Matteo sottolinea che nel momento  della  prova  e  del  martirio  “è  lo  Spirito  del  Padre  vostro  che  parla  in  voi”  (10,20).  La  testimonianza del discepolo è la manifestazione, la visibilizzazione della forza interiore che lo Spirito offre al discepolo. E il vertice della testimonianza si raggiunge proprio nel momento della morte. Stefano muore perdonando e chiedendo il perdono per chi lo uccideva; muore amando il suo  persecutore  e  rendendo  amore  a  chi  lo  uccideva.  Come  ha  fatto  Gesù,  suo  maestro  e  suo  modello di vita. Ne è così convinta la comunità cristiana primitiva che ci lascia la memoria della morte di Stefano con una descrizione molto simile alla morte di Gesù, proprio per dirci che Stefano volle imitare Gesù. Si osservi la conclusione della seconda lettura, quando Stefano si consegna a Dio, come Gesù sulla croce si consegnò al Padre; e come Gesù sulla croce anche lui perdona ai suoi persecutori,  tanto  da  dire:  “Signore,  non  imputare  loro  questo  peccato”  (7,90).  L’amore  per  Stefano e per ogni martire è più forte dell’odio, più potente anche della morte. Ed è un amore che porta il discepolo a vivere la persecuzione e la morte come missione, come mezzo e strumento per annunciare il Vangelo a tutti.
Desidero per un istante soffermarmi su questo aspetto che è messo ben in evidenza dalla pericope  evangelica.  Il  racconto  della  missione  dei  12  narrato  da  Matteo,  pur  inserito  in  un  contesto diverso del racconto di Marco (13,9‐13) e di Luca (21,12‐17), ricorda i dolori e le persecuzioni  che  i  discepoli  incontreranno  nell’annuncio  del  vangelo.  I  cristiani  non  li  devono  considerare semplicemente come un segno della condanna di coloro che rifiutano la loro testimonianza, come appare nel testo di Marco, ma come il mezzo per eccellenza con il quale essi, conformandosi  al  Cristo  soffrente,  si  rendono  disponibili  per  un  annunzio  del  Vangelo  a  tutto  il  mondo. Per Matteo infatti, la comparsa dei testimoni di fronte ai tribunali, assume un significato profondamente missionario, in quanto diventa un mezzo per annunciare pubblicamente il Vangelo sia  ai  giudei  che  ai  pagani.  Le  persecuzioni,  pur  restando  la  via  obbligata  alla  sequela  di  Cristo,  vengono comprese come il mezzo di cui si serve lo Spirito per annunciare la salvezza.
La fede che Gesù esige dai suoi discepoli, come ci è ben testimoniata dal nostro patrono santo  Stefano,  non  è  tanto  una  mera  accettazione  della  sua  dottrina,  quanto  l’accoglienza  della  sua persona. Stefano, nel momento più cruciale della sua esistenza, non solo riconosce apertamente Gesù come figlio di Dio, ma condivide fino in fondo la sorte del maestro, attuando in se la vita di Gesù e diventando la figura ideale del discepolo che crede nel Cristo risorto e che sa accetta anche il mistero della sua passione e morte. Spesso Gesù durante il ministero pubblico ha chiesto ai discepoli di seguirlo in questo cammino doloroso, di percorrere insieme con lui la strada che  lo  condurrà  alla  morte.   Questa  è  la  potenza  di  Stefano!  Una  potenza  davvero  invincibile  e  capace di generare nuovi testimoni di Cristo. E sappiamo bene che il martirio di Stefano ha generato il più grande testimone: San Paolo.
Carissimi,  la  testimonianza  del  nostro  santo  patrono,  ha  fatto  nascere  in  me  alcuni  interrogativi che offro a tutti voi: Quanto è radicata la mia fede in Cristo? E’ Lui la fonte, la sorgente della mia sequela e del mio ministero e servizio nella Chiesa e nel mondo? Siamo capaci anche noi, come ha fatto Stefano, di imitare il Signore Gesù fino al dono totale di noi stessi? Come ricorda papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid: “Al di fuori di Cristo morto e risorto, non vi è salvezza! Lui solo può liberare il mondo dal male e far crescere il Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo” (n.3). Gesù, inviato dal Padre  per  attuare  la  liberazione  dal  peccato  e  dal  male  mediante  la  sua  morte  e  risurrezione,  domanda a chi lo segue di partecipare fino in fondo al suo destino, perché questa è l’unica via per giungere  a  una  vera  imitazione.  Solo  con  una  fede  incondizionata  nel  Risorto  che  implica  inevitabilmente una condivisione totale, è possibile accogliere e superare le varie prove della vita. Anche  oggi,  direi  soprattutto  oggi,  non  ci  possono  essere  vita  cristiana,  servizio  ministeriale  e  pastorale senza sofferenze e persecuzioni. Possono essere dolori e fatiche personali, determinati dal carattere o da qualche difetto oppure conseguenze di problemi passati e non risolti. Ma molto spesso sono amarezze e delusioni causate dall’ mancanza di comprensione di chi non accoglie o rifiuta la nostra testimonianza, di chi non ci considera o di chi valuta insignificanti le proposte che presentiamo. Quante attività pastorali a volte vanno deserte!
Come  ci  suggerisce  la  Parola  di  Dio,  non  dobbiamo  scoraggiarci.  Tutto  quello  che  dobbiamo sopportare, non è tanto un mezzo per raggiungere la perfezione o per acquistare dei meriti, ma piuttosto la conseguenza della fede in Cristo e della partecipazione alla sua proposta di vita. In altre parole, noi tutti non abbiamo bisogno di cercarci delle sofferenze. E’ la nostra fede in Lui, è la testimonianza schietta dell’adesione totale della vita al suo progetto che genera una fede disinteressata, mettendo tutti nella condizione di scegliere, di decidersi, non tanto per noi e per quello  che  diciamo,  ma  per  Cristo  stesso.  E  quando  tale  scelta  è  negativa,  genera  il  rifiuto  e  l’opposizione violenta, diventando in definitiva rifiuto di Cristo stesso. A sua volta però è per tutti noi  occasione  per  approfondire  sempre  di  più  la  fede  e  l’adesione  a  Cristo,  radicati  e  fondati  in  Cristo, saldi nella fede (cfr. Col. 2,7).
Sia lodato Gesù Cristo.

+ Giuseppe Pellegrini ‐ Vescovo

Concordia Sagittaria
03/08/2011
30023 Concordia Sagittaria, Veneto Italia