Festa di san Marco Ev.

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Festa di san Marco Ev

Omelia

Concattedrale Pordenone, 25 Aprile 2022

Festa di san Marco Ev.

La festa di san Marco, patrono della nostra città, idealmente ci riporta agli inizi della predicazione del Vangelo e della vita delle comunità cristiane nelle nostre terre. Marco, come ci ha ricordato san Pietro nella prima lettura, era un suo collaborator: “Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio” (1Pietro 5,13). Anche se Marco non ha fatto parte del gruppo dei Dodici, è stato un discepolo della prima ora, testimone fedele della predicazione di san Pietro. Ha avuto un ruolo molto importante proprio perché fu il primo evangelista, iniziatore, sotto la forza e la potenza dello Spirito, della forma del racconto evangelico, ripresa poi fagli altri tre evangelisti. È nato così il Vangelo, entro e cuore di tutte le Scritture.

Il Vangelo di Marco, così come gli altri vangeli, è una grande catechesi, una testimonianza, un annuncio che ci aiuta a intraprendere un serio cammino di fede, di sequela di Gesù, di approfondimento e di conversione, a partire da quell’interrogativo che è centrale in ogni vangelo, e ancora di più nel Vangelo di Marco, e che deve diventare uno stimolo anche per ciascuno di noi: “Ma voi chi dite che io sia?” (8,28). Questo interrogativo ci aiuta a considerare e a comprendere cos’è il Vangelo per un cristiano. Non è solamente una narrazione della vita di Gesù, di quello che ha detto e fatto, né una serie di norme di comportamento da rispettare, ma l’annuncio e la testimonianza della fede delle prime comunità credenti che hanno visto in Gesù la realizzazione e il compimento del progetto d’amore del Padre. Stile di vita che provoca anche per noi un’adesione e domande che richiedono una professione di fede, come ha fatto il Centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (15,39).

Il testo del Vangelo che la liturgia ci ha proposto, è la conclusione del Vangelo di Marco: Gesù appare ai discepoli invitandoli a “proclamare il Vangelo ad ogni creatura” (16,15). La fede che Gesù chiede, non ci fa chiudere in noi stessi, non ci invita a metterci in disparte o a pensare solo al nostro bene, ma ad andare, a uscire e a immergerci nella quotidianità della vita delle persone. La vera per Gesù, è la fede missionaria. Uscire da noi stessi, uscire dai nostri gruppi e uscire dalle nostre chiese per portare a tutti il Vangelo di Gesù, la buona notizia della salvezza e dell’amore. Credere in Gesù, non significa essere preservati dai pericoli o dalle sofferenze; sulla nostra strada, com’è successo ai primi discepoli, troveremo ancora “serpenti velenosi” (16,18). Ma Gesù ci ricorda che non siamo soli; lui è sempre con noi e non ci abbandonerà mai. La forza e la potenza dello Spirito santo, che è lo Spirito del Risorto, ci offrirà nuove opportunità per incontrare le persone e portare la Parola di Gesù. Pensiamo alla ‘fantasia della carità’ che, ieri come oggi, aiuta i cristiani e le comunità ad essere presenti nel mondo e vicini a tutte quelle situazioni di dolore, di morte e di sofferenza. La tragedia della guerra che stiamo vivendo, oltra al dolore e la paura, ha provocato in molti solidarietà, accoglienza e prossimità con chi soffre. Nel capitolo 16 di Marco, ai versetti 11,13 e14 emerge ancora l’incredulità dei discepoli e nel v. 16 anche la possibile incredulità nostra: “Chi non crederà sarà condannato”.

La festa patronale di quest’oggi, ci aiuta ad approfondire un altro aspetto centrale nella vita delle prime comunità cristiane e importante anche per noi: il rapporto tra il Vangelo, la comunità e la Chiesa. Emerge chiaramente che il Vangelo spinge la Chiesa a non chiudersi in se stessa, ad essere una Chiesa, come ama dire papa Francesco, in uscita. Infatti i discepoli accolgono subito l’invito di Gesù, grazia alle persecuzioni e sofferenze subite, e partono disperdendosi ovunque e annunciando il Vangelo e la salvezza. Scrive papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: la Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che fanno il primo passo senza paura, che vanno incontro agli altri, che cercano i lontani e gli esclusi (cfr. n. 24). Tutto, però, ha inizio con la predicazione del Vangelo. È dall’annuncio del Vangelo che nasce la comunità. La Parola genera la fede e la Chiesa, facendole nascere e crescere. Anche la nostra Chiesa diocesana è nata dalla predicazione del Vangelo da san Marco che l’ha portato nelle nostre terre. Noi siamo figli di Aquileia, eredi di un processo di trasmissione della fede che giunge fino ad oggi. Ma ai nostri giorni, nella società e nella cultura attuale, non basta più essere eredi della storia e della tradizione. È necessario inserirci all’interno di esse, riconoscendo che quello che ci hanno trasmesso non è più sufficiente oggi per generale la fede nelle persone. Ripetere abitudinariamente, quasi passivamente quello che ci è stato trasmesso, non incide più nella vita. Dobbiamo mettere in atto dei processi per generare la fede nelle persone, in particolare nelle nuove generazioni. Non è più sufficiente ascoltare, dobbiamo noi metterci alla ricerca e riscoprire questo annuncio, interiorizzarlo per riappropriarcene e per ritornare al Vangelo, che ha bisogno di essere annunciato da testimoni credibili. Dobbiamo cercare personalmente e comunitariamente il Signore, conoscerlo meglio entrando in relazione profonda con lui, farlo diventare anima della nostra vita e luce nelle scelte e decisioni da prendere. Sia a livello personale che ecclesiale. Questo è il cammino sinodale che la Chiesa universale, italiana e anche diocesana, stanno vivendo. E anche noi, ci sentiamo rimessi in cammino dal risorto, per annunciare il Vangelo in questo nostro tempo non facile, ma ricco di opportunità.

La festa di san Marco si celebra il 25 aprile, giorno che ricorda la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Numerose forze sociali, politiche ed ecclesiali hanno collaborato per riportare la libertà e la pace nel nostro paese. Questo ci ricorda che anche oggi, è possibile sconfiggere la violenza e la guerra che sta insanguinando tante zone del pianeta e nella nostra Europa. Sarà possibile solo se sapremo ascoltarci e rispettarci, nella difesa dei grandi valori dell’umanità, valori illuminati dal Vangelo. Solo quando sapremo accogliere la giustizia, rispettare le idee degli altri, favorire la dignità della persona umana, rispettare del creato e condividere nella solidarietà le risorse della terra, saremo in grado di costruire la civiltà dell’amore, perché l’amore è sempre più forte dell’odio, della guerra e della morte.

Buona festa a tutta la città di Pordenone.

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo

Concattedrale Pordenone
25/04/2022