Omelia festa del Patrono Santo Stefano
Concordia 3 agosto 2013
Letture: Atti 6,8-12;7,54-60; Matteo 10,17-22
“Signore, non imputar loro questo peccato” (Atti 7,60). Non è il grido di un fanatico, di un fallito o di uno che non sapeva cosa fare della sua vita, ma di uno che ama e perdona; è il grido di Stefano che, sull’esempio di Gesù, si appella all’amore misericordioso del Padre che tutto ama e tutto perdona. Gesù, infatti, nel discorso missionario che ci ha riportato l’evangelista Matteo, affidando ai discepoli la missione di annuncio del Vangelo, li avverte che sarà un compito non facile, perché la missione passa inevitabilmente attraverso la persecuzione. Gesù non ha mai illuso nessuno dicendo con chiarezza: “sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Matteo 10,22). Una promessa esplicita di persecuzione e di morte che Stefano sperimenta subito dopo il suo maestro, realizzandone la profezia. Santo Stefano guida così il lungo, lunghissimo corteo di tutti coloro che, come dice il libro dell’Apocalisse “vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (7,14); coloro che, in ogni epoca e in ogni angolo della terra, anche ai nostri giorni, hanno testimoniato e testimoniano la loro fede nel Cristo risorto fino al dono della vita.
Carissimi tutti, sono lieto di celebrare con voi, in particolare con i sacerdoti e diaconi la festa del patrono della nostra diocesi nel giorno del rinvenimento delle sue reliquie. E’ anche la festa della comunità parrocchiale di Concordia, che salutiamo con affetto, qui rappresentata dai sacerdoti, dalle autorità civili e da molti fedeli. Permettete carissimi, che oggi in modo particolare, come da antica tradizione, mi rivolga soprattutto ai confratelli presbiteri, qui accorsi da tante comunità parrocchiali della diocesi. Molti sono presenti spiritualmente, o perché le forze non glielo permettono, o perché impegnati in attività estive. Porto ancora viva in me l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile e la celebrazione Eucaristica che il sabato mattina, nella cattedrale di Rio noi vescovi sacerdoti e religiosi abbiamo concelebrato con il santo Padre Francesco. Ripeto anche a voi il caloroso invito del papa a “Non risparmiare le nostre forze nella formazione dei giovani! … Così ha fatto Gesù con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, nella nostra istituzione parrocchiale o nella nostra istituzione diocesana, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Uscire inviati. Non è semplicemente aprire la porta perché vengano, per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Spingiamo i giovani affinché escano. Certo che faranno stupidaggini. Non abbiamo paura! Gli Apostoli le hanno fatte prima di noi. Spingiamoli ad uscire. Pensiamo con decisione alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia”.
Pur con altre parole, papa Francesco ha fatto sua la preoccupazione di Gesù, invitandoci a non avere paura di spenderci totalmente per l’annuncio del Vangelo, a non tenere niente per noi, a non avere nessuna preoccupazione, nemmeno di fronte alla persecuzione e alla morte. Sappiamo però che non è facile. Anche noi, come i discepoli, siamo talvolta attanagliati dal dubbio e dalla paura. Viviamo in un tempo nel quale, anche se non in modo cruento, la fede sembra non ottenere tanti consensi ed essere destinata a una progressiva insignificanza. Gesù ce lo ha predetto, ma questo non toglie la paura! Paura di non contare più, di non essere capiti, di essere sempre più un ‘piccolo gregge’. Ed è una persecuzione molto forte e dolorosa. Vale la pena che, nell’anno della fede, affrontiamo questo aspetto: paura e fede! Il tema della paura è presente nei vangeli dall’inizio alla fine, perché la paura è la controfigura della fede, è il passaggio ineludibile che porta alla piena fiducia e abbandono. Spesso i discepoli, come ci racconta il vangelo di Marco, quando sono in barca con Gesù o quando lo seguono sulla strada hanno paura, e spesso si chiedono: “Chi è dunque costui?” (Marco 4,41) e “Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti” (Marco 10,42). La croce fa paura, perdere la vita fa paura, rinnegare se stessi fa paura. Credo che non sia diverso per noi. Gesù stesso, come ci dicono i vangeli, ha paura di fronte alla morte, ha paura di sottrarsi a quell’ora, ha paura dell’abbandono, di essere solo. Ma come vive la paura Gesù? Nella preghiera. Gesù è rimasto unito al Padre, con la fede e la fiducia incondizionata nell’amore del Padre. Anche per Gesù la morte è diventata l’ultimo ed estremo atto di fede, la consegna totale nella mani del Padre.
Anche per noi, come per le donne del vangelo, il cammino della fede termina davanti al sepolcro vuoto: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”. (Marco 16,8). La testimonianza del nostro patrono santo Stefano ci sia di aiuto per essere testimoni gioiosi della fede nel risorto che illumina e sostiene anche oggi il nostro cammino di evangelizzatori per un futuro di speranza.
Sia lodato Gesù Cristo!
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo