Omelia Ordinazioni diaconali – Ascensione del Signore
Pordenone 17 maggio 2015
Gesù, ritornando alla più intima e unica comunione con il Padre, se ne va, ma solo dal nostro sguardo, perché rimane per sempre presente nel profondo del nostro cuore e nella vita delle persone e della comunità cristiana. Finisce il tempo della presenza fisica di Gesù e si apre l’ultima e definitiva tappa della storia della salvezza, fino alla sua ultima e definitiva venuta, come hanno ricordato ai discepoli che guardavano il cielo, i due uomini in bianche vesti: “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (Atti 1,11). Il testo del vangelo di Marco è molto sobrio: non dice dove Gesù appare e sale al cielo, né quando. L’attenzione è assorbita dalla missione che viene affidata agli undici apostoli e attraverso di loro ai discepoli di ogni tempo e di ogni luogo, che hanno il compito di andare e predicare a tutti il Vangelo della salvezza e della speranza. Con l’Ascensione Gesù Cristo torna al Padre per lasciare spazio all’azione dei discepoli cui è affidata la missione di continuare quanto lui aveva iniziato. Ecco perché siamo invitati a lasciarci effettivamente coinvolgere dalla salvezza che Gesù ci ha donato e a non perderci a guardare il cielo, a sognare ad occhi aperti per cercare fuori dalla storia e dall’umanità la presenza viva del Risorto.
L’Ascensione del Signore diventa allora la celebrazione di due partenze: quella di Gesù verso la casa del Padre e quella degli apostoli e dei discepoli verso gli angoli della terra, per annunciare il messaggio capace di scardinare, ieri come oggi, il mondo intero: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15). Che messaggio stravolgente! Siamo invitati ad abbattere ogni barriera, a superare qualsiasi ostacolo, qualsiasi muro e a costruire ponti, ad allargare le nostre braccia e il nostro cuore per portare a tutti e in ogni angolo della terra, la bella notizia, quella Parola semplice e attuale, capace di offrire felicità, gioia e vita piena. La festa di oggi ci aiuta a tenere sempre insieme queste due dimensioni, fondamentali anche per il nostro vivere: il cielo e la terra. Non siamo stati creati per questa terra, ma per il cielo, per il Paradiso. Questa è la nostra mèta. Spesso purtroppo viviamo come se dovessimo rimanere quaggiù per sempre, per tutta l’eternità; così molti non si aspettano più nulla perché hanno smarrito il senso del loro vivere e del loro agire. Sappiamo che il mondo non potrà mai appagare il nostro cuore e il desiderio di amore e di pienezza che ci portiamo dentro. Dunque occhi e cuore al cielo, ma per trasformare, amare e servire la terra e l’umanità. Sguardo al cielo per offrire prospettive nuove all’umanità che fatica a vivere e che sente necessario l’annuncio di liberazione e di amore del vangelo.
Carissimi tutti, e in particolare voi, ordinandi diaconi Jonathan e Luca. Il Vangelo parla di “segni che accompagneranno quelli che credono” (Marco 16,17). Sono i segni della presenza viva di Gesù che è il principio di fraternità, di comunione e di amore per quelli che lo accolgono. Voi siete, per la Chiesa e per il mondo, il segno della sua presenza viva che ancora oggi ci raggiunge. Il Signore Gesù non ha altri segni che noi; non si manifesta che attraverso di noi, tanto che tutta la gloria che ha ricevuto dal Padre è ormai nelle nostre mani, sulle nostre labbra. Gesù risorto, per la potenza dello Spirito Santo, è dentro di noi e, solo attraverso di noi, potrà essere comunicato a tutta l’umanità. Desidero, in questa ordinazione diaconale, ricordare due segni, che ritengo significativi e ancora necessari per i nostri tempi. Oggi Jonathan e Luca si consacrano totalmente e per sempre al servizio del Signore e della Chiesa. Rinunciano – e questo è il primo segno – ad una loro realizzazione personale, ad una professione che poteva offrire benessere e prestigio, soldi e soddisfazioni. Fanno proprio il progetto di Dio che li chiama, attraverso il celibato, a rinunciare a formarsi una famiglia con il matrimonio, non perché incapaci di amare, ma per amare tutti, con un amore gratuito e totale, senza riserve e simpatie. Siamo consapevoli della fatica di una tale scelta! Ecco perché mi sta particolarmente a cuore il tema delle vocazioni e della pastorale vocazionale, per il cammino della nostra Chiesa, per il futuro della nostra Chiesa, per la santità della nostra Chiesa. Sono preoccupato per il fatto che l’attuale contesto sociale, culturale e morale, dove prevale una mentalità consumistica e secolarizzata, non favorisca la nascita e lo sviluppo di vocazioni consacrate e sacerdotali.
Il secondo segno è legato al ministero specifico del diacono: servire e non servirsi degli altri. Carissimi Jonathan e Luca, siete ordinati diaconi per servire il Signore e i fratelli, a partire dai deboli e dai poveri, fin dalla comunità primitiva di Gerusalemme. Il Vangelo che annuncerete vi sia di guida e vi doni uno spirito di comunione e di servizio. L’altare dove servirete nella celebrazione eucaristica vi ricordi che il centro della vostra vita è solo il Signore che si è donato totalmente all’umanità. Imparerete così la via di un amore senza misure e senza calcoli, per essere strumenti di comunione e di unità in mezzo alle divisioni del mondo. Ponetevi in atteggiamento umile e gioioso verso tutti i fratelli e le sorelle che la provvidenza vi farà incontrare, indossando sempre il grembiule che ha cinto i fianchi di Cristo nel lavare i piedi ai suoi discepoli, versando l’acqua dell’amore e del perdono. Non toglietevi mai il grembiule del servizio, qualsiasi siano gli incarichi che la Chiesa vi affiderà, perché sarà il segno che il vostro cuore si è inaridito e il vostro amore si è trasformato in egoismo, passando da servitori a padroni. Come ci diceva madre Teresa di Calcutta: “Se noi preghiamo, crederemo. Se noi crediamo, ameremo, se noi amiamo, serviremo”.
Ringraziamo il Signore per il dono che anche quest’anno fa alla nostra Chiesa e alla Chiesa universale di due nuovi diaconi. Jonathan e Luca sono qui perché chiamati e inviati dal Signore; sono qui perché, in piena libertà, hanno risposto ‘eccomi’; sono qui sostenuti dalle preghiere e dall’amore di tanti persone che hanno camminato, in questi anni, insieme con loro: i genitori e familiari, i sacerdoti con le comunità parrocchiali di provenienza e di ministero, gli educatori e i loro compagni di seminario e molte altre persone che sono state loro vicine. Nel consegnarvi il libro dei vangeli, vi dirò: “Vivi ciò che insegni”. E’ l’augurio più caro che vi faccio per il vostro ministero.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo