Meditazione ritiro del clero

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Meditazione ritiro del clero

Santuario Madonna del Monte, 6 maggio 2021

Fratelli tutti: senza se e senza ma!

 

  1. Più di una volta in quest’anno e anche negli anni passati, ci siamo soffermati a riflettere e meditare sul significato e sul valore della fraternità, in particolare sulla fraternità presbiterale tra noi preti, consapevoli che non è solo una necessità per svolgere in modo adeguato il nostro ministero, ma un tratto caratteristico e fondamentale della Chiesa, della comunità cristiana e anche della nostra identità di vescovi, presbiteri e diaconi, che deriva dal sacramento dell’Ordine che abbiamo ricevuto. In particolare le riflessioni del vescovo Paolo Bizzeti di marzo, ‘Fratelli tutti. Vale anche per noi preti?’ e del vescovo Erio Castellucci di aprile ‘Vita fraterna e collaborazione pastorale tra noi preti’, ci hanno aiutato a riprendere con più decisone questo cammino, sostenuto dall’ultima enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. La fraternità esprime il centro dinamico del Vangelo, dando il primato all’essere della parola rispetto al dire parole. “Nel fratello – ricorda papa Francesco nell’Evangelii gaudium, 179 – si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40)”.

 

Se è vero che tutti gli uomini e le donne di buona volontà devono sentirsi interpellati dalle parole urgenti di papa Francesco espresse nella Fratelli tutti, il primo esame di coscienza spetta a noi cristiani e comunità cristiana e in particolare a noi consacrati. Siamo chiamati a reagire al degrado dell’umanità e alla situazione drammatica provocata dalla pandemia che ha messo in luce le nostre false sicurezze, con un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale che non si limiti solo alle parole, ma che ci porti a sognare insieme una nuova umanità dove tutti vivono da fratelli. Da soli si rischia di avere dei miraggi per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme! (cfr. Fratelli tutti, 6-8). La fraternità, pertanto, è un sogno da fare insieme.

  1. Non è mia intenzione presentare l’enciclica né soffermarmi su aspetti particolari. Solamente prendere qualche spunto o suggerimento per vivere con ancora più intensità la fraternità tra di noi e con le persone che il Signore ci ha affidato. Viviamo così, questo forte momento di spiritualità e di ascolto della Parola del Signore, per alimentare il cammino di fede e la nostra identità di consacrati. Vi offro un testo conciliare della Presbyterorum Ordinis, che mi sembra utile avere sempre davanti al cuore e che ci può aiutare nella meditazione personale e nel confronto e revisione di vita da farsi con altri confratelli. “Tutti i presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio vescovo. Infatti, anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini. Tutti i presbiteri, cioè, hanno la missione di contribuire a una medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sovra parrocchiale, sia che si dedichino alla ricerca dottrinale o all’insegnamento, sia che esercitino un mestiere manuale, condividendo la condizione operaia – nel caso ciò risulti conveniente e riceva l’approvazione dell’autorità competente -, sia infine che svolgano altre opere d’apostolato od ordinate all’apostolato. È chiaro che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi. Pertanto è oltremodo necessario che tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità. Di conseguenza ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità. … Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della collaborazione nelle forme più diverse, manifestando così quella unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una sola cosa, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre” (n. 8).
  2. La fedeltà al Vangelo e la situazione concreta ci chiedono di cambiare il modo di essere e di vivere la nostra vita sacerdotale, orientandoci con più determinazione a scegliere la comunità e la vita fraterna come una dimensione essenziale del nostro essere vescovi, preti e diaconi nei tempi e nel mondo di oggi. Ce lo ricorda pure papa Francesco nel primo capitolo della Fratelli tutti: Le ombre di un mondo chiuso. Sono tante, infatti, le tendenze negative che si oppongono allo sviluppo della fraternità, sia nella società, che dentro la Chiesa e dentro ciascuno di noi. Non per mettere sempre in luce quello che non va, ma per aiutarci a non aver paura di smascherare il male che è attorno a noi e dentro di noi, e per iniziare con più slancio un vero cammino di conversione e di rigenerazione. Facciamo fatica a prenderci cura della casa comune, chiudendoci in un individualismo esasperato che fa vedere il mondo e gli altri solo dalla nostra prospettiva. Individualismo che ci porta a costruire muri tra di noi, ad isolarci, escludendo chi non la pensa come noi. Anche noi consacrati spesso viviamo da soli, in un individualismo che si adatta benissimo alla nostra condizione e che talvolta giustifichiamo! Un individualismo che porta fare tutto da soli, vivendo con fatica la vita comunitaria, con il rischio che la collaborazione e la corresponsabilità diventino un peso. La pandemia, poi, diviene una cartina di tornasole, un acceleratore che fa risaltare ancora di più la gravità e la paura degli altri e di chi non la pensa come noi, amplificando le negatività e vedendo le persone solo come concorrenti o come avversari. Se desideriamo rinnovare noi stessi, la vita della Chiesa e delle nostre comunità cristiane, è necessario un serio cammino di conversione, con il coraggio di assumere uno stile di vita nuovo: preti che testimoniano la gioia dell’incontro con Cristo; la gioia di essere fratelli, di stare insieme; preti che vivono la fraternità, sull’esempio della prima comunità cristiana, dove i credenti “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (Atti 2,42). Ci deve far riflettere il comportamento di Gesù che fin dall’inizio ha vissuto il suo ministero non da solo, ma formando un gruppo che viveva insieme. Altri tempi, qualcuno potrebbe pensare. Ma solo così potremo chiedere alla nostra gente di vivere di più la comunità, di sentirsi di più fratelli degli altri. Non con le parole ma con la testimonianza della vita.

 

  1. Per il superamento di queste ombre, fatiche e difficoltà, per rimparare la fraternità, papa Francesco, nella Fratelli tutti, al capitolo secondo, ci suggerisce la strada nella figura del Buon Samaritano. Una Parola che ci interpella profondamente, anche perché, non lo possiamo negare, i due che non si sono fermati erano i ‘religiosi’ del tempo!

 

° Luca 10,25-37

25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai». 29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così.

 

Interessante la prospettiva che papa Francesco indica per meditare questa parabola: la vicenda della fraternità mancata della prima coppia di fratelli di cui parla il testo della Genesi, con la domanda di Dio e la risposta irresponsabile di Caino. “Caino elimina suo fratello Abele, e risuona la domanda di Dio: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Genesi 4,9). La risposta è la stessa che spesso diamo noi: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Con la sua domanda, Dio mette in discussione ogni tipo di determinismo o fatalismo che pretenda di giustificare l’indifferenza come unica risposta possibile. Ci abilita, al contrario, a creare una cultura diversa, che ci orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri” (Fratelli tutti, 57). Prima dell’amore del prossimo vi è lo scandalo dell’odio fratricida, dal quale sorge per tutti un grande interrogativo che dobbiamo prendere sul serio. Sono forse io il custode di mio fratello? Nella meditazione, potremo poi dare un volto e un nome, di qualche nostro confratello! La fraternità non è mai scontata e ci è data come un dono, da ricercare e accogliere, anche con fatica e impegno.

 

Ci siamo soffermati tante volte a meditare questa parabola, definita spesso dal papa una delle più belle parabole del Vangelo, motivo per cui è diventata paradigma della vita cristiana. Ci ha accompagnato durante l’Anno santo della Misericordia. Solo alcune considerazioni.

 

° Il testo mette a fuoco i due personaggi che quando videro l’abbandonato mezzo morto a lato della strada passarono oltre (cfr. vv. 31-32). Passarono a distanza, con indifferenza mista a disprezzo. Persone religiose, incaricate del culto e della preghiera, vicine a Dio, ma che non vivono come a Lui piace, diventando così alleati dei briganti. Non conosciamo le motivazioni del loro ‘passare oltre’. Forse non si tratta nemmeno di durezza del cuore, quanto di rimanere fedeli alle norme della legge che imponeva la purezza cultuale, il non sporcarsi le mani con il sangue. Gesù, però, ci fa capire che il culto non deve mai essere a scapito della carità e la purezza che Dio vuole è dal peccato e dall’ingiustizia. Niente può distrarci dal dovere dell’amore e della giustizia.

 

° Ci sono invece altri modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, coniugando nella concretezza la prossimità e la vicinanza. “Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti” (Fratelli tutti, 74). Infatti, come figura positiva da imitare Gesù propone un Samaritano, una persona considerata impura, da evitare. Questi, a differenza degli altri due passanti, si fa prendere dalla compassione e riconosce nel mal capitato il suo prossimo da curare, da soccorrere e da amare. L’amore verso il prossimo richiede uno stile basato sulla generosità e sul disinteresse che porta ad andare verso tutti, nessuno escluso, guidati solamente dalla gratuita apertura verso l’altro. La compassione porta a superare ogni pregiudizio e ad andare oltre gli schemi per accogliere ognuno nel rispetto della propria identità.

 

° Il comportamento del Samaritano diventa la figura chiave per comprendere il significato che Gesù dà alla prossimità. La differenza di comportamento è data dal “ne ebbe compassione” (v. 33). Il vescovo Tonino Bello così interpreta questa parola: si sentì torcere il cuore, si sentì stringere l’anima, si sentì turbare le viscere. Solo quando non si ha nulla da perdere, quando l’altro non è più una minaccia per me, allora si può farlo entrare nella propria vita e nel proprio cuore.

 

° Nella conclusione della parabola, Gesù sposta l’attenzione dalla domanda teorica dello scriba ‘chi è il mio prossimo?’, a una più concreta ‘che cosa significa amare il prossimo?’, fino a chiederci ‘di chi mi sono fatto prossimo?’. Dal prossimo come oggetto da amare al prossimo come soggetto che ama.

 

  1. Gesù sembra dire anche a noi, oggi, di non chiederci tanto chi è il prossimo da amare, quanto se io mi sono fatto prossimo agli altri, abbattendo quelle barriere che mi impediscono di entrare in relazione vera, che mi chiedono di fare il primo passo, senza aspettare che sia l’altro a farlo. Gesù ci invita a un serio cammino di conversione, a purificare il nostro cuore e a compiere qualche segno ‘concreto’ di prossimità e di fratellanza verso che mi è lontano, non tanto fisicamente, ma chi non la pensa come me, o perché ha fatto qualche scelta che non mi convince. Tutti siamo chiamati a diventare prossimo per gli altri. Mi ha colpito una considerazione in merito alla conversione di san Francesco. Quando ha deciso di cambiare vita? Cosa c’è all’origine della sua conversione? Sembra non essere l’incontro con il crocifisso di san Damiano che lo invitava a riparare la sua casa, ma piuttosto l’incontro con la carne sofferente di coloro che erano considerati i reietti e gli esclusi dalla società: i lebbrosi. È facendo misericordia nei loro confronti, donando tutto se stesso, donando a loro il proprio cuore, che Francesco dà inizio al cammino di conversione. “Non è un’esperienza travolgente di Dio il suo primo passo verso l’Altissimo Onnipotente Bon Signore, ma piuttosto un incontro concreto con i più miseri della terra che interrompe l’affannosa ricerca della propria autorealizzazione e gli fa imboccare la via della conversione” (Sartorio Ugo, ‘Fratelli tutti, un sogno da fare insieme, Padova 2020, 94-95). La conversione nasce da un modo nuovo di vedere la realtà, perché, come dice l’apostolo: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Giovanni 4,20).

 

  1. Stimolati dalla Parola e da queste considerazioni, credo sia importante per ciascuno di noi sostare in preghiera davanti al Signore e verificare quanto siamo disposti ad assumere lo stile del Samaritano della parabola, che al di là di pregiudizi e paure, si è fatto prossimo, interessandosi di chi era nel bisogno. Vi invito ad applicare le indicazioni e i suggerimenti dell’enciclica alla vita fraterna tra noi consacrati. Dicevo poc’anzi che la figura del Samaritano è fondamentale per comprendere cosa significa farsi prossimo e considerare gli altri nostri fratelli e sorelle. È sempre stata un’esigenza della prima comunità cristiana e di ogni tentativo di rinnovamento della Chiesa, lungo i secoli. Per far questo è necessario superare le maglie strette delle gerarchie tra di noi, delle precedenze, dei ruoli più o meno importanti e sentirci solo e sempre “fratelli”. Questo lo dico in particolare per noi: per me vescovo e per voi preti e diaconi. Ciò che ci accomuna è il battesimo che ci inserisce dentro il popolo santo di Dio e l’ordine sacro che ci abilita ad un particolare ministero nella Chiesa. Ogni incarico, ogni ruolo e ogni ‘grado’ che abbiamo, dobbiamo esercitarlo come servi e come fratelli. Faccio sempre un po’ di fatica a meditare il testo di Matteo 23, 8-12: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. Non so quando verrà il tempo per mettere in pratica – sine glossa – queste parole di Gesù, tra le più inascoltate e di far pace dentro di noi, eliminando senza paura tutti i ‘titoli’ che di evangelico non hanno niente! … eccellenza, monsignore, prevosto e ritornare al semplice fratello! Si dice che ci aveva tentato Paolo VI e poi anche il Sinodo dei vescovi, ma inutilmente. Sentiamo la forza di quel “voi siete tutti fratelli”. Ci porterà a superare qualche fatica relazionale tra di noi, a parlare anche con chi non la pensa come noi, a non sparlare male dietro le spalle. Dentro ciascuno di noi c’è un cuore che ama e che ci sprona a servire Dio e i fratelli, anche se poi ci possono essere fatiche e fragilità che ce lo impediscono. Facciamo uno sforzo e impegniamoci a vedere non solo i difetti dei confratelli, ma soprattutto il desiderio di fare del bene. Questo invito di Gesù ci garantisce anche dal ‘delirio di onnipotenza’, sentendoci i soli rappresentanti della volontà del Signore. Così come ci aiuta a comprendere che il primo dono che noi siamo chiamati ad offrire alla comunità cristiana non sono una serie di attività e iniziative, ma la testimonianza di una fraternità tra di noi, concretamente vissuta, come dice il Salmo 133: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!

 

  1. 7. Nella Fratelli tutti, papa Francesco ci ricorda una virtù, spesso dimenticata, che può sembrare banale, ma che mi pare importante nel cammino verso una bella e dolce vita fraterna: la gentilezza. Nonostante il clima difficile e individualista, nonostante qualche fatica, “è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità” (Fratelli tutti, 220). Non abbiamo paura… non fa male essere un po’ più gentili. Non è una virtù da coniugare solo al femminile. San Paolo scrivendo ai Galati, tra i doni dello Spirito Santo, nomina la benevolenza, meglio la gentilezza, in greco chrestòtes (5,22), che non è solo una forma di cortesia, di delicatezza o di belle maniere, ma è una scelta, uno stile del vivere che chiede coraggio perché “aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. E’ un modo di trattare gli altri … come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti… con parole di incoraggiamento e non che umiliano” (n. 223). Un po’ di gentilezza anche tra di noi, ci sarà di aiuto per instaurare rapporti più semplici e schietti, per ascoltarci un po’ di più e per regalare un sorriso che stempera i contrasti e genera serenità e accoglienza, rendendo la vita più sopportabile e donando la forza per andare avanti. Buona meditazione!

 

+ Giuseppe Pellegrini,

vescovo

Aviano
06/05/2021
33081 Aviano Costa, Friuli Venezia Giulia Italia