Omelia festa Santi martiri Concordiesi – Cattedrale di Concordia  17 febbraio 2017

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Omelia festa Santi martiri Concordiesi

Cattedrale di Concordia  17 febbraio 2017

 

La fede cristiana si trasmette. San Paolo, nella 1 lettera ai Corinzi ci ha ricordato: “A voi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto” (15,3). Una comunità, una persona che fa esperienza di Gesù, sente subito il desiderio di trasmetterlo, di comunicarlo agli altri con la testimonianza della vita. Anche la fede nelle nostre terre, nella nostra diocesi di Concordia-Pordenone è stata trasmessa dalla testimonianza di vita di alcune persone che, dopo aver fatto e vissuto l’incontro personale con Cristo salvatore, hanno avuto la forza e il coraggio di annunciarlo ad altri. Nel III/IV secolo dopo Cristo, in questo antico villaggio romano di Julia Concordia, dove i romani avevano costruito strade e una cittadina non lontana dalla grande città dell’impero Aquileia, due fratelli di origine vicentina, Donato e Secondiano, vi giunsero, iniziando a predicare il vangelo. Molti si convertirono. All’arrivo di un nuovo governatore, tanti cristiani furono arrestati, subendo poi il martirio.

Se ancora oggi noi crediamo e apparteniamo al Signore dentro la Chiesa, è perché alcuni ci hanno parlato di Lui, ci hanno testimoniato il suo nome, ci hanno trasmesso con il dono della loro vita la gioia e la bellezza di appartenere a Cristo. Molte nostre Chiese sono nate dalla testimonianza e dal sacrificio della vita di tanti fratelli e sorelle nella fede. E’ la strada che Gesù ha percorso e che ha insegnato ai suoi discepoli e a tutti coloro che, lungo i secoli, vogliono vivere come Lui. Una strada che incontra sofferenze e difficoltà, ma che porta alla vita piena, alla gioia senza fine.

L’invito alla sequela che Gesù fa ai suoi discepoli, è posto subito dopo la domanda che aveva loro rivolto: “Ma voi, chi dite che io sia?” e alla pronta risposta di Pietro: “Il Cristo di Dio” (Luca 9,20). Gesù sta vivendo un momento difficile del suo ministero. Le folle fanno fatica a condividere il suo progetto e il suo stile di vita, e anche i discepoli non sempre sono disponibili a seguirlo fino in fondo. Gesù non si abbatte e soprattutto non abbondona l’umanità, anzi, offre ancora la sua chiamata a seguirlo, ad essere suoi discepoli. Ad una condizione: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, preda la sua croce ogni giorno e mi segua” (9,23). Se anche noi desideriamo seguire Gesù, essere suoi discepoli è necessario comprendere la via della croce. Non c’è altra strada. Per Gesù, la croce non è stata un fatalismo e nemmeno una richiesta del Padre; la Croce è la conseguenza dell’impegno liberamente assunto per rivelare all’umanità che Dio è Padre, e che quindi tutti siamo figli suoi e fratelli tra di noi. A causa di questo annuncio rivoluzionario, Gesù fu perseguitato e non ebbe paura di dare la propria vita. Non c’è prova d’amore più grande che dare la vita per il fratello. La via della croce non è solo avere coraggio, il coraggio del martire, ma è un gesto d’amore. Gesù ha donato la sua vita per il popolo che lo ha condannato. Il crocifisso è il modo con cui l’amore riesce a vincere e a manifestare tutta la sua forza. Questo è il destino di Gesù e di chi vuole seguirlo ed essere suo discepolo.

Gesù poi, chiede al suo discepolo di rinnegare se stesso. Non significa rinunciare alla propria umanità, ma rompere le catene del proprio egoismo. Il rinnegamento di sé è l’atteggiamento del discepolo che, come Cristo, non è più rivolto verso di sé e i propri interessi, ma è pienamente libero per gli altri. Significativa la riflessione di S. Agostino su questo aspetto: “Rinneghi se stesso. Come si rinnega chi si ama? Questa è una domanda ragionevole, ma propria della ragione umana; l’uomo mi chiede: Come si rinnega chi si ama? Ma Dio spiega all’uomo: Si può rinnegare se si ama. Appunto con l’amore di sé, manda in perdizione se stesso; rinnegandosi, si trova. Chi ama la propria vita la perderà. … È doloroso il distacco da ciò che ami. Ma anche l’agricoltore perde temporaneamente ciò che semina. Tira fuori, sparge, getta a terra, ricopre. Di che ti meravigli? Costui che disprezza e fa cadere a terra è un avido mietitore. … Di conseguenza, chi ama la propria vita, la perderà. Chi intende ricavarne frutto, la semini. In questo, quindi, consiste il rinnegamento di sé, in modo da non andare in perdizione a causa di un amore deviante”. (Discorso 330).  

Spesso le persone e anche noi, talvolta, pensiamo di dare un senso alla nostra vita, di salvarla, ritirandoci in noi stessi, pensando solo ai nostri interessi. Gesù ci propone un’altra strada: la vita si salva, la vita è più bella solo se la si dona agli altri. Ecco perché prendere la croce è il gesto più grande di chi sa amare, di chi ha il coraggio di pensare non solo a sé ma anche agli altri.  Risulta così evidente il binomio: croce=amare. Lo aveva ben compreso l’apostolo Paolo, come è espresso nell’interrogativo che troviamo nell’inno all’amore di Dio della lettera ai Romani, grido gioioso di chi si sente liberato e amato da Dio: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (8,35). Il messaggio centrale dell’inno ci ricorda che Dio è per noi, che Dio ha fatto alleanza con noi e che non ci lascia soli. Paolo elenca alcuni pericoli o difficoltà che ci possono separare dall’amore di Dio. Ieri come oggi, i discepoli sono sempre sottoposti a questi attacchi, e il martirio che ieri poteva essere di sangue, oggi è dato dalla difficoltà di resistere alla ricerca sfrenata di denaro, di potere e di carriera. Ecco perché è fondamentale ricordare che nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio.

Ne sono stati convinti Donato, Secondiano, Romolo e compagni, che ci hanno fatto conoscere Gesù. Ne siamo convinti anche noi, assumendoci l’impegno di testimoniare il Vangelo nell’oggi, gridando a tutti la bellezza dell’incontro con Gesù.

+ Giuseppe Pellegrini

                                                                                   vescovo

 

Concordia Sagittaria
17/02/2017
30023 Concordia Sagittaria, Veneto Italia