Giovedì santo Messa nella Cena del Signore In memoria di me

condividi su

Omelia

Giovedì santo Messa nella Cena del Signore

Concattedrale Pordenone, 14 aprile 2022

In memoria di me

Se Gesù tornasse fisicamente ai nostri giorni, credo che lo troveremmo al confine tra la Polonia e l’Ucraina per accogliere le migliaia di profughi che stanno scappando dalle loro terre e abbandonando le loro case e tutto quello che avevano. E lì compirebbe un gesto, meglio, il gesto dell’accoglienza: lavare quei piedi insanguinati e sporchi di polvere e di fango.

Al tempo di Gesù, la lavanda dei piedi non era un gesto banale e nemmeno simbolico, come rischia di essere quello che facciamo durante la celebrazione. Era un gesto di accoglienza che compivano i servi per mettere a proprio agio gli invitati, prima di sedersi a tavola e condividere la mensa. Invece Gesù ha voluto compierlo di persona verso i suoi discepoli. L’evangelista Giovanni ha compreso così bene il significato di questo gesto, che nel suo vangelo ha sostituito il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo, come fanno gli altri evangelisti e Paolo, con il racconto della lavanda dei piedi. Confrontando attentamente questi racconti, pur con espressioni diverse, i due gesti hanno lo stesso significato: “Fate questo in memoria di me” (1Corinzi 11,24) e “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Giovanni 13,15).

Tra i numerosi significati della celebrazione di questa sera, desidero sottolinearne in particolare due: l’Eucaristia come memoriale e come segno dell’amore che Dio ha per noi. C’è un filo conduttore tra le letture e i gesti che compiamo nella celebrazione di questa sera che apre il Triduo Pasquale: l’Eucaristia come memoria e memoriale. Fare Memoria non è semplicemente ricordare il passato, ma è conoscere le storie del passato perché quelle storie diventino nostre. È provare empatia con quanto accaduto perché si possa arrivare, di conseguenza, a cambiare noi stessi. Con altre parole, significa rileggere un fatto, una persona, uno scritto, trasportarlo nel presente, renderlo attuale, vicino. Con l’espressione memoriale, come ci ricorda la Scrittura, non è solamente renderlo presente, ma è attualizzarlo, rendere presente nell’oggi gli effetti di un intervento del Signore, come l’Esodo, la Pasqua e l’Eucaristia. Se la memoria è semplicemente il ricordo di un fatto passato, il memoriale invece è la ripresentazione dell’evento di cui si fa memoria. È rendere presente quell’evento. È un attualizzarlo, in modo tale che lo si rende contemporaneo a noi e noi vi partecipiamo direttamente, nello stesso modo in cui ne furono resi partecipi i primi che lo sperimentarono. Ma non solo renderlo presente, ma viverlo in modo tale che esso segni la nostra vita e ci fa vivere conformemente ad esso. È una memoria capace di plasmare la vita, di darle forma, oltre che contenuto e significato. Il Catechismo dello Chiesa Cattolica sottolinea il significato del memoriale con queste parole: “Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita” (CCC 1363).
Così il memoriale del sacrificio di Cristo non rende quel sacrificio solamente presente alla memoria, ma lo rende presente realmente. E questo perché è stato offerto una volta per tutte sulla croce e rimane sempre attuale, offrendo a chi si accosta i benefici della salvezza. Ascoltare queste parole all’inizio del Triduo pasquale significa vivere questi giorni facendo memoria di quello che ha vissuto Gesù con il desiderio che si imprima nella nostra vita, perché anche noi possiamo vivere come Gesù. Non deve essere solo una memoria liturgica e rituale, ma trasformarsi in memoria esistenziale, rendendoci capaci di amare e di servire, lavando i piedi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nella vita di ogni giorno, curvandoci verso chi soffre e si trova nel bisogno. La memoria della Pasqua non solo rimargina le nostre ferite immergendoci nella storia della salvezza, ma ci rende testimoni della salvezza verso le altre persone.

Altrettanto rilevante l’altro significato della celebrazione di questa sera: “Li amo sino alla fine” (Giovanni 13,1).  In queste parole viene riassunta tutta la vita di Gesù: la sua esistenza viene evidenziata attraverso la categoria dell’amore. Il gesto della lavanda dei piedi non è solo un gesto di umiltà, ma un gesto ‘rivoluzionario’ che rovescia i rapporti tra le persone. Gesù ci ama in modo smisurato con tutto se stesso. L’ora che Gesù ha atteso è l’ora della rivelazione dell’amore infinito di Dio che si manifesta nel dono di sé nella croce. Con il gesto d’amore della lavanda dei piedi, Gesù rende visibile la logica che ha guidato tutta la sua vita, rivelandoci così la vera identità di Dio: “Dio è amore” (1Giovanni 4,8). In questo modo Gesù rivela che il servire è un’azione divina, perché è Dio che si mette a servizio dell’umanità. La fatica di Pietro nell’accettare lo stile di Gesù: “Tu non mi laverai i piedi in eterno” (13,8), ci dice quanto è stato difficile per i discepoli e oggi anche per noi comprendere tale scelta. La comunità cristiana è invitata a intraprendere la strada del servizio: un servizio disinteressato, senza nessun contraccambio e fatto solo per amore. La grandezza della Chiesa, ieri come oggi, si manifesta solo nel servizio.

Signore Gesù, aiutataci a comprendere questa sera che il pane spezzato, il vino versato e il servizio fatto per amore, sono il centro della nostra vita, delle nostre comunità e di tutta la Chiesa. Donare la vita e lavare i piedi sono lo stile di vita del cristiano.

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo

Concattedrale Pordenone
14/04/2022