Omelia Festa del patrono san Marco – Pordenone, 25 aprile 2015

condividi su

Omelia Festa del patrono San Marco 

Pordenone, 25 aprile 2015

 

Signor Sindaco, gentili Autorità, carissimi Confratelli, Fratelli e Sorelle nel Signore, a raccoglierci oggi nella nostra concattedrale è la festa di San Marco, patrono della città. Oggi la Città e la comunità cristiana di Pordenone s’incontrano, non solo nelle loro più alte espressioni istituzionali della comunità cristiana e civile, ma testimoniano anche una profonda unità, nel rispetto delle rispettive competenze. La Chiesa sa che solo rendendo testimonianza al Risorto nella partecipazione alla vita quotidiana e alle vicende della città in cui è radicata come dono di salvezza, realizza le ragioni del suo esserci. Nello stesso tempo la Città è consapevole, per la sua stessa esperienza storica, che da una Chiesa che vive il Vangelo può ricevere grande aiuto a realizzare in pienezza quei valori che la fanno essere vera ‘città a misura d’uomo’, fermento di fratellanza e di solidarietà e ponte di relazioni pacifiche e unificanti con tutti quelli che vi abitano. Non dimentichiamo che mentre oggi festeggiamo il Patrono, l’Italia intera celebra i 70 anni della liberazione e i grandi valori che sono alla base della nostra costituzione. La festa di San Marco non ci distoglie dai sentimenti che oggi uniscono gli italiani, ma ci impegna ulteriormente a viverli e a trasmetterli alle giovani generazioni.

L’invito di Gesù risorto ha una portata universale e carica di speranza: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15), senza nessuna barriera e discriminazione di cultura, di razza e di identità. E’ la parola del Vangelo, anzi il vangelo stesso che è capace di toccare e cambiare il cuore di chi lo ascolta, diventando così fermento di cambiamento per tutta l’umanità, messaggio di speranza e di liberazione per tutti. In tal modo il Risorto insegna che l’annunzio della Pasqua non può rimanere solo un fatto intellettuale o esclusivamente interiore, ma deve diventare storia concreta: una storia ‘nuova’, salvata dalla Pasqua. Per questo Gesù parla di ‘segni’ che accompagneranno coloro che credono e che fanno di ciascuno di noi un segno di speranza, di amore e di pace per ogni creatura (cfr. Marco 16,17-18). Già nel discorso dell’Ultima Cena Gesù aveva detto: “chi crede in me compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi” (Giovanni 14,12); questo ci svela che il mistero di Gesù non si chiude con la sua ascensione al cielo, ma va a compimento nella sua Chiesa, cioè in noi e per mezzo nostro, che siamo il suo corpo, il suo sacramento e la sua memoria viva.

Viene così spontaneo farci qualche domanda, proprio in questo giorno di festa per la nostra città: come Gesù risorto agisce in noi?,  quali sono i prodigi che ci accompagnano e che confermano la Parola, come ci ha riferito il brano del vangelo? Come rendiamo testimonianza del messaggio di Gesù, così come ha fatto il nostro patrono san Marco? Certo le modalità concrete con cui noi dobbiamo vivere il Vangelo non sono più quelle dei tempi di Gesù: il mondo è cambiato. Sappiamo che Marco fu coinvolto nel laborioso passaggio dell’annuncio del vangelo dalla cultura semitica, in cui esso era nato, a quella ellenistica: un passaggio decisivo per la diffusione del Vangelo e per il suo influsso sulla vita dei credenti. Questo ci riporta alla sfida rivolta anche alla nostra generazione, protagonista di un radicale passaggio culturale. La comunicazione della fede esige uno sforzo di traduzione del Vangelo nel linguaggio e nei compiti propri di un cristiano nel mondo di oggi. Non ho paura di affermare, carissimi tutti, che anche la gente del nostro territorio e della nostra città è alla ricerca di una nuova identità, di una nuova umanità, di una nuova anima, fondata su un umanesimo che si alimenta di relazioni vere fra le persone, capace di sconfiggere quell’eccessivo individualismo che spesso sfocia in un narcisismo incapace di accorgersi e di vedere le necessità e i bisogni degli altri, spesso anche di quelli che ci sono vicini e abitano con noi. Non abbiamo ancora oltrepassato il guado della crisi sociale ed economica, che sta generando insoddisfazione, incapacità di dare un senso alla vita e perdita dei valori più belli e più cari, quali la centralità e l’affetto della famiglia, la dignità di ogni persona umana, la gioia di donarsi gratuitamente, la solidarietà con chi soffre e sta peggio di noi, la capacità di progettare il futuro e la serenità di sentire l’amore di Dio che riscalda il cuore e guida il nostro cammino.

Cosa fare, ci chiedevamo prima? La risposta è chiara: rimettere l’uomo al centro e dare dignità vera alla persona umana. San Marco, nel suo vangelo, ci riporta uno dei gesti più significativi di Gesù, capace, ieri come oggi, di farci diventare uno con Cristo, uomini e donne radicalmente nuovi: l’Eucaristia. “E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Prendete, questo è il mio corpo’” (Marco 14,22). Siamo invitati tutti, a metterci a tavola con Dio e con l’umanità intera, a non aver paura di condividere con gli altri, partendo dalle cose più semplici, come il pane quotidiano, cibo necessario per la sussistenza. Si apre, fra qualche giorno, l’EXPO 2015, con le sue quattro parole chiave: alimentazione, energia, pianeta e vita. Tutte tematiche che chiamano in causa una quinta parole: l’uomo! Così si è espresso il card. Scola: “Nutrire il pianeta e nutrire la vita per un’alimentazione che sia integrale, fatta di corpo e di anima; un nuovo umanesimo che rimetta al centro l’uomo che non è fatto di solo cibo ma, nella sua integrità, di relazione, di benessere personale e di rapporto con Dio”. Ed è scandaloso, direi un fatto che grida vendetta al cospetto di Dio, che ancora oggi 805 milioni di persone, tra cui moltissimi bambini, non hanno il cibo per vivere. E’ un problema che può e deve essere risolto, cercando senza paura di individuare le cause sociali e politiche che stanno alla base di questo problema. Per non parlare poi degli sprechi del nostro mondo occidentale. Ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate e circa 2,8 milioni di persone muoiono per malattie legate a obesità o sovrappeso. Perciò sono necessarie scelte politiche consapevoli, stili di vita sostenibili e condivisione delle risorse. Sono di sostegno i gesti e le parole di papa Francesco, nell’aiutarci ad abbracciare la povertà di ogni uomo e donna e di ogni popolo e a trovare qualche gesto concreto per sorreggere chi soffre. ‘Prese il pane e lo spezzò’, leggiamo nel vangelo di Marco. Attorno al pane condiviso e alla cena Eucaristica, il cristianesimo ha costruito la propria identità. Ognuno di noi è chiamato a spezzare il pane, a condividere ciò di cui dispone, fosse anche poca cosa di fronte ai bisogni reali e metterlo nella mani di Cristo che è in grado di saziare tutti. Con lo stile della fraternità e della vicinanza.

Oggi, festa della città, mi sento di fare un appello a tutti, credenti e non credenti, ad aprirci all’accoglienza di chi soffre, sia di coloro che conosciamo e che ci sono vicini, sia anche chi proviene da altre terre e da altre culture. Non chiudiamoci all’amore.  Abituiamoci a non sprecare il cibo e le risorse, educhiamo i nostri figli a una vita più sobria, senza sprechi.  Sono piccole cose, capaci però di trasformare il mondo.  Non partiamo da zero. Il nostro territorio è ricco di sensibilità e di generosità. Molte nostre comunità parrocchiali, altre comunità cristiane e perfino gruppi di altre religioni sono aperti e sensibili alla solidarietà e alla condivisione. Quotidianamente viene raccolto del cibo che si  avanza per donarlo a chi ha bisogno.   Un’autentica e vera fede in Dio, apre i cuori e genera solidarietà e amore.

 

 

                                                                                   + Giuseppe Pellegrini

                                                                                               vescovo

Pordenone
25/04/2015
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia