Omelia Apertura anno pastorale – Porcia, 15 settembre 2013

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Omelia Apertura anno pastorale 

Porcia, 15 settembre 2013

 

L’apertura comunitaria dell’anno pastorale è un invito a vivere la nostra vocazione cristiana come un unico grande cammino dietro l’Agnello. Nella pagina del Vangelo di Giovanni che abbiamo poco fa ascoltato (GV 1, 35 – 37) siamo tutti stati invitati a seguire un Agnello. Sembra un paradosso! Quest’immagine, che doveva essere famigliare ai primi cristiani, proprio per il suo uso frequente nelle catechesi e nelle liturgie, a noi può risultare di più difficile comprensione – per lo meno non immediata –: per questo è importante che ora ci sforziamo un poco di capire quale significato ha voluto comunicarci l’Evangelista Giovanni, cogliendone le radici bibliche.

Nel versetto 29, Giovanni il Battista stava battezzando, e vedendo Gesù dice: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. In questo modo mette in relazione l’immagine dell’agnello con quella del servo di Dio sofferente, così com’è presentato negli scritti del profeta Isaia (cap. 52 – 53): il servo viene descritto come un “agnello condotto al macello, che non aprì la sua bocca davanti ai tosatori”, e che prese su di sé il nostro peccato, donandoci la forza di affrontare il peccato stesso.

All’inizio di questo anno pastorale siamo invitati a contemplare l’Agnello. Gesù, in tutto il Nuovo Testamento, è considerato l’Agnello Pasquale che fu immolato nella stessa ora in cui nel tempio venivano sacrificati gli agnelli, a ricordo del sangue sparso nella notte in cui l’antico popolo d’Israele usciva dalla terra d’Egitto in cui era schiavo, mettendosi in cammino verso la libertà. Con queste consapevolezze, desideriamo anche noi partecipare alla liturgia celeste, ed entrare in quell’atteggiamento contemplativo di chi sceglie – proprio attraverso la liturgia stessa – di incontrare la persona di Gesù, comprenderne l’amore per ciascuno, e capire il suo modo di entrare nella storia dell’umanità. Noi non vogliamo scappare dalla quotidianità della vita delle nostre comunità e, in genere, dell’umanità intera. No! Vogliamo però essere capaci di osservarla da una prospettiva più ampia e più completa. Infatti, per poter contemplare in modo totale un dipinto, per coglierne la profondità e l’armonia, è necessario allontanarsi, creare quello spazio di giusta distanza che consente di coglierlo per bene, e di gustarne la bellezza. E questo vale anche per noi! Da una prospettiva alta, attraverso la liturgia del cielo, così com’è raccontata nel libro dell’Apocalisse, e così com’è stata scritta in questa icona, noi possiamo vedere  meglio, con uno sguardo più completo e pulito, le dinamiche di vita della terra. Colui che siamo chiamati a contemplare è l’Agnello sgozzato, quello che ha dato la vita per noi: ma è anche l’Agnello risorto, che non giace morto, ma sta in piedi. Ecco il senso profondo, per tutti noi e per le nostre comunità, che ci viene consegnato dall’Agnello immolato e risorto. Il senso del suo agire sta proprio in questo dono, del quale siamo stati tutti resi partecipi.

Dal brano di Vangelo ci viene anche detto che i discepoli comprendono l’indicazione del loro maestro Giovanni e accolgono l’invito di seguire Gesù. “Seguire”, per i discepoli, significa compiere un primo passo in un personale cammino di fede in Gesù. Da qui viene il senso autentico della sequela: aderire a Gesù, diventare parte dei “suoi”, entrare nel suo gruppo. Ecco perché possiamo comprendere davvero bene perché la liturgia che noi celebriamo – la sequela dell’Agnello – ci può aiutare a crescere e maturare nella fede.

Nella lettera enciclica “Deus charitas est”, Benedetto XVI scriveva: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. (n.1). Papa Francesco, poi, nella “Lumen fidei”, scrive che “la fede cristiana è dunque nell’Amore pieno, nel suo potere efficace, nella sua capacità di trasformare il mondo ed illuminare e di illuminare il tempo”. Abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi (Gv 4, 16).

La fede suppone una relazione personale con Gesù, l’adesione di tutta la nostra persona a lui. “Credere” è l’esperienza dell’essere cercati, essere amati da lui, e lasciarsi trovare. Si, perché Dio ci cerca e ci trova. Non ci possiamo nascondere. E il uogo privilegiato dell’incontro con Gesù è la liturgia. Un incontro che avviene progressivamente è sempre più intenso nella Parola che ascoltiamo, nel dono di noi stessi e della nostra vita durante l’offertorio, fino nel riceverlo vivo e vero dentro di noi nella comunione. E questo è un incontro che ci apre ad essere veri, a divenire noi stessi dono per gli altri. Questo è il vertice dell’incontro, amare: amare di un amore autentico che sa farsi dono, vita per l’altro. La liturgia è il luogo dell’incontro dello sposo con la sua sposa, è evento, fatto in cui si attualizza in modo sacramentale il dono che Gesù ha fatto della sua vita sulla croce per il mondo intero.

Pongo alcune domande, per noi tutti: per me vescovo, per i presbiteri e i diaconi, per i religiosi e le religiose, per tutti i laici seriamente impegnati e autentici collaboratori nelle nostre comunità. Domandiamoci: come viviamo le nostre liturgie? Come le celebriamo? Seguiamo tutti l’Agnello? Siamo davvero alla sua sequela? E’ lui la nostra guida?

Una comunità che celebra bene, è una bella comunità. Come sono le nostre liturgie? Celebriamo un rito, un gesto, o celebriamo la vita? Le nostre liturgie, sono davvero celebrazioni che valorizzano nel modo più vero e bello la ministerialità, secondo quanto è indicato nelle rubriche liturgiche? Siamo capaci di valorizzare le diverse opportunità che i riti offrono?

La liturgia deve essere celebrata in modo alto, perché mentre manifesta la bellezza della fede, aiuta a prendere coscienza del nostro vivere, operando una salutare sconvolgimento interiore. Siamo dunque invitati, infatti, proprio mentre celebriamo, a condividere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, (cfr. Ef 2,3), a riconoscerci come fratelli e sorelle, fortificando la comunione e l’unità, orientati alla condivisione e alla volontà di compiere scelte radicali di vita buona.

Nel rafforzare e nel far crescere la fede durante le celebrazioni, siamo chiamati a scoprire sempre più la bellezza e la possibilità di condividere la nostra fede, non mantenendola in modo egoistico tutta per noi ma facendo esperienze di comunità vera. E qui è visibile l’altro aspetto del nostro cammino di credenti: crescere nella fraternità e nella comunione; qui c’è il senso e il significato del cammino di quest’anno: la corresponsabilità. Non ci può essere una comunità cristiana se non c’è la tensione di vivere in pienezza la ministerialità, di vivere la vocazione battesimale presente in tutti, secondo quando scrive l’Apostolo Pietro: “anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo” (1 Pt 2, 5.9). Tutti siamo tutti chiamati a celebrare. La liturgia non è uno spettacolo dove ci sono gli attori e poi il pubblico che assiste. Tutti siamo parte viva. Certo: ognuno con un suo compito specifico, con un ruolo ben preciso. C’è il presidente, di norma il presbiterio che presiede una liturgia; ma ci sono poi altre figure, altri ministeri: penso ai lettori, ai ministranti, ai ministri straordinari dell’Eucaristia, ai cantori e alle corali…a tutti coloro che sono chiamati a preparare il luogo della celebrazione e custodirlo. Davvero possiamo dire che si tratta di una sinfonia di voci, immagine viva di una comunità. Ecco perché la comunità cresce mentre celebra.

Domandiamo ora con consapevolezza: come reagire a quel clima di stanchezza che spesso avvolge e copre le nostre liturgie? La soluzione non si trova nella ricerca ingenua della spettacolarizzazione, o trasformando la celebrazione liturgica in un fenomeno di attrazione, di coinvolgimento e di esaltazione. La liturgia non ha come fine quello di stimolare a vivere emozioni, sensazioni forti ed intense: il suo fine ultimo è favorire l’incontro con Gesù, che è presente nella sua Parole e nei segni sacramentali. Sono segni molto sobri e semplici, perché la liturgia deve aiutare a conoscere il mistero, ciò che progressivamente si rivela, si svela e si manifesta a noi come fruttuosa partecipazione dove tutti siamo coinvolti per vivere questo incontro.

Permettetemi, qui, un suggerimento: se vogliamo che le nostre liturgie siano esperienze di fede davvero belle, è necessario che ci sia per tutti una sempre più profonda preparazione. Per vivere la celebrazione con la giusta consapevolezza, e per aiutare altri a viverla con serietà e partecipazione, la comunità deve sentirsi coinvolta per capirla e prepararla. Educhiamo – in ogni parrocchia – persone che possano formarsi e costituire un gruppo liturgico, che possa occuparsi di curare le celebrazioni aiutando così la comunità intera a viverle.  Per far questo, la formazione è necessaria. E qui richiamo una realtà che ritengo davvero utile per investire nella educazione delle nostre comunità: la responsabilità di qualche laico nella vita delle comunità cristiane. Lo dico con forza: in ogni comunità cristiana, in ogni parrocchia, è sempre più necessaria la figura di laici, di famiglie, che insieme con il parroco si prendano cura della vita e  della crescita della comunità cristiana e di quanto è necessario alla trasmissione della fede. Solo con questa prospettiva sarà possibile dare vita a comunità di credenti vive, che sappiano valorizzare la presenza di ciascuno, e che sappiano progettare una pastorale d’insieme ed integrata. In merito a ciò, desidero richiamare l’esperienza del “Biennio di formazione per collaboratori pastorali”. E’ una proposta seria di crescita per laici che desiderano operare attivamente nel servizio alle proprie comunità. Proposta seria…perchè possibile. L’impegno richiesto è infatti di investire una sera alla settimana. Ci chiediamo: perché in questi anni il biennio non è decollato? Quanto ci crediamo, tutti? Ma cosa significa “crederci”? Significa prima di tutto saper valorizzare con responsabilità e serietà coloro che, dopo aver creduto di impegnarsi in un tempo formativo, offrono di mettersi con passione al servizio della comunità cristiana.

Terminando, desidero invitare tutti e ciascuno alla preghiera, perché la nostra Comunità Diocesana sia sempre più sensibile e attenta a custodire a trasmettere la fede attraverso ogni celebrazione liturgica. L’icona che a breve riceveremo sia in ogni chiesa della nostra Diocesi il segno che esprime questo desiderio comune, di poter essere un’assemblea che vive un grande pellegrinaggio terreno, che desidera ardentemente poter celebrare nel cielo l’ “amen” a gloria di Dio!

 

Sia lodato Gesù Cristo.

 

+ Giuseppe Pellegrini

              Vescovo

Porcia
15/09/2013
33080 Porcia, Friuli Venezia Giulia Italia